MAURIZIO BLONDET
CHI COMANDA
IN AMERICA
Maurizio Blondet, già inviato speciale per li Giornale Nuovo e attualmente
per Avvenire, si dedica ormai da anni all'indagine sui poteri
oligarchici che, agendo dietro le quinte della democrazia; guidano la storia (e la cronaca
politica presente). -ha scritto, tra gli altri, "I fanatici
dell'Apocalisse" (ed. Il Cerchio), 'Complotti vecchi e nuovi"
(ed: Il Minotauro), "ll Collasso" (ed I Minotauro), "Gli
Adelphi della
dissoluzione"
(ed. Ares)
'No Global"
(ed. Ares), "I Nuovi barbari" (ed .Effedieffe), "Cronache dell'Anticristo (ed.
Effedieffe), "L’uccellosauro ed altri animali. La catastrofe del
darwinismo" (ed.
Effedieffe); autore
di centinaia di articoli su giornali e riviste, come per esempio "Studi
Cattolici", dirige, assieme a Siro Mazza, la rivista trimestrale "Certamen
“(ed.Effedieffe).
EFFEDIEFFE
Finito di stampare
nel mese di dicembre 2002 dalla Fotolito Graticolor
Città di Castello (PG)
Capitolo I
IL COMPLEANNO MOBILE
"Vi voglio dire una cosa molto chiara: infischiatevi
delle pressioni americane su Israele. Noi, gli ebrei, controlliamo l'America. E
l'America lo sa".
(Ariel
Sharon)
Nel 1978 la Camera dei Rappresentanti
(la camera bassa statunitense) proclamò l 'education day Usa, ossia il "giorno dell'istruzione": in coincidenza con, e a celebrazione del,
settantaseiesimo compleanno di rabbi Menachem Mendel Schneerson, il cosiddetto
"rebbe" dei Lubavitcher. Almeno, ciò è quanto sostiene il sito
web dei Lubavitcher stessi ': setta hassidica (che si autonomina Chabad o Habad), che considera il suo rebbe il vero messia: "Il presidente Jimmy Carter
firmò la legge relativa, e l 'education day Usa è diventato una tradizione annuale"
Dunque una festa nazionale e civile americana è stata
creata in onore del messia-re di una setta ebraica? La cosa è inverosimile. Al
punto da provocare incredulità. Invece, dopo Carter, il successivo presidente
Ronald Reagan non lasciò cadere la "tradizione". Anzi. Nel
1985 anch'egli proclamò il national education day: confermando che esso era indetto "in onore del suo [del rebbe] 83mo genetliaco, che quest'anno cade il 2 aprile" . Nel
'91, anche il presidente George Bush (padre) celebrò con il Congresso il
national education day, ponendolo quell'anno il 26 marzo; bella tradizione che
il presidente George Bush figlio ha ripreso e trasfigurato in un "national
education and sharing day" (giorno
dell'istruzio
1
Vedere sul world wide web, "chabadcenter.org/dedication.htm".
2
Sempre sul www, si vada all'indirizzo "ukar.org/gore10.shtml".
ne e della condivisione, nel
senso del compassionate
conservatism neorepubblicano)
nel 2002, per l'esattezza il 24 marzo'.
Potete non crederci. Ma si dovrà
per forza notare che questa festività civile americana, come una strana
Pasqua, è una festa mobile:
un anno cade il
26 marzo, un altro il 24, un altro il 2 aprile. Perché? Ovviamente perché i
Lubavitcher rifiutano il calendario giuliano e cristiano, e si attengono al
calendario lunare giudeo-babilonese: per questo il genetliaco del veneratissimo
rebbe non è fisso.
Dunque gli Stati Uniti d'America,
tradizionalmente gelosi della loro laicità, hanno adeguato una festività
civile alle esigenze rituali di una setta ebraica fondamentalista, in onore di
uno tzaddik
hassidico che i
suoi fedeli credono il messia: morto centenario nel 1994, ma di cui si attende
il miracoloso ritorno.
Può darsi non abbiate mai sentito
parlare dei Lubavitcher, ossia Chabad''. O che li abbiate sottovalutati, prendendolo per
uno degli infiniti "culti"
che pullulano
nella libera America (il quartier generale ha sede a Brooklyn, New York).
Errore. Il Jerusalem
Post (19 ottobre
2001) informava:
"Chabad è una
forza potente: 2600 istituzioni in tutto il mondo, un vasto numero di rabbini
capaci di parlare inglese, controllo della maggior parte dell'ebraismo in
Italia e del rabbi nato-capo in Russia (il solo bilancio russo del movimento
ammonta a due milioni di dollari). E un'organizzazione che dispone di immense
risorse finanziarie (...] Di fatto, Chabad è un movimento dì importanza monumentale.
Ebrei osservanti sono profon-
Si veda il comunicato sul sito ufficiale della Casa
Bianca: "whitehouse.go/news/releases/2002/03/20020325-4.html".
' "Chabad" (a volte pronunciato Habad)
è un acronimo delle tre parole ebraiche chochma, binah e daas, ossia "saggezza,
comprensione e conoscenza". "Lubavitch" è il nome del
villaggio (in Lituania) dove il movimento pone la sua culla, nell'800.
Dottrinalmente, lo Chabad è un ramo dell'hassidismo, impropriamente detto "misticismo"
ebraico, perché poneva l'accento sulla redenzione individuale dei fedeli
(attraverso la mediazione di un "messia locale" detto
tzaddik) anziché sulla redenzione storica, messianico-rivoluzionaria, dell'intero
popolo eletto. Oltre che sul Talmud e sullo Zohar (il più importante libro
della Kabbalah), i Lubavitcher giurano sul Tanya (o Hatanya), il libro scritto
da un rabbi Shneur Zalman.
damente dipendenti dai
suoi emissari in tutto il mondo (...] i suoi rabbi dominano o stanno per
dominare le comunità ebraiche in un numero stupefacente di paesi".
La Jewish Virtual Library s
fornisce
altri particolari. "Più di 3700 coppie
emissarie o missionarie operano in oltre cento Paesi del mondo ...2600
istituzioni (seminari, campi-scuola, scuole, ecc.) sono sparse nel mondo.
Secondo la direzione del movimento, circa un milione di bambini [ebrei] hanno partecipato alle
attività di Chabad nel mondo nel solo 1999".
Ma tali fonti tacciono l'elemento più importante, e allarmante,
del potere della setta.
I Lubavitcher sono profondamente interni alle istituzioni
politico-militari degli Stati Uniti, che influenzano attivamente. Essi hanno
accesso immediato e continuo al presidente George Bush: il segretario alla
stampa e portavoce del governo Bush, Ari Fleischer, un ebreo riformato, è
co-presidente del "Forum
del Campidoglio" dello Chabad.
Il vice-segretario
della Difesa, il `falco"
Paul Wolfowitz,
è un ammiratore dei Lubavitcher, così come Dov Zackheim, Comptroller del Dipartimento Difesa (e rabbino
ortodosso), e Stuart Eizenstat, già vicesegretario al Tesoro. Aperto
sostenitore di Chabad è il senatore del Connecticut (democratico) Joseph
Lieberman, ebreo ortodosso, che è stato candidato alla vicepresidenza degli
Usa a fianco di Al Gore. Il senatore del Michigan (democratico) Carl Levin,
presidente della Commissione Forze Armate del Senato, ha celebrato gli "ideali" della setta in un discorso al
Senato. Tutti costoro, insieme a tutti i membri ebraici del Congresso, assistono
regolarmente ai seminari tenuti a Washington da un rabbino Lubavitcher. Questo
rabbino, giovane, pallido, dalla grande barba nera, si chiama Levi Shemtov. Le
sua attività nella capitale sono state segnalate dal Washington Post (3 luglio 1999, Hasidic Outpost in
D.C.):
' V.
sul www il sito "us-israel.org/jsource/Judaism/Lubavitch__and_Chabad.html".
"Gli American
Friends of Lubavitch hanno aperto a Washington un centro da 2 milioni di
dollari nel quartiere delle ambasciate, ciò che consolida la presenza della
setta hassidica nella comunità diplomatica e accresce la visibilità del suo
direttore, Levi Shemtov, che già molti considerano il rabbino non-ufficiale
del Campidoglio.
"I washingtoniani
che lo frequentano conoscono Shemtov per la sua attività nell'ambiente
politico. Egli incontra regolarmente i membri ebrei del Congresso e del
personale, quasi sempre su loro richiesta, e tiene, ogni mese o due, i Capitol
Jewish Forum su temi come l'etica, le tradizioni festive e i rapporti tra
religione e governo. Il senatore [repubblicano] Cardin, 55 anni, definisce
Shemtov una ricchezza per i membri del Congresso e del personale ebraici".
Non importa che la maggior parte degli ebrei americani
appartenga ufficialmente all'ebraismo "riformato", "ortodosso" o
"conservatore", gruppi che erano fino a ieri alquanto laici, se non progressisti,
profondamente influenzati dal protestantesimo anglosassone. I Lubavitcher,
mentre predicano e praticano la più rigorosa separazione dai "gentili", verso gli altri ebrei sono "integrazionisti",
e
il loro
messaggio è rivolto a tutti loro, senza distinzioni settarie. È questa la loro
novità, e parte essenziale della loro forza politica. Convinti che il messia
sia qui, chiamano gli altri giudei all'unità dei figli di Abramo nel momento
storico del coronamento del loro sogno millenario. E come si vede, le
componenti liberali dell'ebraismo Usa rispondono docilmente al richiamo. Dato
il conformismo e il ferreo controllo reciproco vigenti nella comunità ebraica,
il Centro Lubavitcher di Washington, coi "seminari" mensili di rabbi Shemtov, funziona
come organo di sorveglianza politica delle componenti moderate del giudaismo,
allineandole sulle posizioni millenaristiche e oscurantiste della setta.
Come piccolo esempio dell'influenza di Shemtov, il Post fornisce il seguente episodio:
"Lo scorso
settembre, quando i leader repubblicani della Camera fissarono la data della
votazione per l'impeachment del presidente Clinton durante un'alta festività
ebraica, Shemtov andò a trovare nel suo ufficio
il senatore Richard K.
Armey (R-Texas) e lo convinse a cambiare data",
L'episodio non è tanto minuscolo:
gli Usa attraversavano una crisi costituzionale per discutere la quale il
Congresso aveva messo da parte tute gli altri argomenti di discussione; gli Usa
sono un regime che bada a tenere gelosamente separate stato e religione; e
tuttavia un rabbino trentenne convince il Senato a spostare la data di una
votazione cruciale, per "rispetto alla religione ebraica".
Ma questo è niente: come vedremo, ben altra ampiezza ha
il potere Lubavitch su Washington. Per cui sarà bene vedere da vicino che cosa
sono "l'etica"
di Chabad, o
quali concezioni la setta ha delle "relazioni tra governo e fede" su cui il suo rabbino istruisce
ogni mese o due gli ebrei de Congresso, evidentemente perché applichino queste
concezioni alla politica del giorno per giorno. Ma per questo, dobbiamo
illustrare bene L "teologia",
o più
precisamente l'ideologia, del potente movimento.
Capitolo 2
INTEGRALISMO ESTREMO
"L'intera creazione esiste solo per il bene degli
ebrei" (rabbi
Schneerson)
Nel 1964 il rebbe dei
Lubavitcher, Schneerson, scrisse una lettera ai fedeli per condannare i
matrimoni fra ebrei e non-ebrei (che egli bollava come "cremazione spirituale"). In quella lettera, che i seguaci
considerano come un'enciclica di valore dogmatico, fra l'altro definiva i
concetti di libertà, eguaglianza e integrazione - ossia i valori fondanti
degli Stati Uniti - "ideali
malposti". Il
rebbe sostiene infatti la necessità politica della segregazione razziale, come
ha denunciato Israel Shahak, il quale riporta uno scritto rivelatore di
Schneerson:
"La differenza tra un ebreo e un non-ebreo si
comprende alla luce della nota espressione [talmudica]: differenziamoci. Dunque, non abbiamo qui il caso di una persona che sia solo di livello
superiore all'altra. Invece abbiamo il caso del differenziamoci tra
specie totalmente diverse. Il corpo di un ebreo è di qualità totalmente
diversa dal corpo di ogni altro individuo delle nazioni del mondo. [. ..]
L'intera realtà non-ebraica è solo vanità. Sta scritto: "E gli stranieri
cureranno le vostre greggi" (Isaia 61:5). L'intera creazione esiste solo
per il bene degli ebrei . Simili concezioni non sono nuove nell'ebraismo. Tuttavia,
varrà la pena di sottolinearlo, esse sono contrarie ai principi della
Costituzione americana. Esse sono in evidente contrasto rispetto alle grandi
lotte della storia nazionale Usa, dalla guerra contro lo schiavismo fino alle
campagne
Israel
Shahak e Norton Mezvinsky, Jewish
fundamentalistn in Israel, Londra, 1999.
per l'integrazione dei negri
negli anni `60. A quelle campagne anti-segregazione partecipò allora in massa
la gioventù ebraica americana, che era liberal, cioè di sinistra. Il fatto che
ora la comunità giudaica accetti in massa il verbo dei Lubavitcher dice quanto
la mentalità collettiva degli ebrei americani sia mutata.
Idee razziste e segregazioniste
possono esprimersi liberamente in Usa, dove la libertà di opinione è sancita
costituzionalmente: il Ku Klux Klan e i White Supremacists non sono dichiarati
fuorilegge. Ma, almeno, non frequentano ostentatamente il Congresso e non
tengono seminari mensili sui loro "ideali"
ai senatori.
Ancor meno, i razzisti bianchi sono ricevuti e celebrati dal Presidente, né le
loro idee avallate ufficialmente, come è accaduto ai settarii giudaici:
"Il presidente George Bush ha ricevuto una
delegazione di dieci importanti rabbini e funzionari del movimento hassidico
Lubavitch alla Casa Bianca. L'incontro, durato 90 minuti, ha avuto luogo nel
quadro degli eventi organizzati dal movimento per il centesimo genetliaco del
defunto Rebbe Menachem Mendel Schneerson j... J Bush ha
posto la sua firma al documento che dichiara il compleanno del defunto rebbe giorno
dell’istruzione e della carità. Rabbi Shemtov ha ringraziato il Presidente
per il suo appoggio ad Israele e gli ha donato un Hagaddah pasquale" (Haaretz, 26 marzo 2002).
Dunque, i custodi della
Costituzione della unica superpotenza mondiale s'inchinano davanti
all'esclusivismo giudaico più estremo. Ciò non può non avere inquietanti
ricadute politiche. Il potere istituzionale americano subisce l'influsso di una
setta in cui il primitivismo biblico si intreccia a un fondamentalismo da
telepredicatori, e un messianismo aberrante si coniuga con un attivismo molto "americano".
David Banon 2 definisce la teologia dei
Lubavitcher un monismo panenteistico', "caratterizzato
dal rifiuto della dicotomia tra sacro e profano,
2
David Banon, Il Messianismo, Giuntina,
2000, p. 116
3 Sottilmente,
il pensiero ebraico rifiuta il panteismo ("Tutto
è Dio") per accettare il panenteismo
("ogni realtà è in Dio"): sul
piano politico, questa concezione si
traduce nel
tra spirito e materia, tra Dio e mondo". Esso
"concepisce tutta la realtà come esistente in Dio e di conseguenza la vera
realtà è il divino". Si riconoscerà qui un integralismo totale, di fronte a cui
impallidisce quello islamico, che oggi è di moda satanizzare. Il rifiuto della
dicotomia fra "dio e mondo" fonda il rifiuto della
separazione tra azione e politica, in modo radicale: per i Lubavitcher, ogni
azione politica, anche machiavellica ed eticamente aberrante, è "sacra" se compiuta da ebrei, perché è "servizio a Dio".
Per i Chabad "non
c'è luogo o sfera della vita che sfugga all'azione religiosa", dice Banon: ciò significa che,
per i Lubavitcher, l'azione politica è direttamente azione religiosa. Da qui
l'attivismo missionario della setta, fatto senza precedenti storici nel mondo
ebraico. I missionari (o emissari, shlichim)
dei Lubavitcher
non mirano alla conversione dei gentili: come abbiamo visto, anzi, la setta "eleva una barriera ontologica tra ebrei e nota
ebrei", riservando
agli ultimi un destino inferiore nel "Regno",
dove essi
saranno i servi-pastori del popolo eletto e, come vedremo, soggetti
all'autorità penale rabbinica. Lo sforzo missionario e il proselitismo di
Chabad è esclusivamente mirato agli ebrei: i vari gruppi in cui la comunità è
frazionata in America, riformati, ortodossi o conservatori, sono chiamati a
partecipare all'ebraismo integrale che la setta crede di incarnare, in vista
dell'imminente avvento del messia. Ogni dissapore e ogni scontro interno alla
comunità, per Chabad, deve terminare nell'unità davanti alla prospettiva del "Regno" che sta per venire, e nella consapevolezza del "carattere intrinsecamente divino dell’anima
ebraica".
Altrove ' ho ricordato come lo
hassidismo polacco e lituano creò il culto degli tzaddik, "mediatori" tra la comunità e Dio. Nelle
pianure sarmatiche ogni piccolo villaggio giudaico, ogni gruppo di luride isbe
hassidi-
l'accettazione del sionismo ateo: "Per far venire l'era messianica è necessario
passare attraverso il profano nella sua lotta contro la religione e la spiritualità,
e anche attraverso la profanazione" (David Banon, cit., p. 107). 11 panenteismo sbocca dunque in un
immoralismo radicale.
4
M. Blondet, Cronache dell'Anticristo, Effedieffe, Milano, 2001, p. 48.
che ebbe il suo tzaddik, venerato come un messia. Piccoli
messia locali, rabbini cui si attribuivano poteri taumaturgici, che vendevano
amuleti, che i fedeli ricoprivano di doni e di cui si narravano ammirati le
gesta (specie sessuali), da cui si andava in pellegrinaggio. La visita ai più
stimati tzaddik sostituiva il pellegrinaggio a Gerusalemme; e ogni villaggio
ebraico diveniva Gerusalemme. In tal modo lo hassidismo illusoriamente placava
la sete del messianismo vero - il ritorno alla terra d'Israele e la conquista
del mondo sotto la guida del "Re" - i cui effetti erano stati regolarmente disastrosi nella
storia giudaica. Il culto dello tzaddik, mescolato ad ogni genere di credenze
discutibili (fra cui la reincarnazione e il panteismo) e pratiche censurate
dai rabbini ortodossi ("estasi"
sessuali o alcooliche)
neutralizzava il pericolo del messianismo politico, tramutandolo nella
preoccupazione per la "redenzione"
individuale.
Tale "redenzione" nulla ha in comune con il
concetto di salvezza cristiano, di santità. Ha invece riguardo al "riscatto" (tikkun) delle scintille divine che,
secondo la gnosi kabbalistica, sarebbero sepolte ("esiliate") nella creazione, involte nella
materia, e che il popolo eletto, con la minuziosa osservanza della "legge", aiuterebbe a far risalire in alto.
I Lubavitcher spingono questa
pseudo-teologia usque ad absurdum. Per loro, lo tzaddik - o più
esattamente la sua anima - ingloba le anime della collettività di Israele. Ogni
anima, o almeno una scintilla di ogni anima di ebreo, ha il suo posto
nell'anima dello tzaddik - che i Lubavitcher chiamano il rebbe, e che
identificano con il defunto Schneerson.
Perciò anche lo tzaddik è
l'intermediario necessario tra l'uomo e Dio: da una parte Dio è talmente
potente che bisogna proteggersene attraverso lo schermo di un mediatore;
dall'altra l'essenza spirituale di ogni ebreo è in rapporto con lo tzaddik. In
conclusione, nello tzaddik riposa "l'anima
organica del popolo ebraico", la divinità collettiva di quel messia collettivo che è
Israele.
L'auto-adorazione è un tratto
costante della "religiosità"
del popolo
eletto. Per molti anni i rabbini Chabad se ne sono accontentati, rifiutando
ogni tentazione messianica. Pesavano i "tre
giuramenti rabbinici", uno dei quali vieta di accelerare l'avvento del "Regno" con il ritorno in massa nella terra
d'Israele. Nel 1904 il rabbino lubavitcher Dov Baer
Schneerson (circa 1840-1908),
antenato del
rabbino di Brooklyn, si scagliava - come tutti i rabbini osservanti dell'epoca
- contro i sionisti socialisti e materialisti che volevano fondare Israele come
stato: "Tutto il loro coraggio,
la loro astuzia e i loro sforzi non avranno successo contro la volontà di
Dio". Ma i
successi politici sionisti, a poco a poco, hanno indotto il rabbinato a
rivedere queste posizioni. Il primo rabbino-capo d'Israele, Abraham Kook
(1865-1935) fu il
primo a
proclamare che gli empi sionisti agivano, a loro
insaputa, per la salvezza del popolo
eletto voluta da Dio. "Tutti gli
eventi conducono allo scopo, tutta la storia e i mutamenti dell'esilio della nazione
sono tappe nello svolgimento dell'azione divina". "I peccatori
d'Israele [i
sionisti] si impegnano in questo
compito: dapprima se la prendono con la
spiritualità separata dalla
materia. La loro critica audace denuncia le sue menzogne e le sue mancanze...
essi si rallegrano costatando la caduta dell'idolo della spiritualità" 5.
La "spiritualità" è un "idolo", perché il "Regno" verrà materialmente: dunque si abbandoni ogni
esitazione e si avanzi alla conquista dell'era messianica con tutti i mezzi. Anche i più illegittimi.
La dottrina di rabbi Kook sbocca dunque in un anti-nomismo (ogni legge può essere violata allo scopo di avvicinare il
"Regno") e un imoralismo inediti, che hanno immediate ricadute
politiche: non a caso alcuni noti allievi di rabbi Kook , Menachem Begin e
Ytzak Shamir, fondarono il gruppo terroristico clandestino che gli inglesi
chiamarono "Banda Stern", autrice di indiscriminati
massacri di palestinesi. Il movimento Chabad si situa sul fronte estremo di
questa avanguardia messianica. Per esempio, i suoi seguaci sostengono
l'estremismo politico dei "falchi"
israeliani, si
oppongono al processo di pace e alla cessione di terre ai palestinesi - anzi
vogliono la loro espulsione in massa - perché "la coscienza messianica è una coscienza di
progresso e di conquista, non di arretramento e di spartizione" 6.
Dunque è
un irrazionalismo
s David Banon, cit.,
p.136. David Banon, cit., p. 124.
11
integralista di tipo
parossistico, un messianismo aggressivo e conquistatore quello che ha accesso
alla Casa Bianca e al Congresso, e che i parlamentari apprendono nei seminari
Lubvitcher.
Del resto, la setta è da anni
elettrizzata dalla certezza nell'imminenza del "Regno". "Il re-messia può venire
immediatamente, in un batter di ciglia". "E poiché può arrivare in
qualsiasi momento, egli verrà, senza dubbio, in qualsiasi momento",
sragiona un testo della setta citato da David Banon (p.121): "E stando così le cose, significa che il messia è realmente
nel mondo ....ancor più, la sua presenza è attestata come presenza di un grande
nella Torà, un re della casa di David che studia la Torà e adempie i precetti
come il suo antenato Davide, secondo l'espressione di Maimonide".
Il testo suggerisce, senza dirlo
apertamente, che il messia "già
tra noi" non
è altri che il rebbe, Menachem Mendel Schneerson: discendente da sette
generazioni di tzaddik (e sette è un numero magico), i suoi adepti non hanno
risparmiato sforzi araldici per far credere che sia discendente diretto da
David.
Lo slogan con cui i Lubavitcher accoglievano ogni
apparizione di Schneerson il rebbe, "Il messia adesso" (moshiach now) ricalca curiosamente il grido di
tante sette protestanti fondamentaliste americane, "Jesus
now", a
dimostrare - se ce ne fosse bisogno - la natura spuriamente "americana" del movimento giudaico che si
crede il più "puro". Così, le campagne di stampa e
pubblicità mondiali, con manifesti affissi nelle grandi città che "davano il benvenuto al messia" esibendo grandi foto di Schneerson.
Così la divulgazione di strambi "segni di conferma" sull'identità del messia ("si trova tra noi, un essere di carne e di
sangue, un'anima e un corpo"): poiché Schneerson abitava al numero 770 di Eastern
Parkway, Brooklyn, la setta si precipitò a proclamare che 770 è il valore
numerologico delle parole "bet
mashiach", casa
del messia. Nemmeno la morte, come un normale essere umano, del rebbe Schneerson
all'età di 98 anni ha calmato gli ardori messianici dei Lubavitcher. I
suoi adepti più ferventi citano il Sanhedrin (98b), "Se
è tra i morti, è Daniele", per suggerire che il messia può ben trovarsi tra i morti,
eppure pre-
parare il "Regno".
In Usa come in
Israele, la setta continua ad usare tutte le sue attività, potere e denaro per
prepararlo.
Con tutti i mezzi. Non esclusi quelli criminali. Varrà la
pena di ricordare che era un Lubavitcher quel Baruch Goldstein, fanatico
israelo-americano che nel 1994, ad Hebron, massacrò a raffiche di mitra 29
musulmani in preghiera nelle tombe dei patriarchi. A Baruch, caduto a sua volta
sotto i colpi della polizia, gli occupanti ebrei ("coloni") dell'insediamento di Hebron hanno
elevato un monumento; essi proclamano che il massacro compiuto dall'eroe è un "mitzvà", atto gradito a Dio. Converrà dunque esaminare da
vicino quale sia la natura del "Regno"
che costoro si
adoperano di attuare - e che concepiscono come una monarchia ebraica sotto lo
scettro del messia-re - attraverso il controllo del Congresso e del potere in
Usa.
Capitolo 3
COSÌ CI COMANDERANNO
"È un fatto che i
testi kabbalistici, al contrario di quelli talmudici, pongono l'accento sulla
salvazione esclusivamente per i giudei" , scrive Israel Shahak'. E
aggiunge: praticamente tutti gli autori ebraici che hanno scritto sulla Kabbala
in qualche lingua occidentale (e cita ad esempio Scholem, il grande e
rispettato studioso del giudaismo) hanno dissimulato questo fatto, parlando di
"uomini"
ed "esseri
umani" là
dove i testi in ebraico intendono esclusivamente "ebrei".
Vero è che tale convinzione - che
i non-ebrei siano esclusi dall'Alleanza e dalla redenzione - percorre il
giudaismo classico e biblico fin dall'inizio. Fu tuttavia Ytzak Luria, il
maestro kabbalista spagnolo del sedicesimo secolo, a sviluppare a pieno la
teoria delle due razze: l'ebraica, "scelta per incarnare le quattro divine
emanazioni in questo basso mondo", e il resto dell'umanità inferiore. "Le anime dei non
ebrei", scriveva
rabbi Hayim Vital, massimo interprete della filosofia di Luria, "vengono interamente
dalla parte femminile della sfera satanica. Per questa ragione le anime dei non
ebrei sono dette malvagie, a nulla buone, e sono create senza conoscenza [del divino]" 2.
Non risulta che questa concezione
segregativa e razziale della salvezza sia mai stata contrastata dai talmudisti.
In compenso risulta che essa sia stata abbracciata completamente dal già citato
rabbi Kook, fondatore del giudaismo contemporaneo, e animi ancor oggi i
movimenti ebraici del Gush
' Israel Shahak, cit., p.
58.
2 |
Israel Shahak, cìt., p. 58.
Emunim e l'intero mondo
hassidico: i satanici goym sono ontologicamente inferiori, inesistenti
rispetto al divino. Il brutale atteggiamento verso i palestinesi vigente
nell'odierno stato di Israele discende direttamente, come immediata conseguenza
politica e giuridica, da questa "teologia" razzista. Rabbi Schneerson non fa
dunque che abbracciare una costante tradizione, quando scrive: "Il corpo dell'ebreo sembra simile in sostanza al
corpo del non ebreo [...] ma la similarità è solo nella sostanza materiale,
aspetto esteriore e qualità superficiale. La differenza della qualità interiore
è così grande che i corpi devono considerarsi di specie del tutto diversa.
Ecco perché il Talmud stabilisce una diversità halachica [giuridica] tra i corpi dei non
ebrei [in
confronto ai corpi degli ebrei]... Un ebreo non è stato creato come mezzo per uno
scopo: egli stesso è lo scopo, dal momento che tutta la sostanza della
emanazione è stata creata solo per servire gli ebrei. "In principio Dio creò i cieli e la
terra"
(Genesi 1:1) significa che tutto fii creato per il bene
degli ebrei, che sono chiamati "il principio". Ciò significa
che tutto [...] è vanità in confronto agli ebrei"'.
Non c'è nulla di inaudito né di
eretico, secondo la tradizione ebraica, in queste posizioni. La sola novità è
che i Lubavitcher non ne dissimulano le conseguenze giuridiche e politiche,
anzi le divulgano persino tra i gentili sui loro siti e sulla loro
pubblicistica. Benignamente, essi rivolgono il loro sforzo "missionario"
anche alle "nazioni", nel senso che spiegano quale sarà
il posto dei gentili nel "Regno" imminente, che essi - va ripetuto - concepiscono come
una monarchia di questo mondo, un governo mondiale. Una delle loro
organizzazioni si chiama "Jews and Hasidic Gentiles United to Save
America" (JHG-USA). Essa annuncia ai "gentili hassidici", evidentemente ai goym
simpatizzanti per la setta: "Nella nostra generazione, il capo spirituale del
popolo ebraico - e perciò del mondo intero - è rabbi Menachem Mendel
Schneerson, noto come "il rebbe ", con sede a New York".
E ancora: "Nel libro
dell'Esodo, D. [Dio: il
nome intero non è scritto né pronunciato dai pii giudei] proclama al mondo il
Suo figlio: "Così dice il Signore: il mio primogenito è
Israele". Israele è il popolo ebraico.
' Israel
Shahak cit., p. 60.
Gli ebrei sono stati
scelti da D. per essere il Suo "figlio" speciale, per essere,
secondo le parole della Bibbia, "un regno di sacerdoti e una nazione santa " per il mondo intero
" . Più
oltre si annuncia "la
resurrezione del rebbe dalla tomba, da cui si alzerà per ristabilire il
Sinedrio e ungere il re".
Tutto ciò ha implicanze ben
chiare per i fedeli del rebbe: nel "Regno", i goym saranno soggetti alla
giurisdizione della "nazione
santa" e del suo Sinedrio. Benignamente la
setta informa però che i duri e minuziosi precetti della "legge" sono riservati ai soli giudei,
esclusivi destinatari della rivelazione di salvezza consegnata sul Sinai a
Mosé. Per i gentili, basterà - ed a ciò li esorta generosamente Chabad - che
osservino "le
sette leggi noachiche", ossia di Noè.
Di che si tratta? Per l'Enciclopedia Britannica, si ha a
che fare qui "con
la designazione talinudica di sette leggi bibliche date ad Adamo e a Noé prima
della rivelazione di Mosé sul Sinai, le quali di conseguenza sono obbligatorie
per tutti gli esseri umani". Sfoglierete invano la Bibbia alla ricerca di un passo
preciso, dove sia detto che Dio assegnò a Noé sette leggi. Il Talmud (Yebamoth 62a), in una nota, si degna di fornire
la fonte scritturale delle presunte "leggi noachiche": Genesi 9:7. Ma in questo passo della
Genesi, il Signore dice a Noé quanto segue:
"E tu sii fecondo
e moltiplicati; occupa con abbondanza la terra, e qui moltiplicati ".
Un invito molto più generale
delle "sette
leggi noachiche". Ma finalmente lo troviamo enunciato: non nella Bibbia, ma più avanti
nel Talmud (trattato Sanhedrin, 56a e 56b): "i nostri rabbi hanno insegnato:
sette precetti furono imposti ai figli di Noè: leggi sociali; astenersi dalla
bestemmia e idolatria; dall'adulterio; dal versare sangue; da rapine; e dal
mangiar carne tagliata da un animale vivo". Sic. Dopo l'espressione "leggi
sociali", una
nota spiega: "cioè
stabilire tribunali o, forse, osservare la giustizia sociale (Nahmanides sii
Genesi XXXIV, 13). Hast. Dict. traduce "obbedienza all'autorità".
Tutto diventa
più chiaro. Le strambe "sette
leggi noachiche" sono una del
le infinite elucubrazioni escogitate dai Farisei,
probabilmente nel secondo secolo dopo Cristo. Basate su riferimenti biblici a
dir poco evanescenti, ma
sulla solida e chiara volontà del
rabbinato di esigere "l'obbedienza
all'autorità" (la
loro) dai gentili, e il potere di istituire "tribunali" per i goym - ciò che, detto fra
parentesi, nemmeno "la
rivelazione esclusiva di Mosé ' riservata agli ebrei concede loro, visto che i Dieci
Comandamenti non autorizzano una particolare autorità ebraica sul genere
umano. Ma questa è la pretesa dei Lubavitcher. Come spiegano limpidamente:
"Questi
comandamenti [le
leggi noachiche] sono
il fondamento di ogni progresso morale dell'umanità [sic]. Il giudaismo
considera la vita da un punto di vista insieme nazionale e universale. Nel
primo senso è particolaristico, costituendo un popolo distinto e separato
dagli altri dalle sue peculiari leggi religiose. Ma nel secondo senso riconosce
che il progresso morale e l'amore e l'approvazione divini che ne conseguono
sono privilegio ed obbligo di tutta l'umanità. Perciò il Talmud formula le
sette leggi noachiche, osservando le quali tutto il genere umano può giungere
alla perfezione spirituale, e senza le quali la morte morale seguirà inevitabilmente.
Questa è probabilmente l'idea sottesa all'asserzione [talmudica] che un gentile è passibile di morte se viola una qualunque
di esse".
Tra tutte le costituzioni
repubblicane del mondo moderno, quella degli Stati Uniti è la sola che sancisca
la "liberty
under God', la libertà
del cittadino però soggetta a Dio. Non è una costituzione illuminista e
volterriana. I padri fondatori, nell'inserire quel passo, avevano un'idea
precisa di come si configurasse la "soggezione a Dio" americana: come soggezione ai
Dieci Comandamenti, e al "non fare agli altri quel che vorresti non fosse
fatto a te", non
alle balzane leggi noachiche. 'Io sono un cristiano vero
[...] discepolo delle dottrine di Gesù", scriveva Thomas Jefferson, il 9
gennaio 1816, all'amico Charles Thompson. E le dottrine di Gesù implicavano,
per costoro, che Dio ha fatto gli uomini liberi e uguali. Herman Melville, nel romanzo di
fondazione americano Moby
Dick, eleverà un
epico inno al Dio cristiano come "centro e circonferenza di ogni
democrazia. La sua onnipresenza, la nostra divina eguaglianza". "Il
grande Iddio democratico", "lo spirito dell'eguaglianza che ha steso
sopra tutta la mia specie [gli uomini] un regale mantello di umanità", è nella costituzione americana "il fonda-
mento di ogni progresso
morale dell'umanità": l'esatto contrario del segregazionismo della "razza
eletta" enunciato
dall'ebraismo retrivo dei Lubavitcher. La Costituzione americana fu scritta da
democratici radicali. Non ammette due codici e due leggi, una per gli "eletti" e una per coloro che non avranno parte nel "mondo a
venire".
Ma negli Stati Uniti d'oggi, non
è più questa costituzione scritta a guidare il governo. Nel marzo del 1991,
come ho già ricordato, il presidente Bush (padre), a Camere riunite, emanò la Joint House Resolution
104, Public Law 102-14, con cui la data di nascita di
rabbi Menachem Schneerson fu dichiarata come "giorno dell'istruzione" in Usa. Nel preambolo della nuova
legge, viene detto: "il
Congresso riconosce la tradizione storica di valori etici e principi che sono
la base della nostra società civile e su cui la nostra grande nazione è
fondata".
Qui, ci si aspetterebbe
l'evocazione della "tradizione
storica" e
dei "valori
etici" americani
enunciati da Jefferson, da Payne, da Washington: libertà sotto Dio, uguaglianza,
democrazia. Invece, ecco il seguito.
"Questi principi e
valori etici sono stati la base della società fin dall'alba della civiltà,
quando essi furono conosciuti come le sette leggi noachiche" '.
Le leggi noachiche. Il Congresso
Usa fa' dunque riferimento, dal 1991, a quelle. In America non vige più la
Costituzione, ma le norme talmudiche riservate a noi goym.
' Al sito thomas.loc.gov/cgi-bin/query/z?cl02:H.J.RES.I04.ENR.
Capitolo 4
LE DUE LEGGI
Da anni i Lubavitcher conducono una campagna contro la
festività del Natale. Uno dei loro volantini recita così: "Campagna per
abolire le celebrazioni di Natale dei gentili [...] in base alla nota sentenza
ebraica che definisce i cristiani idolatri (Likkutei Sichos 37:198)"'.
"Sentenza" qui va inteso nel senso
giudiziario: il Talmud è di fatto una raccolta di sanzioni penali, pronunciate dai rabbini e
originariamente dai Farisei 2 nel corso dei secoli. Con la serietà
dei fanatici i Lubavitcher intendono applicare il loro codice penale ai
gentili dal momento che i tempi messianici sono qui, e il comando del mondo
spetta a loro. Non nascondono nemmeno quale tipo di disciplina intendono
applicarci, appena potranno, per chi si macchia della colpa di celebrare il
Natale.
"Un gentile [...]
è passibile di pena capitale [...] se ha inventato una festa religiosa per sé.
Il principio generale è che non gli consentiamo di elaborare nuovi rituali
religiosi e mitzvah [comandamenti,
o anche "benedizioni",
"buone azioni", ndr.] per
conto proprio [...] Se egli compie
' Sul world wide web, noahide.com/xmas.htm. Il "Likkutei
Sichos" è la raccolta dei discorsi del rebbe Schneerson, a cui i
fanatici attribuiscono il valore di rescritti talmudici.
2 |
Cfr. Universal Jewish Encyclopedia, 1948, Vol.8, pag. 474: "La religione ebraica quale oggi è discende senza
interruzione, attraverso i secoli, dai Farisei. Le loro idee direttrici e
metodi hanno trovato espressione in una letteratura di enorme estensione, che
in grandissima parte è ancora esistente. Il Talmud è il più grande e importante
corpo di [questa] letteratura, e il suo studio è essenziale per
un'autentica comprensione del farisaismo".
una mitzvah nuova, noi
lo staffileremo, lo puniremo, e lo informiamo che è obbligato [sic] alla pena
di morte per questo (Rambam Mishne TorahHilchose Melachim 10:9)".
L' autorità qui citata,
"Rambam", non
è altri
che Maimonide, il talmudista
sefardita vissuto in Spagna fra il 1134 e il 1204; la "Mishne Torah"
è una delle sue opere più
famose. "Maimonide", c'informa in un testo sefardita, 'fin l'autore della
Mishne Tora, uno dei più grandi codici di leggi ebraiche; egli compilò ogni
concepibile questione della legge ebraica in ordine di materia, fornendo una
pronuncia semplice delle posizioni prevalenti [fra i rabbini] in linguaggio
piano. Al suo tempo, Maimonide fu ampiamente condannato per aver sostenuto che
la Mishne Torah sostituiva lo studio del Talmud" 3. Dunque il diritto penale che i
Lubavitcher riservano
ai goym
discende da una solida tradizione
giudaica. Non è una loro invenzione, ma si richiama a
Maimonide.
D'altra parte già il Talmud babilonese (Soferim 15, legge 10)
cita un rabbi
Simon ben Yohai
che sentenzia: "Tob shebe goyyni
harog" ("Anche il migliore dei gentili merita la morte"). La
durezza di questa sentenza
è stata
dissimulata nella versione
del
Talmud di Soncino,
che i
gentili potevano leggere:
"anche
il migliore fra gli Egiziani....". Per prudenza, come riconosce la Jewish
Encyclopedia nell'edizione
del 1903
(voce "Gentiles",
Vol. 5, p. 617).
Ma ormai, per i Lubavitcher, non è più tempo di prudenza: il tempo del dominio dei
Gentili, di "Edom", degli "Egizi" è finito. Ora è arrivato il tempo della
legge giudaica sui gentili, che è la base di "ogni progresso morale". Essi la
proclamano apertamente:
"Se un infedele
colpisce un ebreo, è degno di morte [...] Colui che colpisce un israelita
sulla mascella, è come se avesse aggredito la Divina Presenza, poiché è
scritto: se uno colpisce un uomo, è l'aggressore dell'Unico Santo"
(Sanhedrin, 58b).
Se uno colpisce "un uomo", deve essere inteso: un giudeo. Solo i giudei sono uomini.
' Sul
web: "Sephardicsages.com/rambam.html"
Il rebbe, Menachem Schneerson, ha sviluppato ampiamente il concetto di uomo e di non-uomo (il gentile) a proposito
della questione dei trapianti e di quella dell'aborto: problematiche
post-moderne che il "savio"
affronta col primitivismo oscurantista giudaico.
"Ci si domanda:
perché un non-ebreo deve essere punito se uccide un feto anche non-ebreo,
mentre un giudeo non deve essere punito anche se uccide un feto giudeo? La
risposta proviene dal considerare la differenza generale tra ebrei e non-ebrei:
un ebreo non è stato creato come mezzo per qualche altro scopo; egli stesso è
lo scopo [...] L'intera creazione esiste per servire i giudei. Per questo un
non-ebreo deve essere punito con la morte se uccide un feto, mentre un ebreo,
la cui esistenza è la sola cosa importante, non deve essere condannato alla
morte per[ché ha distrutto] qualcosa di secondario. Non si deve eliminare una
cosa importante per il bene di una cosa ausiliaria. Vero è che esiste una
proibizione di danneggiare un feto, perché è qualcosa che nascerà in futuro e
che già esiste informa nascosta. [Ma] la pena di morte dovrebbe essere invocata solo quando sono
in causa cose visibili; come detto sopra, il feto è solo d'importanza
sussidiaria".
Altrove: "Se un
giudeo ha bisogno di un fegato, può prendere il fegato di un non ebreo
innocente per salvare il primo? La Torah probabilmente lo consente. La vita di
un ebreo ha valore infinito. Se vedi due persone affogare, un ebreo e un non
ebreo, la Torah ti impone di salvare prima la vita dell'ebreo"
Commenta Shahak: "Basta cambiare
qui la parola "ebreo" con "tedesco " o "ariano
"; ed ecco la dottrina che ha reso possibile Auschwitz" °. È un bel saggio della moralità
superiore dell'ebraismo,
che pretende condurre
tutti noi - volenti o nolenti - all'obbedienza di quei "fondamenti del progresso morale dell'uomo" che sono le leggi noachiche. Come abbiamo visto, le leggi noachiche prescrivono a noi
"l'obbedienza all'autorità". Ovviamente non c'è autorità superiore a quella rabbinica.
' Op, cit, p. 62.
Dobbiamo ad Israel Shahak anche i due rescritti del rebbe sopra citati a
proposito di aborto e trapianto.
Ne conseguono talune sgradevoli
conseguenze: la società multirazziale andrà bene per i goym, ma non vale per
gli uomini superiori, fine della creazione. Il rebbe si limitava a deplorare i
matrimoni fra ebrei e gentili come "cremazione spirituale". Nel suo "Regno" messianico, simile misfatto
comporterà la pena di morte (ovviamente per il gentile, non per l'ebreo).
Per il rebbe, già lo sappiamo,
libertà individuale e uguaglianza di fronte alla legge sono "ideali mal
concepiti". I
testi Lubavitcher sono qui per precisare il concetto.
"Sul monte Sinai
D. diede i Dieci Comandamenti (e centinaia di altri) [sic] al popolo ebraico.
Queste leggi riguardano solo gli ebrei nel loro ruolo speciale di guide
spirituali del mondo"'.
"La legge
contiene due sentieri paralleli (ma separati) per il mondo: 613 comandamenti
per gli ebrei, e 66 comandamenti (contenuti nelle 7 leggi noachiche) per i
gentili [...] i non ebrei possono non osservare il Sabato o le festività al
modo degli ebrei [...] né assistere alla lettura pubblica della Torah in una
sinagoga" t'.
Ancora: "1 sette comandamenti [le sette leggi noachiche] non sono leggi
arbitrarie, ma il piano di D. per l'umanità. Solo per gli ebrei tali sette
leggi sono state sostituite dai dieci comandamenti. Agli ebrei D. diede l'intera
Torah e la legge. Per questo hanno una speciale responsabilità - e
comandamenti speciali - per essere il sacerdozio del mondo, "luce fra
le nazioni"'.
Non è una posizione esclusiva
della setta. La American
Cìvil Liberties Union, uno dei tanti organismi della cosiddetta "lobby
ebraica" in
Usa, si oppone all'affissione dei Dieci Comandamenti nelle pubbliche scuole e,
in generale, nei luoghi pubblici. Ecco perché: per il giudaismo, i Dieci
Comandamenti non sono proprietà pubblica, ma solo degli ebrei. Per i gentili,
ci sono le leggi noachiche.
' "Who is the Son
of G_D?" sul sito "noahide.com/son.htm".
"The Law is Only a
Minimum", su "noachide.com/minimum.htm".
' "What
is Noah's Covenant? Su "noahide.com/covenant.htm".
Ovviamente, nel "mondo a venire", i goym o "gentili hassidici" non giudicheranno da sé le
violazioni delle leggi noachiche.
"Le
comunità noachiche richiedono [...] tribunali, presieduti da giusti giudici
rabbinicamente educati, che funzioneranno similmente agli ebraici batei dinim
(tribunali)"'.
Del
resto, c'informano i Lubavitcher, "già oggi un programma di Torah per il
doposcuola a casa viene usato per insegnare ai bambini noachidi [...]
L'approccio educativo riduce al minimo gli studi laici (matematica, scienze,
storia, inglese, sociologia, computer e altri studi tecnici) in favore di
un'immersione totale nella Torah, la parola di D."
Non dice Isaia che "lo straniero
guarderà le vostre greggi"? L'umanità inferiore, destinata a servire la "luce delle
nazioni", non
ha bisogno c istruzione scientifica o umanistica. Generoso, Chabad sta già
distribuendo su internet e per posta il corso semplificato di Torah per i
servi-pastori.
Del resto, "non ebrei non
devono essere elevati ad alcun officio o posizione di potere sopra degli ebrei.
Se rifiutano di vivere una vita di inferiorità, questo segnala la loro
ribellione e l'inevitabile necessità della guerra ebraica contro la loro stessa
presenza nella terra d'Israele ": questo non è un rescritto rabbinico, ma una dichiarazione
di Mordechai Nisan, docente della Hebrew University di Gerusalemme, pubblicata nel
1984 ', nello spirito del Talmud e di Maimonide.
Così, un'inquieta curiosità ci
prende di conoscere le 7 leggi, proliferate rabbinicamente in 66, alle quali
noi goym saremo soggetti nel mondo venire. Apprendiamo che ci sarà proibita la
cospirazione (legge 25); proibito consultare i morti (legge 30) e mangiare un
membro strappato a un animale vivo (legge 15). Ci è proibito praticare Ov
(legge 7) e praticar Yiddoni
(legge 9),
qualunque cosa ciò significhi. Ci sono consentiti invece, apprendiamo con
sollievo, i sacrifici rituali - evidentemente nel "tem-
'The Final War for Jerusalem (Why Permanere Israeli Victory Is Now
Within Reach)' su "noahide.com/fìnalwar.htm".
' Israel Shahak, op.cit., p. 73.
25
pio"
ricostruito. Le
violazioni saranno invariabilmente punite in un solo modo: per decapitazione
(legge 16).
Proibito, anzi proibitissimo,
adorare Moloch, e specificamente "passare i nostri figli nel fuoco in
onore di Moloch" (legge 7). A quanto pare questo non dovrebbe essere un problema per
noi cristiani, anche nominali; lo è stato, come si legge nella Bibbia, per gli
ebrei. D'altra parte, il Talmud (Sanhedrin 64a-64b) prescrive certe condizioni, sotto le
quali gli ebrei possono sacrificare i loro figli a Moloch. C'è sempre
un'eccezione per gli ebrei.
Lo si vede, più chiaramente che altrove, su una materia
delicata come la pedofilia. Il Talmud (Sanhedrin 55b, 69a) fulmina: "Le bambine
portano dura punizione su coloro che hanno rapporti con esse quando sono mestruate".
Tuttavia, questo
anatema ha di mira non l'atto sessuale, ma la paura ebraica del sangue
mestruale e l'ossessione della "purità" rituale.
Infatti:
"quando
un adulto ha rapporto con una bambina, è nulla; perché quando la bambina ha
meno di tre anni, ciò è come se uno ficca un dito in un occhio. Le lacrime
vengono e vengono; così la verginità torna a una
bambina sotto i tre
anni" (Ketuboth
11b). Questa s'intende è una legge "per il bene degli ebrei", e deve far parte delle "centinaia" di rivelazioni date da D. sul Sinai esclusivamente al popolo
eletto. Inoltre: "quando
un bambino [ebreo]
di meno
di nove anni ha rapporti sessuali con una donna adulta, o quando una ragazza
si è accidentalmente ferita con un pezzo di legno [evidentemente durante la
masturbazione] non
vale riguardo ad essi l'accusa di non verginità" (Ketuboth 1 la).
Ne segue che una bambina di tre
anni e un giorno "può
essere presa in matrimonio per coito" (Sanhedrin 55b). Che "un ebreo può
sodomizzare un bambino se questo ha meno di nove anni" (Sanhedrin 54b). A maggior
ragione, "una
bambina non ebrea di tre anni può essere violata" (Aboda Shara 37a), e lo stupratore "resta
impuro solo fino a sera" (Choschen Ha'mischpat).
Sulla pederastia lecita i pareri dei giuristi rabbinici discordano:
"Rab
ha detto: la pederastia con un bambino sotto i nove anni non è considerata
come la pederastia con
un bambino sopra quell'età. Samuele ha detto: la pederastia con un bambino
sotto i tre anni non è riguardata come i pederastia con un bambino sopra
quell'età".
Ma, per i membri del popolo eletto, nemmeno queste
violazioni sono passibili di morte. Anzi. La legge prevede per loro ogni sorta
di condono
"Una donna venne
da rabbi Hisda e gli confessò che il suo più lieve peccato era che il suo
figlio più giovane era il prodotto del suo figlio più anziano. Poiché era il
suo peccato più lieve, fu scusata"
(Abodah Zara
17a). "Il rapporto sessuale è
permesso con un morto, sia che fosse o non sposato" (Yebhamoth 55b). "Una donna che ha
avuto rapporti con un animale ha titolo per sposare un sacerdote ebreo" (Yebamoth 59b).
Il giogo della legge è leggero,
per i figli della "luce",
la razza
superiore che detta questo tipo di norme per "il progresso
morale dell'umanità". È duro e pesante solo per i goym: "Ma gli akum (cristiani) sono stati
creati per il solo fine di servire loro [gli ebrei] giorno e notte. Né devono mai essere alleviati
dal servizio. È degno del figlio di un re che gli animali nella loro forma
naturale, e gli animali informa umana, lo servano" (Midrash Talpiot, folio 225d).
Capitolo 5
GENTILI PER ISRAELE
Il rebbe ha disposto un compito fin d'ora per i nuovi
servitori. Indovinate quale? Non c'è bisogno che vi sforziate. La setta Chabad
spiega apertamente, nel sito JHG-USA ("Jewish and Hasidic Gentiles Unite to
Save America") quale
è il progetto su di noi infedeli.
Il testo è un appello, e anche musica per le orecchie di
quella vasta area del fondamentalismo protestante americano convinta di vivere
alla fine dei tempi (end
times) e che
attende the
second coming, il "secondo avvento di Cristo". Come spiegano i Lubavitcher nei
loro testi, "Circa
i due terzi degli americani si descrivono come [cristiani] rinati, e i più di loro
credono che l'avvento del messia sia imminente e che, come la Bibbia
chiaramente profetizza, le forze del male stanno sferrando guerra ad Israele".
Non che costoro
siano precisamente dei filosemiti, anzi. Ma vedono nel ritorno degli ebrei in
Terrasanta un infallibile "segno dei tempi", predetto dalle Scritture; come
ripetono i loro telepredicatori, il ritorno ebraico pone le condizioni per
l'ultima battaglia, quella fra il "bene" e il "male", che avverrà in Armageddon. Gli
ebrei fondamentalisti "accelerano"
il tragico ma
fausto evento - che segnerà anche la loro fine - sicché vale la pena di
aiutarli.
I Lubavitcher lo sanno. E
pensano, con perfetta simmetria, che bisogna mobilitare questi gentili per la
battaglia finale che vedrà la vittoria ultima di Israele. Entrambi coincidono
in qualche modo nella diagnosi dei
"tempi". D'altra parte, scrivono, "la Cristianità
sta crollando fra lotte intestine e confusione teologica, e diventa un vuoto
incapace di difendersi
sia contro le menzogne di Amalek [nella Bibbia, una tribù
discendente da Esaù: per i Lubavitcher, sono probabilmente i musulmani], sia contro la verità
della Torah. Amalek può sfruttare il collasso mondiale della cristianità solo
se il popolo ebraico non coglie prima l'irripetibile opportunità". Di fatto, secondo i fanatici, "tutti i sei
miliardi di gentili sono pronti a chiedere ai giudei di farsi loro guide
spirituali in questi tempi di oscurità". Ecco l'opportunità.
Scrivono ancora i Lubavitcher: "siamo in guerra.
Non è solo una lotta per il potere, i beni o qualche altro vantaggio
materiale; è uno scontro titanico sul futuro della civiltà mondiale (...]
Questa guerra già dilaga in ogni nazione, in ogni istituzione sociale, in ogni
attività umana. Per questo è una "guerra mondiale" nel
significato più radicale" ' .
Naturalmente, per la setta l'esito è certo.
"Il popolo ebraico ha il privilegiato potere di vittoria, per salvare il mondo dalla via di completa autodistruzione in cui è avviato. Siamo oggi l'ultima generazione dell'esilio ebraico, e la prima generazione del messia: perciò alle nostre azioni è garantito il successo miracoloso".
Il successo sarà conseguito - valga la pena notarlo -
utilizzando i gentili.
"Come ha spiegato
il rebbe Lubavitcher, trasformando i gentili possiamo creare un vasto esercito
di sostenitori che ci aiuteranno a rivelare il messia e riportare gli ebrei
alla Torah".
Chi pensasse che la setta abbia
in mente una guerra spirituale, un pio "riportare gli ebrei alla
Torah", si ricreda. Il rebbe (il messia) ha in mente un progetto
politico-militare ben preciso.
"Specificamente,
il rebbe ha sottolineato che il "processo di pace" in Israele
sarà sconfitto solo attraverso la nostra influenza sui gentili, specie
attraverso la campagna per insegnare le leggi noachiche (Cfr. Sichos in English, vol. 16 (19 Kislev 5743)" .
sito web: "noahide-com/finalwar.htm"
z Si tratta dei detti in inglese di rabbi Schneerson.
Dunque è la guerra che il rebbe
vuole. La guerra combattuta con tutte le armi della potenza militare ebraica e
di quella americana. Una guerra senza quartiere, per cancellare ogni presenza
estranea dalla sacra terra d' Israele.
Come infatti ha spiegato Alla Bronfeld sul Washington Report on
Middle East Affairs (marzo
2000),
"Rabbi Schneerson
ha sempre appoggiato le guerre di Israele e s'è opposto ad ogni concessione.
Nel 1974 si oppose strenuamente al ritiro israeliano dall'area di Suez. Egli
promise il divino favore a Israele se continuava l'occupazione della terra.
Dopo la sua morte, migliaia dei suoi seguaci israeliani hanno contribuito in
modo importante all'elezione di Benjamin Netanyhau. Tra i coloni religiosi nei
territori occupati, gli hassidici Chabad costituiscono uno dei gruppi più
estremisti. Baruch Goldstein, il massacratore dei palestinesi, era uno di
loro".
La propaganda israeliana ha
imposto al mondo la versione che l'Olp ha silurato il processo di pace perché
voleva più terra, più potere, Gerusalemme capitale, eccetera. Ma negli otto
anni del "processo
di pace", i palestinesi
hanno visto aumentare dì due terzi, incessantemente, i nuovi insediamenti
sulla terra che, secondo le trattative in corso, doveva andare a loro.
Ora cominciamo a vedere perché:
erano i messianici ebraici a sabotare il processo di pace. Costruivano
insediamenti; a volte, non più di cinquanta persone. Ma poi invocavano
l'esercito israeliano per proteggerle: così anche duemila soldati, con mezzi
pesanti e armamento temibile, occupano territori palestinesi per difendere
piccole minoranze la cui pretesa non viene messa in discussione dal governo
d'Israele. Questo è il dato significativo: proprio le minoranze più
oscurantiste esercitano un'egemonia, che nessuno contesta in Israele, perché
nella visione ebraica questi estremisti sono "i più veri" ebrei. La politica dello stato viene piegata a una
visione messianica.
Del resto i Lubavitcher non sono soli ad aver sabotato
con colpi di mano, e soprattutto insediando colonie nell'area palestinese, il
processo di pace.
Costoro sono convinti che "l'efficienza messianica" - visto che il messia è arrivato - implica "conquista, non
arretramento e spartizione" s del suolo "sacro". Ma un movimento solo
apparentemente più laico, il Gush Emunim (Blocco dei Fedeli) - per cui simpatizza, secondo i
sondaggi, metà della popolazione israeliana - sostiene precisamente la stessa
cosa. Messianismo senza messia, il Gush Emunim "insiste sulla
colonizzazione di tutta la terra d'Israele [...]: il popolo ebraico detiene un
diritto sacro sulla terra d'Israele, ed è dunque suo dovere sacro prendere
possesso del paese . L'integralità della terra per l'integralità
dell'ebraismo" '.
I seguaci del Gush Emunim hanno appreso la loro dottrina da
Tzvi Yehuda Kook (1891-1981), unico figlio di quel rabbi Abraham Kook che abbiamo
visto salutare il sionismo ateo e socialista come restauratore, a sua insaputa,
del sacro Israele con "l'utilizzo
delle forze vive e negatrici che operano nel profano alfine di elevarlo verso
la sua sorgente superiore".
Perché anche le `forze negatrici" sono ebraiche, e dunque divine.
La "dottrina"
ebraica per
realizzare (o meglio per "affrettare") l'avvento del "Regno" è tutta fondata su questo
amoralismo narcisista: l'esito estremo dell’autoadorazione giudaica, dei popolo
che non si limita a credersi tiglio di Dio, ma Dio esso stesso 5.
Atei o religiosi, "mistici" o secolari, gli ebrei puntano
tutti e sempre lì. E quella visione integralista guida la politica dello stato
d'Israele. Il Lubavitcher s'inseriscono in una solida tradizione - su una
versione maligna della "elezione"
d'Israele come "supremazia"
- non solo mai
contestata nel mondo ebraico, ma pienamente accettata.
Dunque, la guerra. E saranno i gentili a combatterla per
conto del popolo eletto.
David
Banon, cit. p.124
David
Banon, cit., p. 106
' Per un cristiano, è impossibile non ricordare a
questo proposito quanto san Paolo profetizza a proposito dell'Anticristo:
vorrà "sedersi
nel Tempio di Dio, dichiarando Dio se stesso" (II Tessalonicesi, 2,4).
Capitolo 6
TUTTI I CHABAD DEL PRESIDENTE
Si potrebbe ridere di questi progetti, come il frutto
insensato di menti torbidamente oscurantiste, se essi non avessero accesso - e
non trovassero orecchie pronte ad applicarli - nell'Amministrazione del
presidente Bush jr. Ne rideremmo, se fossimo sicuri che in America vigono
ancora la democrazia, la Costituzione e la libertà d'espressione anziché le "leggi noachiche";
e se non
temessimo che democrazia e libertà americane siano sotto controllo, e spesso
sotto intimidazione, dell'irrazionalismo millenarista, del messianismo
ebraico. Per il quale, come abbiamo visto, ogni mezzo è lecito per giungere al
fine: e ciò, come vedremo, pone inquietanti domande specie in relazione agli
eventi dell' 11 Settembre e a come quegli eventi hanno trasformato la politica
americana. Già la lista dei Lubavitcher, o dei politici che hanno pubblicamente
prestato la loro fedeltà al rebbe, nell'attuale governo e parlamento degli Usa
è allarmante. L'elenco che produciamo è probabilmente incompleto. Esso
comprende però sicuramente:
Ari Fleischer, portavoce della Casa Bianca con
grado di ministro. Ha accesso quotidiano al presidente Bush. Fleischer, che ha
conosciuto il rabbino Shemtov mentre lavorava per un senatore repubblicano del
New Mexico, è uno dei più assidui ed entusiasti frequentatori dei seminari
lubavitch. "Il rischio del mio lavoro è di perdere di vista i fini della religione.
Egli [Shemtov] mi ha reso facile
vivere una vita sempre più ebraica in Campidoglio" (Jerusalem Post, 22 ottobre 2001).
Paul Wolfowitz, vicesegretario alla Difesa, il più estremo dei "falchi"
anti-musulmani, capo di quella che persino il Village Voice ha denominato "la camarilla
Wolfowitz", che
spinge per una guerra totale degli Usa contro Irak, Iran e Siria (dovremo
riparlarne diffusamente). Dov Zackheim, comptroller alla Difesa (ossia controllore
del bilancio del Pentagono), che è in proprio un rabbino ortodosso e che ha - a
quanto si dice - la doppia cittadinanza, americana e israeliana.
Douglas Feith, sottosegretario alla Difesa e "policy
adviser" del
Pentagono (cioè consigliere per le politiche militari) è allo stesso tempo
capo di uno studio legale (Feith & Zell) con sede in Israele, dove
rappresenta la Israeli
Armements Manufacturers, ossia la principale fabbrica di armi dello stato ebraico. Che questo
configuri un gravissimo conflitto d'interesse - più precisamente interesse
privato in atti d'ufficio - è ovvio. Ma è anche evidente che le norme e i
codici dei goym non valgono per un membro così prominente del "popolo
eletto", che
oltretutto - in quanto esponente di spicco della Zionist Organization of
America, una
delle tante entità che compongono la cosiddetta "lobby
ebraica" - suggerisce
apertamente politiche anti-arabe.
Marc Grossman, sottosegretario di stato per gli
affari politici (dunque uno dei suggeritori principali del presidente), ex
ambasciatore in Turchia (1994-1997), era già assistente segretario di stato per
gli affari europei sotto Clinton: i suggeritori ebrei non cambiano, al cambiare
dei governi. In quelle sue vesti precedenti, Grossman è stato insostituibile
sia nell'allacciare gli stretti rapporti militari, quasi un'alleanza, che
attualmente uniscono Turchia e Israele, e insieme nel convincere (o obbligare)
l'Europa ad ammettere la Turchia fra i suoi membri.
Richard Haas, direttore al Dipartimento di
Stato del Policy Planning (un altro suggeritore dietro le quinte), nonché direttore
del National Security Programs. In questa veste, dall' 11 settembre, invoca
(come Wolfowitz) l'immediato bombardamento dell'Irak. Haas è anche membro
dell'influentissimo Council on Foreign Relations (CFR), il "centro di studi
strategici" privato,
finanziato dai Rockefeller, che dal 1918 elabora la politica estera degli Usa.
Al CFR (dove brillano per influenza Henry Kissinger e James Schlesinger,
entrambi ebrei, consiglieri del Pentagono e av-
vocati di una nuova guerra all'Irak), Haas ha diretto il "gruppo di studio
sulla utilità delle sanzioni economiche come strumento della politica estera
americana" (1997),
ossia sull'utensile politico-economico per imporre l'interesse nazionale Usa
(o rabbinico) agli altri paesi, renitenti o no. Robert Zoellick, altro
ebreo, è US Trade Representative: negoziatore principale sulla globalizzazione
economica, carica nella quale non manca di applicare le direttive elaborate da
Haas e dal CFR. In posizione meno rilevante, più nell'ombra, ci sono altri
personaggi che frequentano i seminari politico-messianici del rabbino Shemtov. Steve
Goldsmith, "senior
advisor", ossia
suggeritore molto ascoltato del presidente, in continua spola tra Washington e
Gerusalemme. Adam Goldman, agente di collegamento (special liaison) del presidente presso la
comunità ebraica americana, che continua (senza averlo rimpiazzato) il lavoro
di Joseph Gildenhorn, special liaison per la campagna presidenziale di Bush figlio.
Evidentemente, il presidente necessita di due persone di collegamento con la
comunità, per essere sicuro di interpretarne fedelmente i desideri.
Joshua Bolten è chief policy director della Casa Bianca, un altro suggeritore.
Brad Blakeman, direttore degli appuntamenti alla
Casa Bianca.
Lewis Libby, capo dello staff del vicepresidente Dick Cheney.
Mel Sembler, presidente della Export-Import
Bank degli Usa, la banca (fondata da Averell Harriman per "aiutare" l'Urss negli anni della grande
crisi economica sovietica): entità sopravvissuta dello statalismo sovietizzante
in pieno liberismo capitalista, che sovvenziona le esportazioni americane.
Mark Weinberger, assistente segretario al Tesoro, cioè viceministro. Samuel
Bodman, vicesegretario al Commercio.
Bonnie Cohen, sottosegretario di stato per
l'amministrazione pubblica. Ruth Davis, direttrice del Foreign Servíce
Institute, con un potere di controllo sul personale diplomatico.
Lincoln Bloomfield, assistente segretario di stato (altro
viceministro) per gli affari politico-militari.
Jay Lefkowitz, consigliere generale dell'Office of Budget and Management, ossia della Ragioneria Generale
dello stato.
Michael Chertoff, capo del ministero della Giustizia, sezione penale. David
Frum, che scrive i discorsi della Casa Bianca. Quando ascoltate Bush
parlare, ricordate che esprime parole e concetti scritti da uno degli ardenti
sostenitori messianici di Israele. Frum, come tutti i già citati, non è solo
ebreo, ma è un prominente lobbista pro-israeliano. Nessuno di costoro ha
ovviamente spezzato mai una lancia per le ragioni dei palestinesi.
Seguono una decina di
ambasciatori. Anche l'ambasciatore Usa in Italia, Mel Sembler, è un
lobbista ebraico. Così, inevitabile, l'ambasciatore Usa in Israele, Daniel
Kurtzer.
Non basta. Alla già lunga lista
vanno aggiunte alcune personalità che lavorano per il governo ancora più
nell'ombra, come consiglieri e membri del National Security Council, il "concilium principis", la camera privata del presidente
che - non eletta ma cooptata - elabora le politiche presidenziali senza alcun
controllo democratico. Eccone alcuni identificati: Robert Satloff, consigliere
per la sicurezza nazionale, ha scritto sul Los Angeles Times (27 giugno 2002) quali sono i suoi consigli: "chiudere il conto con Arafat" (Sharon ha eseguito). Inoltre, Satloff
dirige il Washington Institute for
Near East Policy, un
ufficio-studi che altro non è che una branca della lobby ebraica.
Elliott Abrams, già intimo di Bush padre, "falco" pro-israeliano nell'amministrazione Reagan, e
coinvolto nell'oscura vicenda Iran-Contra (armi acquistate da Israele in Iran
(!) per poi paracadutarle ai guerriglieri anticomunisti del Nicaragua) e in
una vicenda ancora più oscura: l'illegale fornitura di armi all'Iran quando era
in guerra con l'Irak. Lo scoppio dello scandalo Iran-Contra rivelò l'esistenza
di una "rete" segreta militare-spionistica,
dell'estrema destra "patriottica"
(platealmente
rappresentata dal colonnello Oliver North), che conduceva politiche aggressive
nel mondo indipendentemente dagli ordini del governo. Ne seguirono audizioni
presso varie commissioni parlamentari. Abrams fu interrogato da tre commissioni:
mentì, al punto di essere incriminato per grave falsa testimonianza
(felony). Nel 1991 si riconobbe colpevole, il che gli fruttò una
pena lieve: un anno di libertà vigilata e cento ore di affidamento ai servizi
sociali. Un anno dopo, Bush padre gli concedeva il completo perdono lustrale.
Ora di nuovo al governo, con Bush figlio. Richard Perle, personaggio con
una storia interessante: negli anni '70,
portaborse del
senatore Henry Jackson, fu cacciato dagli uffici senatoriali perché la
National Security Agency (NSA, una specie di super-Cia per gli interni) lo
aveva colto a consegnare documenti classificati "segretissimi", e relativi alla sicurezza nazionale,
all'ambasciata d'Israele. A dispetto di questo sospetto di spionaggio,
rieccolo suggeritore del governo Bush jr. Nel frattempo ha lavorato per la
Soltam, fabbrica d'armi israeliana. Membro infocato della "camarilla Wolfowitz", dopo l' 11 settembre ha inviato
una lettera aperta al presidente (sottoscritta da numerosi firmatari, tutti
ebrei) per esigere l'immediato intervento contro l'Irak, da lui accusato di
complicità con Al-Qaeda (legame poi smentito dalle indagini).
Basta così? Finita quest'interminabile
lista? No, veramente no. All'elenco si deve aggiungere, per esempio, Ruth
Bader Ginsburg, la donna che siede alla Corte Suprema: dichiaratamente
fiera del suo ebraismo. Vero che fu nominata a quel posto - Corte
Costituzionale, il luogo supremo della giustizia Usa - da Bill Clinton nel
1997. Ma ciò non significa che gli orientamenti della signora sino diversi da
quelli dei falchi scelti da Bush.
Anzi. Nella fedeltà alle
direttive del rebbe, e al suo progetto millenarista, gli ebrei che contano
nella politica dimostrano un'ammirevole bipartisanship. Si prenda, al
Congresso, il senatore (democratico, Connecticut) Joseph Lieberman. È
stato candidato alla vicepresidenza a fianco di Al Gore: avessero vinto i
democratici, sarebbe stato lui a garantire che la politica Usa verso Israele
restasse la stessa. Come del resto, sorveglia che i goym democratici non si
discostino dalle "direttive",
magari - non si
sa mai, un partito di sinistra - esibendo un fastidioso pacifismo, anche il senatore
Carl Levin (democratico, Michigan) che presiede la Commissio-
37
ne delle Forze Armate al Senato. Al Senato, Levin ha
pronunciato un commosso elogio degli "ideali" del Chabad Lubavitch.
Destra o sinistra, democratici o
repubblicani, i membri della comunità ebraica non fanno nemmeno finta dì
nutrire posizioni diverse sulla materia essenziale. Lo ha confermato un
articolo del Jewish
Times (di Baltimora,
del 26 ottobre 2001). Il titolo del pezzo, "Ari Fleischer, reform Lubavitch",
è di per sé
istruttivo: "come
quasi tutti gli alti responsabili della Casa Bianca, la vita del segretario alla stampa Ari Fleischer
[repubblicano] è stata un vortice incessante dall'11
settembre. Però la settimana scorsa
s'è preso alcune ore di vacanza per andare a ritirare il premio elargitogli dall'American Friends of Lubavitch, e per aiutare ad accrescere l'influenza ebraica, a cui il gruppo dedica i suoi sforzi, al Campidoglio. Sono sforzi che Fleischer, già alto funzionario del Congresso, sostiene fin dall'inizio.
"Il gruppo [ossia Chabad] gli ha
conferito l'onorificenza per la "Young Leadership",
mentre il senatore Joseph Lieberman è stato l'ospite d'onore della
grande cena successiva, che ha attratto centinaia di pezzi grossi della politica a Washington, funzionari del Campidoglio e miliardari
washingtoniani.
Fleischer è stato uno dei primi capi
e
co-presidenti del Capitol Jewish forum di Chabad,
che unisce deputati, senatori e personale del Congresso e dell'Amministrazione
per lo studio degli eventi ebraici (...1 Con grande senso dell'unità sopra le barriere partitiche, sia Fleischer sia Lieberman
hanno elevato eloquenti lodi sull'attiva opera di Chabad volta a valorizzare
l'armata dei giovani impegnati coane funzionari nel governo e nel lavoro politico".
Il Jerusalem Post, il 22 ottobre 2001, è stato anche
più esplicito. "Le
cene del Shabbat di Shemtov [il rabbino-controllore] riuniscono ebrei che sarebbero
avversari politici naturali nei dibattiti
della CNN". E cita
Thomas Kahn, pezzo grosso dei democratici alla camera bassa: "Non c'è nessuno [più di Shemtov] che sia così
generalmente rispettato e cordialmente ricevuto al Congresso,
nell'amministrazione e nel corpo diplomatico. In gran parte [Shemtov] lo deve semplicemente alla sua forza di personalità
e anche come tributo a Chabad'.
Tutti i personaggi sopra nominati presenziano
regolarmente ai "seminari"
di Chabad che il
rabbino Shemtov tiene al Campidoglio: anche l'anonima "armata" dei funzionari "giovani", di secondo piano ma con accesso
a personalità e informazioni di primaria importanza, nelle cucine della
politica di Washington. Il viceministro Wolfowitz, il controllore del bilancio
Difesa Zackheim, l'ex vice segretario al Tesoro Stuart Eizenstat sono
dichiaratamente dei Lubavitcher essi stessi; ma anche chi non lo è simpatizza
col movimento e i suoi fini - e nessuno ha mai accennato a contestarlo. Una
vastissima rete di potere e d'influenza, e a maglie strette, controlla il
governo degli Stati Uniti e fornisce a chi di dovere (al rabbino) tutte, anche
le minime, informazioni necessarie perché la grande America partecipi al
progetto messianico e militare. Non si sa, infine, se anche Alan Greenspan partecipi
ai seminari dei fanatici. Come capo israelita della Federal Reserve, la banca
centrale Usa e dunque controllore dei tassi d'interesse, egli controlla
praticamente ogni politica e procedura del governo stesso, ed è in costante
contatto con la
Casa Bianca.
39
Capitolo 7
CONOSCERE WOLFOWITZ
Il 9 dicembre 2001, il
viceministro della Difesa Paul Wolfowitz ha acceso solennemente la "menorah
nazionale" (il candelabro
a sette braccia) sul Campidoglio. Gli erano al fianco due rabbini Lubavitcher:
l'onnipresente Levi Shemtov, il conduttore dei "seminari" politici, e suo fratello, Abraham
Shemtov. Scopriamo così dal lirico articolo che il Washington Post dedica all'evento il giorno dopo
(titolo: "la
calda fiammella della speranza") che esiste in Usa una "menorah nazionale". Ovviamente non esiste, poniamo,
un presepio nazionale. E nessun ministro americano andrebbe solennemente a
visitarlo. Ciò violerebbe il principio della separazione fra stato e
religione, in Usa assai rigida. Ma c'è sempre un'eccezione per gli ebrei:
Wolfowitz s'è comportato come se l'hassidismo fanatico di cui è devoto fosse
la religione di stato.
Probabilmente lo è. Come abbiamo
appreso dai Lubavitcher, vigono due leggi distinte, una per il popolo eletto e
sovrano, l'altra - più coattiva - per gli inferiori noachici. Di fatto, Wolfowitz
è famoso per il suo disprezzo di ogni regola e convenzione, internazionale o
di stato. Già all'indomani dell' 11 settembre, il viceministro del Pentagono
proclamava che - essendo più che evidenti i legami fra Al-Qaeda e Saddam
Hussein, il leader irakeno - bisognava immediatamente attaccare l'Irak. Anzi
di più:"Liquidare
gli stati che sostengono il terrorismo", tutti quanti. Per la precisione,
tutte le nazioni che possono costituire una minaccia per lo stato ebraico,
anche potenziale. Secondo il Village Voice, che al personaggio ha dedicato un sarcastico articolo (21
novembre 2001), Wolfowitz spin-
geva "per estendere
l'azione militare contro l'Irak, la Siria e il Libano, praticamente
identificando così l'interesse nazionale di Israele con quello degli Usa"
. Sempre pensoso
del bene di Israele, Wolfowitz premeva per mettere anche Arafat nella lista dei
terroristi da punire con la forza statunitense, e per azioni "liquidatorie"
degli Usa contro
Hamas e gli Hezbollah.
Wolfowitz è uno stupido, commentava un (anonimo) alto
funzionario della Cia interpellato dal Village Voice: "Nell'ambiente dello
spionaggio siamo tutti d'accordo che, se vogliamo perseguire davvero la rete
di Bin Laden, abbiamo bisogno di informazioni; e per questo dobbiamo lavorare
con i nostri alleati [musulmani], e questo richiede cooperazione. Colin Powell
ha fatto un buon lavoro in questo senso, mettendo assieme un'ampia coalizione e
tenendola unita. Egli capisce benissimo che se colpiamo l'Irak, ogni coalizione
si spacca in un nanosecondo. E colpire Hamas o gli Hezbollah sarebbe un
terribile errore: [...] né l'uno né l'altro hanno compiuto atti aggressivi
contro gli americani, e se li colpiamo, cominceranno a prendere di mira
interessi americani".
Fatto è, spiegava il periodico di
New York, che Wolfowitz sta cercando di forzare la politica estera americana,
spalleggiato da una sua "camarilla" (cabal) al Pentagono. Ne fanno parte il
sottosegretario alla Difesa Douglas Feith, i vicesegretari Peter Rodman e J.D.
Crouch, il
"camerata di sempre di Wolfowitz, Richard Perle", e i membri dello studio di consulenza militare Defense Policy Board,
che Perle presiede; "inoltre,
in modo
meno visibile, alcuni
falchi del Dipartimento di Stato, che sono stati imposti a Colin Powell
[ministro degli Esteri], come il sottosegretario John Bolton. Per costoro, gli
eventi di dite mesi fa [l'11 settembre] rappresentano quasi un'opportunità da
sogno per realizzare il loro programma estremista".
Wolfowitz, Feith, Perle e Bolton
sono ebrei. E praticamente tutti ebrei sono i membri della "camarilla", scatenatisi dopo 1' 11 settembre
a cogliere "l'opportunità
da sogno".
Richard
Perle, come sappiamo già, presiede il Defense Policy Board, un centro-studi
privato (parte anch'esso della molto articolata lobby ebrai-
ca) che fornisce, richiesto o no, "consigli" al governo. Il 19-20 settembre,
mentre il fumo acre si levava ancora dalle macerie delle due Torri, i
centro-studi di Perle tenne una riunione fiume di 19 ore cui parteciparono anche
Donald Rumsfeld e Wolfowitz, ossia il ministro e viceministrc in carica. Ne
uscì la proposta di una nuova guerra contro Saddam, e d: frazionare l'Irak in
mini-stati etnici. Le proposte furono messe per iscritto, in una "lettera aperta al
presidente", firmata
da vari columnist ed "esperti"
(primo
firmatario, William Kristol, del Weekly Standard, posseduto dall'israelita britannico
Rupert Murdoch). Nella lettera non s mancava di deridere Colin Powell per il
suo sforzo di "costruire
una coalizione" di paesi islamici contro il
terrorismo. Un'altra lettera aperta fu spedita a Bush da un altro centro di
studi strategici, Project
for the new american century: i cui membri sono, notò il Village Voice, "glì stessi del Defence
Policy Board' '.
La tesi generale di questi gruppi, ossia della "camarilla", è la seguente
"I legami tra Al
Qaeda, Saddam, Hamas, Hezbollah, e in pratica ogni altro gruppo islamista, sono
chiari e noti hanno bisogno di essere documentati; di qui la necessità di un
rapido dispiegamento di bombe, e sé possibile di truppe, in Irak, Siria e
Libano" .
Dopo l'esplosione del caso
dell'antrace (poi risultato originare dal laboratorio militare americano di
Fort Detrick), Wolfowitz e i suoi si prodigarono in immediate dichiarazioni
pubbliche, per dire che questo fatte "provava" che Saddam era complice di Bin
Laden, e reiterava il suo caldo invito a
'liquidare
gli stati che appoggiano il terrorismo, dovunque E
' Si noti che il
nome di questo centro-studi, "Progetto
per il nuovo secolo americano" ha
un sapore Lubavitch. Sappiamo quale progetto il rebbe nutra per il "Nuovo
Secolo" Di fatto gli stessi personaggi, capeggiati dal solito
Perle, l'8 luglio 1996 scrissero un documento che "consigliava" all'allora primo ministro di Israele, Ben Netanyahu, un
"taglio netto" (a clean
break) con il processo di pace. I
suggerimenti comprendevano: l'occupazione e l'annessione ad Israele della
striscia di Gaza e dei West Banks, così ponendo fine ad ogni autonomia
palestinese; l'eliminazione di Saddam Hussein, e in prospettiva la
destabilizzazione della Siria, dell'Iran e dell'Arabia Saudita.
1 Village Voice, cit.
in ogni momento". A suffragio di questa tesi, citava
uno studio di un terzo centro-studi, American
Enterprise Institute (indovinate
quali membri lo compongono).
Colin Powell dovette dichiarare
pubblicamente - e lo fece con tagliente laconicità - che Wolfowitz, il vice
ministro, "non parla a nome del
governo".
Da più parti si fece notare che quei legami fra il
dittatore irakeno e il fanatico saudita non erano affatto provati. Anzi erano
praticamente da escludere.
A quel punto, attesta il Village Voice, Wolfowitz in persona spedì, a raccogliere le "prove" mancanti, un membro assai importante del Defence
Policy Board: James Woolsey. Già direttore della Cia, Woolsey è anche membro
del Council ori Foreign Relations (CFR).
È istruttivo sapere che già nel
corso del 1998 il CFR aveva condotto un war-game, un "gioco strategico" simulato, dal titolo altamente
significativo: "The next
financial crisis: warning signs, damage contro and impact" 3.
Nel gioco
si immaginava che "l'imminente
crisi finanziaria"' avrebbe coinciso con un acuto allarme-terrorismo (quando si dice la
chiaroveggenza); lo scenario utilizzato prevedeva che il presidente fosse liquidato
dai terroristi, sicché gli Usa sarebbero stati gestiti da un "comitato di crisi" non eletto.
Woolsey aveva partecipato a
quella simulazione profetica. Ma di questo dovremo riparlare.
Per ordine di Wolfowitz, l'ex
direttore della Cia si reca dunque in Gran Bretagna, alla ricerca di "prove" che collegassero uno dei presunti dirottatori del
World Trade Center, Mohamed Atta (che aveva vissuto in Inghilterra) con lo
spionaggio irakeno. Prende contatto con esuli irakeni. Le sue ricerche lo
portano nel paesello di Swansea, nel Galles. Ma essere stato direttore della
Cia non garantisce di essere un bravo agente sul campo: Woolsey suscita
l'attenzione della polizia locale che, a quanto pare, lo ferma. Controllo delle
generalità, e incredulo stupore. Il capo della polizia allerta ScotlandYard.
Conclusione: l'ambasciata Usa a Londra ri-
' Executive
Intelligente Review, 26 ottobre 2001.
ceve una richiesta di chiarimento: il dottor Woolsey sta
svolgendo le sue indagini in veste ufficiale, o da privato? In tal modo, è
dagli inglesi che la Cia e il Dipartimento di Stato vengono a sapere della
misteriosa missione di Woolsey. Powell e Tenet (il nuovo capo della Cia) fanno
filtrare la storia al Village Voice, nostra preziosa fonte di tutta la
vicenda.
L'ottimo articolo di Jason Vest, pieno di sarcasmo e di
intelligente conoscenza dei retroscena, conclude tuttavia con un'ingenuità.
Wolfowitz, dice, è stato "imbavagliato"
e forse non
nuocerà più. Grave errore: nonostante le gaffes, il goffo intrigo le falsità
rivelate e le vere idiozie del gruppo ebraico, il presidente Bush sta attuando
precisamente il piano della camarilla Wolfowitz. Mentre è Colin Powell, il moderato,
ad essere imbavagliato ai margini del governo. "Ci stiamo avviando alla prossima Guerra dei
cent'anni", annunciò
(14 ottobre 2001) un anonimo membro della camarilla
(probabilmente Perle) all'Observer di Londra; e difatti Bush parla
di guerra "infinita",
"di durata lunghissima". I termini sono praticamente gli stessi. Arafat, "da liquidare" secondo Wolfowitz, ha "deluso profondamente" Bush che non lo crede più un interlocutore
valido. Eccetera.
Ma chi è l'origine di quella
terminologia di guerra-apocalisse? Il 29 ottobre 2001 il già citato American Enterprise Institute (uno dei centri-studi di Perle e
della lobby ebraica) ha tenuto una giornata di discussione. Moderata da Perle,
la riunione ha visto la presenza di Michael Leeden. Una presenza illuminante
per sé: ebreo, Leeden è stato coinvolto in non chiari affari di intelligente;
in anni non troppo lontani ha abitato in Italia, dov'era diventato un esperto
del "terrorismo rosso"; più tardi, ha collaborato alla Biblical Review, una rivista molto interessata alle ricerche "archeologiche" sull'esatta ubicazione del "Tempio" ebraico di Gerusalemme, allo scopo di tentare di
ricostruirlo (scopo di parecchi gruppi fondamentalisti ebraici).
Che cosa dice Leeden all'
American Enterprise? Ecco le sue frasi esatte. "Basta coi compromessi. Questa è guerra totale.
Combattiamo una quantità di nemici diversi, e ce ne sono a quintali. E tutto
questo dire: be',
45
prima andiamo in
Afghanistan, poi finiremo l'Irak, poi ci guardiamo attorno a vedere com'è la
situazione, questo è il modo più sbagliato di affrontare la cosa. Perché
questi [i terroristi
e gli stati islamici] si
parlano l'un l'altro e lavorano tutti insieme. Dobbiamo semplicemente applicare
la nostra visione del mondo, adottarla integralmente, e non tentare di essere
intelligenti e rappezzare intelligenti soluzioni diplomatiche, ma sferrare una
guerra totale contro questi tiranni: tutto andrà molto bene, e i nostri figli
canteranno canzoni sulla nostra azione fra anni ed anni ancora" ' .
È, quasi parola per parola, lo
stesso discorso che abbiamo trovato nei testi dei Lubavitch. La guerra totale,
la guerra finale. La guerra messianica. Inutile fare alleanze, perché nell'era
del messia Israele non ha da fare concessioni. Il successo è assicurato
dall'alto. Agli eroi di quest'epoca si canteranno inni.
E la politica degli Stati Uniti -
all'insaputa dei cittadini, i goym che moriranno nella guerra dei cent'anni -
è guidata completamente da questo spirito, da questo millenarismo paranoide.
1 Village Voice,
cit.
Capitolo
8
CHI È DOUGLAS FEITH
Douglas Feith, prolifico
pubblicista, ha avuto modo di spiegare in lungi e in largo la sua visione del
mondo. Essa è molto semplice, completamente manichea e del tutto sovrapponibile
a quella dei Lubavitcher, ai cui riti e seminari partecipa: il male sta
sferrando l'ultimo attacco contro il bene È una filosofia non del tutto
opportuna in un sottosegretario del ministero della Difesa del paese più armato
del mondo. La carica di Feith (vice ministro alla "Policy") ne fa il numero quattro al Pentagono, competenti
"per tutte le
materie relative alla formulazione della politica di sicurezza nazionale e
difesa, nonché alla integrazione e alla supervisione de piani del
ministero".
Più specificamente, il nostro
ministro ha i compiti di: "sviluppare le politiche di condotta delle alleanze e
dei rapporti militari con i governi stranieri e i loro apparati di difesa"
nonché "coordinare e
controllar l'attuazione della strategia e politica di sicurezza internazionale
su temi che hanno relazione con i governi esteri e i loro apparati
militari". A Feith
spetta infine il compito di "supervisione di tutte le attivit4 del Dipartimento
Difesa attinenti al trasferimento internazionale di tecnologie".
Insomma, una posizione di potere
cruciale. E preziosa per Israele, al cu servizio Feith, viceministro americano,
svolge la sua opera da decenni. Ai tempi del l'amministrazione Reagan, Douglas Feith faceva
parte delle staff della Casa Bianca per le questioni militari, ed era già
vice-assister te del Pentagono per "le politiche negoziali". È stato anche "consigliere
speciale" di Richard Perle (ancora lui) quando costui fu
vice-ministro della Difesa. Durò poco: un mai chiarito pasticcio riguardante il
trasferimento illegale di tecnologie militari americane in Israele fece
perdere il posto a Perle e ai suoi amichetti.
Ridotto a vita privata, Feith
aprì allora il suo ufficio legale a Washington, "Feith & Zell".
Come ci è già capitato di notare, lo studio ha una seconda sede: in Israele.
L'attività dello studio non riguarda cause civili né penali, bensì in "trasferimenti di tecnologie,
fusioni-acquisizioni e investimenti nelle industrie di difesa e
aerospaziali". Se
non si trattasse qui di un insospettabile cittadino americano, anzi di un
viceministro, si sarebbe tentati di definire questo studio legale, nel gergo
dei servizi segreti, un'attività "di
facciata" che
copre una delle attività più importanti dello spionaggio moderno: il furto di
tecnologie militari.
Ma il sospetto non può applicarsi
a Feith. Nei suoi numerosi scritti e discorsi ricorre il concetto che Israele
rappresenta "i nostri
valori" (americani):
sicché è semplicemente necessario che gli Usa non solo assistano, ma si
identifichino con Israele nella sua perpetua lotta contro "le forze oscure". Tali `forze oscure" sono gli arabi. Data la ovvia "superiorità morale" di Israele sugli arabi, è
imperativo etico degli Usa rafforzare militarmente lo stato ebraico. Quelli
che Feith compie non sono dunque trasferimenti illegali di tecnologie. O se
sono illegali secondo le leggi vigenti, poco importa: sono morali,
obbligatorie, secondo la "Legge"
superiore del "popolo eletto". Un vero ebreo non si terrà mai
legato da leggi emanate dai goym noachici.
Converrà ricordare ancora una
volta che il messianismo Lubavitcher si oppone ferocemente ad ogni compromesso
o concessione con i palestinesi, con l'argomento che l'era messianica è per
definizione "un'era di conquista
e di avanzata, non di arretramento". Ci stupirà apprendere che Feith sostiene la stessa
cosa?
La sua idea è: gli Usa non devono
mai fare pressioni su Israele perché ceda terreno o rinunci alla sua egemonia e
supremazia militare in Medio Oriente. Negli anni '70, per questo, Feith criticò
ferocemente gli incontri di Camp David, in cui l'allora presidente Jimmy Carter
provò a tessere
la sua iniziativa di pace per il
Medio Oriente. La parola "pace",
gridò Feith, è
in questo caso un falso politico, perché richiede ad Israele di indebolirsi
cedendo stabilmente "la Giudea e
Samaria" (ossia
Cisgiordania e Gaza) '.
Invece, secondo Feith, "gli arabi non
hanno alcun diritto legale in Palestina" (i Lubavitcher sostengono la stessa
cosa: i goym in genere non hanno diritti nella "Terra Sacra", una volta che il messia è
arrivato). Peggio: i palestinesi non sono "un gruppo nazionale", e perciò non hanno diritto a una patria. Se mai
ne hanno una, la loro patria è la Giordania (dove andranno un giorno o l'altro
deportati). Ne segue che gli Usa sbagliano a fare qualunque pressione su
Israele perché smetta di insediare "colonie"
nei territori
occupati. Farlo è diritto sacro di Israele, anzi sacro dovere.
Di più. Credere che la causa del
conflitto arabo-israeliano sia il fatto che i palestinesi sono privati della
terra, disse Feith a Carter, significa cadere in un'astuta trappola araba.
Costoro, le forze delle tenebre, non vogliono altro che la distruzione dello
stato ebraico. La sola soluzione del conflitto si avrà quando gli arabi
saranno soggetti ad Israele.
Nel 1991, il nostro uomo elevò le stesse proteste e
accuse contro il processo di pace tentato dal presidente Bush padre.
L'Amministrazione aveva lanciato allora lo slogan: "land
for peace", terra ai palestinesi in cambio
di un sicuro trattato dì pace di tutti gli arabi con gli israeliani. Gli Usa,
obiettò Feith, devono lasciar cadere questo slogan. Ciò significa in fondo
smantellare pezzo per pezzo lo stato ebraico. Dai palestinesi si deve esigere
solo "pace", senza contropartite territoriali.
Le stesse critiche e accuse furono ovviamente elevate contro il presidente Clinton,
colpevole di aver avviato il suo proprio processo di pace con i negoziati di
Oslo. Il tentativo, scrisse Feith, significa nient'altro che "concessioni unilaterali israeliane, inflazione
delle aspettative palestinesi, e un premio americano all'insubordinazione dei palestinesi".
' È proprio
degli ebrei religiosi fanatici chiamare Cisgiordania e Gaza coi nomi biblici di
Giudea e Samaria, il che implica la pretesa assoluta - biblica e sacra - di
Israele su quelle terre.
Feith e Perle, nel 1996, giunsero
ad inviare una lettera aperta al primo ministro israeliano, l'appena eletto
Netanyahu (del Likud, il partito neofascista israeliano), intitolata: a clean break: a new strategy for the security of the
"Realm". Il
titolo è significativo per sé: "un
taglio netto: nuova strategia per la sicurezza del "Regno"
'-.
La `frattura netta" consisteva, secondo i consigli
dei due compari, nel rompere per sempre con il processo di pace, nel rifiuto
definitivo dell'idea di cedere terra in cambio della pacificazione, e invece
nel puntare tutto sul rafforzamento militare contro Siria e Irak. E la guerra
contro l'Irak non doveva essere che il primo passo. Il rapporto di Feith e
Perle caldeggiava anche la preparazione strategica per destabilizzare, poi,
anche la Siria, il Libano, l'Arabia Saudita. Fatto caratteristico, il documento
"strategico" di Perle e Feith uscì come opera
di un Institute for Advanced Strategic
and Political Studies (IASPS): una fondazione culturale finanziata dal miliardario
protestante d'estrema destra Richard Mellon Scaife e con sedi sia a Washington
sia a Gerusalemme, Firmavano la lettera a Netanyahu, oltre a Perle e a Feith,
anche David Wurmser (ebreo, oggi braccio destro di John Bolton al Dipartimento
di Stato) e Meyrav Wurmser (attualmente direttore del settore "politica mediorientale" allo Hudson Institute, un'altra
fondazione "culturale").
Netanyahu deluse le aspettative.
Di fatto, il primo ministro di destra è quello che ha concesso di più ai
palestinesi, ponendo anche un freno ai nuovi insediamenti ebraici sulle terre
degli arabi. Feith gridò, e scrisse, che invece occorreva "ristabilire una politica di sicurezza e di
spionaggio efficace nelle aree sotto controllo dell'autorità
palestinese": in
altre parole, rioccupare Cisgiordania e Gaza. Ciò che poi Sharon ha fatto con
la scusa del "terrorismo", e provocando la metamorfosi maligna
del terrorismo suicida. Feith l'aveva predetto, del resto: "il prezzo in sangue può essere alto", ma valeva la pena di pagarlo per
la "disintossicazione" dal processo di pace. "Sola via di uscita dalla trappola di Oslo" 3.
z Dunque non più lo stato d'Israele, ma il
"Regno" messianico.
Tutte le citazioni di Feith sono in Middle East Information Center (26 aprile 2002), "A Dangerous Appointment; Profile of
Douglas Feith". Sito:
middleeastinfo.org/article701.html.
Va ricordato che il duo
Perle-Feith tornò all'attacco, proponendo le sue visioni strategiche a Bill
Clinton. Il 19 febbraio 1998, essi stilarono una "lettera aperta al presidente" in cui ancora una volta premevano
per scatenare la guerra contro l'Irak. La lettera era firmata, oltre che da
Richard Perle e da un ex senatore, Peter Solarz, anche da una serie di
personaggi che, oggi, ritroviamo nell'amministrazione Bush: Elliott Abrams (ora
al National Security Council), Richard Armitage (oggi al Dipartimento di
Stato), John Bolton (Dipartimento di Stato), Fred Ikle (Defense Policy Board),
Zalmay Khalilzad (Casa Bianca). Peter Rodman (Dipartimento Difesa), Donald
Rumsfeld (oggi ministro della Difesa), il già noto Paul Wolfowitz, David
Wurmser (oggi al Dipartimento di Stato), Dov Zackheim (Difesa) e naturalmente
Douglas Feith. Nove su dieci dei firmatari sono ebrei.
Per allora, Clinton rigettò il
consiglio. Ma nel dicembre dello stesso 1998, ormai sotto minaccia di impeachment per lo scandalo Lewinsky (in cui col senno di poi non
sarà difficile scorgere quella che nel gergo dei servizi si chiama "honey trap"," una trappola al miele a scopo di
ricatto), Clinton cedette: ordinò 70 giorni di bombardamenti sull'Irak.
L'azione non bastò a detronizzare Saddam.
Gli eventi dell' l 1 settembre
hanno naturalmente portato alle stelle il febbrile attivismo della rete
filoebraica di Richard Perle. Poche ore dopo l'attacco, all'unisono con
Sharon, Perle, Feith e Wolfowitz già accusavano del misfatto il leader iracheno
e invocavano una massiccia e immediata rappresaglia.
Oggi Feith, da viceministro, può
realizzare i progetti che caldeggiava da avvocato: "Israele ha un buon numero di tecnologie militari
uniche - come gli aerei senza pilota ' e i missili aria-terra - che conviene
alle forze armate Usa acquistare. Dato che il bilancio Usa alla difesa diminui
Questo accenno alla superiore tecnologia (segreta)
israeliana in fatto di "aerei senza pilota" è assai interessante,
alla luce del dirottamento di quattro aerei I' 1 1 settembre. Come abbiamo spiegato nel nostro "I1 settembre, colpo di Stato in Usa", Effedieffe, Milano, 2002, è stata avanzata
l'ipotesi che i quattro aerei non siano stati dirottati da terroristi suicidi, bensì teleguidati.
51
sce, è meno costoso per
il Ministero acquisire queste tecnologie da Israele che pagare per
reinventarle". Naturalmente ciò deve valere anche nell’altro
senso: gli Usa devono cedere le loro tecnologie all'alleato eletto. "È
nell'interesse degli Usa e di Israele rimuovere tutti gli ostacoli inutili alla
cooperazione tecnologica reciproca. Tecnologia nelle mani di paesi amici e
responsabili che fronteggiano una minaccia militare, come Israele, servono a
dissuadere aggressioni, aumentano la stabilità regionale e promuovono la
pace". Sic.
E per "promuovere la pace", il gruppo ha
cominciato a proporre la seconda parte del suo piano strategico, quello già proposto nel documento del '96 emanato
dallo IASPS. Il 10 luglio 2002 il centro-studi privato di Richard Perle, il Defense Policy Board, riunito
(incredibile a dirsi) all'interno del Pentagono,
dichiarava l'Arabia Saudita nuovo nemico e statoterrorista, e chiedeva
l'occupazione del territorio saudita e dei suoi giacimenti petroliferi, non
senza esigere en passant anche l'epurazione dallo Stato Maggiore degli
ufficiali americani che si opponevano
a una guerra
contro l'Irak.
Persino la grande
stampa americana, solitamente servile,
ha
ridicolizzato questa uscita. I fanatici della rete di Perle sono stati
ribattezzati "chickenhawks", ossia "polli falchi". Ha
avuto spazio, incredibile, persino una
battuta
tagliente di Anthony Zinni, l'ex
generale dei Marines inviato per una breve sfortunata missione di pace in Palestina da Colin Powell: "È interessante", ha detto
Zinni in una conferenza tenuta a Tallahassee (Florida), "che [sulla
guerra all'Irak] tutti i generali la vedono in un modo, e quegli altri che non
hanno mai sparato un colpo la vedono in un altro". Come la vedono i generali, l'ha raccontato il Guardian
il 30 luglio 2002. Titolo dell'articolo: "i comandanti americani e inglesi
si grattano la testa per dare un senso all'invasione". Nell'articolo, si
cita il generale inglese Michael Rose, già comandante delle truppe speciali (SAS) in
Bosnia: "Un attacco con forze di terra in grande stile contro l'Irak
comporta gravi rischi militari e politici". Si cita il feldmaresciallo
lord Bramall,
già capo degli Stati Maggiori Riuniti:
per lui un'invasione dell'Irak getterà "petrolio anziché acqua" sull'incendio mediorientale. E si domanda:
"ciò che verrei sapere è: che cosa
diavolo facciamo una volta arrivati [a
Baghdad]?".
Il giornale britannico rende noto che gli strateghi professionali inglesi,
sotto il comando dell'ammiraglio Michael Boyce, "con riluttanza cominciano
a preparare piani in caso di un'attesa richiesta a Washington per l'attacco
all'Irak". E dà voce a diversi alti
ufficiali americani che esprimono gli stessi dubbi ma - significativamente - sotto anonimato. Al Pentagono, dopo 1'
11 settembre, è pericoloso esprimere opinioni diverse da quelle dei "polli
falchi" che non hanno mai sparato u colpo. Il solo intervistato di cui il
Guardian dà il nome è l'immancabile Richard Perle, il privato cittadino
diventato consulente del Pentagono. La decisione
di
attaccare l'Irak, dice Perle, "è un giudizio politico che quei, tipi [i
militari di professione) non sono competenti a dare". E infatti è il suo piano quello che l'intera America,
soggetta alle leggi noachiche, è costretta ad attuare.
Capitolo 9
QUANDO BUSH NON PIACEVA
E pensare che, fino a pochi mesi
prima, la comunità si abbandonava sospetti sul possibile "antisemitismo"
di George Bush.
Appena dopo l, discussa elezione (con poche centinaia di voti) del nuovo
presidente Usa. il 5 gennaio 2001, The Jewish Week (un settimanale di New York) pubblicava
un articolo di deplorazione: "Il governo Bush al completo: nessun ebreo
al tavolo" `.
Il nuovo governo, esordiva il periodico, pare essere uno
dei più razzialmente assortiti della storia. "Ma questa diversità ha dei limiti.
Il gabinetto comprenderà un democratico di origine giapponese, un ispanico, un
arabo-americano e diversi afro-americani, ma nessun ebreo. Tuttavia si dice che
l'ex sindaco di Indianapolis Stephen Goldsmìth, un intimo consigliere di Bush,
sarà nominato capo di un nuovo ufficio della Casa Bianca pei le iniziative
religiose. E un repubblicano democratico ci ha fatto notare che Joshua Bolten,
nominato la settimana scorsa primo consigliere politico di Bush, è ebreo come
il nuovo portavoce della Casa Bianca Ari Fleischer"
Dunque non proprio "nessun ebreo". Ma la comunità, evidentemente
sperava in qualche ministro di primo piano.
L'articolo spira da ogni riga diffidenza verso il nuovo
governo. È vero, i nuovo segretario al Lavoro, Linda Chavez, "è sposata a Chris
Gersten
'
Bush
cabinet complete: no jews ati the table, di J.D. Besser,
corrispondente da Washington di The Jewish Week.
già direttore esecutivo
della Republican Jewish Coalition" 2. Tuttavia, intervistata dal
settimanale, Ira Forman ("direttore esecutivo del National Jewish Democratic
Council ") la
trova troppo "di
destra". Si apprende
anche che "il National Council of Jewish Women" 2 ha formalmente protestato contro
la nomina" di John Ashcroft alla Giustizia, perché troppo conservatore su
temi come "i diritti civili, l'aborto e la separazione stato-chiesa".
"Questi gruppi promettono battaglia totale contro Ashcroft, e vogliono
tutti gli ebrei dalla loro parte".
Sembrano i lamenti di una
sinistra molto progressista. Ma poi apprendiamo che il malcontento ha anche
un'altra causa: "L'amministrazione
Bush non ha ancora dato segno di voler rinnovare la richiesta, avanzata da Clinton,
di 800 milioni di dollari in aiuti supplementari per il Medio Oriente, fra cui
i 450 milioni per aiutare Israele a rafforzare la sua difesa missilistica e il
pagamento per il ritiro [israeliano] dal Libano l'anno passato".
Quanto a Donald Rumsfeld, nuovo capo del Pentagono, il
giudizio è freddino: "sui
rapporti Usa-Israele è corretto ma non cordiale", dice Morris Amitay, un lobbista e
raccoglitore di fondi della American Israeli Public
Affairs Committee (AIPAC)" 3. "Non
ha mai davvero operato per un forte collegamento con Israele", rincara Shoshana Bryen, "direttore del
Jewish Institute for National Security Affairs" .
Qualche giorno dopo, il lamentò
del Jewish
Week viene
raccolto e amplificato da un editoriale del New York Observer a firma Philip Weiss: "ebrei nel governo
Bush? Non sperateci" 4. L'articolo, per tanti versi
rivelatore,
merita di essere riportato integralmente:
"George Bush", esordisce Weiss, "ha messo ogni
genere di americani nelsuo gabinetto eccetto che ebrei, e nessuno ha deplorato
questo (...]. Ri-
Uno
dei gruppi di pressione che compongono la cosiddetta "lobby israelita" in Usa.
' È l'entità-madre della lobby, la più temuta dai parlamentari:
l'Aipac fornisce (o nega) contribuzioni finanziarie ai candidati alle elezioni
americane ad ogni livello, secondo il loro grado di "amicizia" con Israele. È in grado di mobilitare decine di milioni di dollari e
sbarrare la strada al seggio a qualunque candidato sgradito.
' "Jews in Bush's Cabinet?
Don't hold your breath", sul New York Observer, 22 gennaio 2001, p. I.
fare la struttura di
potere americano senza ebrei è come rifare lo sport senza i negri. Almeno
quando si tratta di negri e sport, se ne può parla apertamente, puoi affermare
che i negri hanno cambiato lo sport. Non è invece consentito parlare ad alta
voce quel che tutti silenziosamente sa no: gli ebrei hanno cambiato
l'America".
Come? Spiega Weiss:
"Non c'è area
della vita pubblica su cui gli ebrei non abbiano avuto i profondo effetto
(...]: il movimento dei diritti civili riflette i valori ebraici di giustizia.
Il femminismo è un riflesso degli avanzati valori matriarcali ebraici (notate
che sono gruppi ebraici ad opporsi ad Ashcroft nome della Roe v. Wade 5).
Ebrei sempre più potenti nei media hanno creato l'epoca
dell'informazione. Gli ebrei di Hollywood hanno cambiato linguaggio della
cultura popolare (...]. E la nuova attenzione al miglioramento dell'istruzione
in tutta la società riflette l'amore degli ebrei per lo studio. E non menziono nemmeno la finanza o il diritto
[...]. "Queste tendenze hanno reso l'America un luogo più giusto e creati[
(...] Insieme, rappresentano la forza dei valori ebraici nel plasmare vita
pubblica. In un saggio recente, Jews and The American Public Square, il Center for Jewish
Community Studies 6 sostiene che sono stati g ebrei a promuovere
l'importante tendenza della legislazione nell' ultimo mezzo secolo, la
separazione stato-chiesa. Io vado oltre e sostengo cl non ci sarebbe stato il
calo dell'influsso della chiesa sui costumi senza potere culturale degli ebrei
secolarizzati "Ma nessuno parla di ciò. Il più importante cambiamento
nella cultura dell'establishment, e non se ne fa' menzione. La gente parla di
contino dei negri, come ha fatto la stampa durante la combattuta elezione in
Florida ? come se negri ed ebrei avessero un'identità politica comune, il che
' Si
tratta della sentenza storica con cui la Corte Suprema liberalizzò l'aborto. n Un altro (l'ennesimo) gruppo di pressione della lobby.
In
Florida, il candidato repubblicano Bush jr. vinse per poche centinaia di voti.
La comunità nera protestò che molti dei voti neri, andati ai democratici, erano
stati annulla per supposti "errori".
Il governatore della Florida era ed è
Jeb Bush, fratello del canti dato eletto alla presidenza federale.
57
non è - "Fin
dall'inizio, la campagna di Bush ha rappresentato, nei cuori di molti ebrei e
apparentemente nel cuore dello stesso George W Bush (gran conoscitore di cuori)
un tentativo di rovesciare gli ebrei nell'establishment. La stampa ha saputo
discutere questa lotta di potere solo in linguaggio codificato. Il più perfetto
messaggio in codice è apparso nella lunga serie del New York Times dedicata alla vita di
George [Bush], quando [il giornalista del Times] Nicholas Kristof
si stupì che, quando Bush frequentava l'università di Yale, dirigeva tutta la
sua animosità contro "gli oligarchi della Costa Est" .8 Ma, notava Kristof,
George Bush è membro della Skull and Bones'. e questa non è un'oligarchia?
"Nicholas Kristof sa bene cosa intende Bush (... ] perché è lui stesso
parte della tendenza, come sono stato io ad Harvard. Sì, c'erano gli italo-americani,
gli asiatici, ma il vero cambiamento epocale era che ebrei della classe media
prendevano posti importanti nell'establishment. E Bush ha reso chiaro che cosa
giudica minaccioso, con le sue nomine nel governo - "La stampa ebraica ne
è preoccupata. Forward
ha
scritto che le nomine del governo erano una simbolica "snobbatura".
Phil Baum, direttore dell'American
Jewish Congress si è fatto intervistare
dal Jerusalem
Post per
dire che trovava l'assenza di ebrei "un po'allarmante" (...].
C'è stata una lettera a The Times. William
Safire ne ha fatto menzione. Richard Cohen ha deplorato il fatto sul Washington Post 10.
Non
molto di più."Il silenzio ebraico deriva da una profonda paura fra gli
ebrei che questo momento di grande potere passerà, e che l'egemonia ebraica in
Ame-
" Con "The
East Coast liberai establishment", l'America
profonda indica l'ambiente di
potere
finanziario e culturale di sinistra (liberai nel senso di radical-chic) della
Costa Est,
ossia
concentrato fra Washington, New York e Boston.
v
Skull & Bones (Teschio e Tibie)
viene chiamata dagli avversari la società segreta degli
studenti
dell'esclusiva università di Yale. I membri la chiamano semplicemente The Or
der. Ogni anno, 12
studenti selezionati per influenza e relazioni familiari vengono co
optati
nella Skull and Bones con un rito di iniziazione massonica. Spesso i capi della
Cia o
i segretari di Stato vengono da lì. La famiglia Bush vi appartiene da almeno
tre generazioni.
°
William Safire e Richard Cohen sono due editorialisti principi sui due più
importanti
giornali
politici in Usa, il New York
Ttnes e il Washington Posi . Ebrei entrambi.
rica è come l'egemonia
ebraica nella Vienna del 1920, sospesa sull'orlo dell'abisso. Più è il potere,
meno se ne vuole parlare. Benché Alan Deshowitz sostenga, nel suo robusto libro
Chutzpah, che gli ebrei devono
darsi da fare per
accaparrarsi ancora più potere senza relazione col loro numero, a causa della
crescente invidia e del crescente antisemitismo. Tempo fa, a pranzo di un ebreo
potente di una grande impresa di New York, io dissi ad alta voce la mia
meraviglia per il proliferante numero di ebrei nell'establishment. L'altro alzò
un dito minaccioso: "In ogni generazione, i nostri nemici si
solleveranno per distruggerci". Citava l'Haggadah, la storia del
Passaggio, e per il resto del pranzo mi ha pai lato commosso della stia visita
alla casa di Anna Frank".
"Io volevo dirgli:
un momento amico. Non in questo "Paese".
"Ma non l'ho
detto. La storia ebraica di persecuzioni trascende i confini e la Costituzione.
Un recente studio di un gruppo chiamato Public Agen da dice che l'80 per cento
degli ebrei americani vedono l'antisemitismo come una forza potenziale nella
vita americana, mentre solo il 55 pe cento dei non-ebrei vedono questa realtà.
È una differenza gigantesca che riflette l'antica paranoia ebraica [...]".
"Il problema con questa convinzione è che rende impossibile ogni discus
sione sul potere degli ebrei in America. Se parli della influenza ebraica
rischi un Olocausto. Così non c'è nessuna pubblica ammissione di un fàt to che
quasi tutti capiscono: gli ebrei sono protagonisti nell'establishment '71 15
gennaio, il Centro di storia ebraica della 16ma strada ha tenute un dibattito
sul tenia: "Il popolo ebraico nel ventesimo secolo dall'impotenza al
potere". La moderatrice, Sylvia Hassenfeld, ha detto che gli ebrei
hanno ciecamente ignorato la questione; subito tre professori dei dibattito
hanno cercato di smentire che gli ebrei siano potenti". "Ci sono
tanti ebrei nei media che il cono di silenzio cade proprio là dove ti
aspetteresti il più ampio dibattito. L'establishment ama dipingersi come un
blando arcobaleno di personaggi eccellenti: tutti benvenuti, ebrei, gente dei
quartieri alti, asiatici, ispanici. Detto fra parentesi, non affermo di sapere
quanto è "ebraico" l'establishment. Venti per cento? Cinquanta? Io
credo 30".
"Un'elite non è un
male. La società, senza, non può operare. Ma la democrazia richiede alle elites
una certa responsabilità". [...]
"Gli ebrei sono
degli insider fissati con la mentalità da outsider, dice Alan Mittelman,
professore al Muhlenberg College e direttore del progetto Jews in the American
Public Square. Siamo certamente parte di quello che si chiama establishment,.
Ma continuiamo a pensarci come una minoranza avversata. Dobbiamo riorientare
noi stessi verso un senso maggiore di responsabilità, invece del senso di
precarietà dell'emarginato. Mittelman vuole che gli ebrei in politica mostrino
una maggiore flessibilità sul tema del buono scuola, che è sostenuto da tanti
negri " [...] Ma su questa come su altre questioni, dice Mittelman, gli
ebrei votano come emarginati, come se votassimo contro lo zar".
"[...] L'anno
scorso il New Yorker pubblicò un rutilante
profilo del presidente uscente della Monsanto, Robert Shapiro, a firma dì
Michael Specter. Il tema implicito dell'articolo era: ecco un ebreo dell'Upper
West Side che ha fatto fortuna, dunque è meraviglioso! Il pezzo era notevole
perché, per una volta, rovesciava l'ambientalismo tipico della rivista.
Monsanto produce il Roundup, un erbicida che i "verdi"
detestano, ma non si parlava del Roundup nell'articolo di Specter, che
traboccava di orgoglio ebraico, di simpatia per il successo sociale ebraico -
quello di mister Shapiro, e quello di Mister Specter Così funziona la meritocrazia:
l'uomo di successo ama chi ha successo, e tutti gli altri sono dei per
denti".
"[ ...] Oppure
prendiamo i continui attacchi a politici che magari visita
no la Bob Jones
University, i cui criteri intolleranti sono giustamente criticati - quando i
gruppi ebraici hanno ottenuto carta bianca per promulgare politiche contrarie
ai matrimoni misti [fra ebrei e non ebrei] che metà della popolazione ebraica,
nei sondaggi, riconosce essere razziste (e pochi americani goym ne hanno
sentito parlare)".
" I neri americani vorrebbero il buono-scuola da "spendere"
in scuole di loro scelta, per sottrarre i loro tigli alle scuole pubbliche
urbane, centri di criminalità e spaccio e dove non s'impara nulla. Gli ebrei,
da radicali di sinistra, difendono invece la scuola pubblica obbligatori.
"Oppure il profilo
della miliardaria] Hadassah Lieberman sul New York Times dove si diceva che
costei era una benefattrice umanitaria pei aveva donato per le cause ebraiche.
Non dovremmo allargare un po’ la
definizione?"
[...]
"Finché gli ebrei
continuano a vedersi come senza-potere, non sapranno riconoscere gli effetti
che hanno sulla società e, peggio, mancheranno abbandonare la privilegiata
posizione di autocommiserazione per reni si conto della loro situazione reale:
vincitori nel nuovo ordine.
Capitolo 10
LO STRANO CASO DI MAHMOUD
Nei giorni del suo insediamento, George W. Bush era
accusato, o almeno sospettato dalla comunità, di essere poco amico delle cause
ebraiche, i degli interessi di Israele. Oggi Bush jr. è il più acceso dei
filo-israeliani anzi del radicalismo biblico armato di Ariel Sharon. Mai una
critica a discutibile premier di Tel Aviv. Sharon ha fatto fallire scientemente
il pro cesso di pace con la sua "passeggiata"
(scortato da
mille guardie del corpo) sulla spianata del Tempio; ha tentato seriamente di
liquidare (e noi solo in senso politico) Yasser Arafat; si rifiuta di
riconoscere la causa prima dei disordini sanguinosi in Palestina, la
moltiplicazione degli insedia menti su terre palestinesi. Bush avalla tutto. Le
visioni fanatiche di Richard Perle e Paul Wolfowitz sono diventate IE sue: guerra all' Irak, e poi altri altri stati "terroristi" islamici. La sua evocazione di un
"asse del male" islamico echeggia la concezione
messianica dei Lubavitcher: "Siamo
in guerra", ed è la guerra finale del bene
contro il male assoluto. Il moderato Colin Powell non riceve mai chiaramente
l'appoggio presidenziale, e viene lasciato solo.
Ci sono due Bush: prima e dopo VI 1 settembre 2001.
Quello di prima appare poco amico dei giudei. Quello di dopo sembra un subordinato noachico, che mette la forza, il
prestigio e il futuro della superpotenza mondiale a disposizione del più feroce
avventurismo israelita. In un precedente volume' abbiamo illustrato le ombre
che rendono cos
' M. Blondet, 11
Settembre, Colpo di Stato in Usa, Effedieffe, Milano, 2002.
poco convincente la versione
ufficiale secondo cui il quadruplice attacco terroristico, operazione di
straordinaria complessità tecnica perfettamente riuscita, fu opera di "terroristi suicidi" arabi collegati ad Al-Qaeda. Depistaggi,
insabbiamenti, mancanza di indagini serie su quel che è avvenuto. Ancora oggi,
nel momento in cui scriviamo, manca un'inchiesta sui fatti dell' I 1 settembre:
nessun giudice americano esamina testimonianze e documenti. Nemmeno
l'inchiesta tecnica, obbligatoria in qualunque sciagura aerea, è mai
cominciata.
Sono in corso invece le audizioni
delle commissioni congiunte (Camera dei rappresentanti e Senato Usa) sul
controspionaggio (Intelligence
Committee), riunite
come commissione d'inchiesta politica sui fatti dell' 11 settembre. Hanno luogo
al quarto piano del Campidoglio e sono rigorosamente segrete. Senatori e
rappresentanti, prima di varcare la soglia del locale insonorizzato dove si
tengono le audizioni, devono consegnare i telefoni cellulari. Ha fatto rumore
sulla stampa, e irritato la Casa Bianca, una fuga di notizie inquietante: la
richiesta dell'Fbi ai membri della commissione congiunta, eletti del popolo, di
sottoporsi al poligrah, la macchina della verità, per colpire gli autori di
eventuali indiscrezioni su ciò che si dice in aula. Richiesta inaudita in Usa:
gli eletti, depositari della volontà popolare, vengono subordinati al potere
esecutivo al punto da essere sottoposti ad esame poliziesco. Quale genere
d'informazione si vuole nascondere, e a chi? All' "asse del male" o ai cittadini?
Michel Chossudovsky, docente di
Economia all'Università di Ottawa, ha provato a darsi una risposta.
Chossudovsky, canadese, è un convinto antiglobal, di sinistra (dirige il
Centro ricerche sulla globalizzazione); ma è anche una personalità nota, e di
comprovata onestà intellettuale. E su quel che ha scoperto - compulsando le
trascrizioni delle conferenze-stampa e delle Camere, ossia i pochi documenti
non coperti da segreto di Stato - ha scritto una dotta e accurata relazione dal
titolo Political
deception: the missing link behind
9-11 È la fonte
cui ci riferiamo.
2 II
testo (titolo: Inganno politico, l'anello mancante ai fatti dell' 1 1
settembre) è pubblicato dal Center for research and globalisation, 20 giugno 2002. Si veda su internet l'arti-
Che cosa ha scoperto il
professore? Che il principale finanziatore di Al Qaeda, durante l'attacco alle
Torri e al Pentagono e nei giorni precedenti, era a Washington, dove ha avuto
lunghi e cordiali colloqui con altissime personalità del governo americano. II
finanziatore è il generale pakistano Mahmoud Ahmad. Ossia l'uomo che - capo dei
famigerati servizi segreti del suo paese, l'ISI - ha più tenacemente operato
per consegnare l'Afghanistan al regime fondamentalista dei talebani, questi "studenti coranici" allevati e addestrati in Pakistan.
Il generale ha condotto queste operazioni (e chissà quali altre) in pieno
accordo e cooperazione con la Cia, già negli anni dell'occupazione sovietica
dell'Afghanistan. "La Cia ha
lavorato in tandem col Pakistan per creare il mostro del regime talebano"
(Times of India, 3 luglio
2001). Ovviamente il generale conosce bene Bin Laden (una sua creatura), che
era a quei tempi il reclutatore dei mujaheddin antisovietici. È uomo ben noto
agli ambienti dell'Intelligente di Washington. Ma in quei giorni,
quando sbarca nella capitale americana, Mahmoud Ahmad non è più il capo
dell'ISI. Come scrive l'importante Times
of India il 9 ottobre
2001, "le autorità americane
hanno chiesto la sua rimozione [al regime pakistano] dopo aver avuto conferma che 100 mila dollari erano stati accreditati
per via elettronica dal Pakistan al [capo dei] dirottator[i]
del World Trade Center, Mohamed Atta, attraverso Ahmad Sheik su istanza del
generale Mahmoud". Il quotidiano di Delhi aggiunge: "alte
fonti del governo [Usa] hanno confermato che l'India ha dato un significativo
contributo nel collegare il trasferimento di fondi con il ruolo giocato dal
dimissionario capo dell'ISI". Dunque: il generale Mahmoud ha pagato Mohamed Atta. Lo
paga evidentemente perché lo "controlla",
e dunque
controlla la rete di Al-Qaeda, ammesso che Atta appartenga ad Al-Qaeda.
Inoltre, è stato bruciato dai servizi segreti indiani, che l'hanno additato agli
Stati Uniti come il finanziatore del gruppo terrorista che ha colpito
l'America.
colo
del giornalista Tom Fiocco (di Scoop.co.nz)
sulla scoperta di Chossudovsky, "Se
cret hearings conceal 9/11 terrorist links to Congress and White House", posted 7 agosto 2002.
Insomma: se c'era un posto dove
una spia esperta come il generale Mahmoud avrebbe evitato di trovarsi in quei
giorni - l'ora zero degli attentati - quel posto è Washington. In mano agli
americani, e complice evidente di Al-Qaeda. Gli americani hanno chiesto persino
la sua testa al governo del Pakistan.
Invece è lì. Tranquillo. Oppure ignaro di quel che il suo
controllato, Mohamed Atta, sta per fare.
Quando è arrivato il generale? Il 4 settembre, risponde
il News
Pakistan del 10
settembre 2001, aggiungendo: "La permanenza di una settimana di Mahmoud a
Washington ha scatenato speculazioni sui temi del suo misterioso incontro al
Pentagono e al Consiglio di Sicurezza Nazionale (...] Fonti ufficiali
confermano che ha incontrato Tenet [George Tenet, capo della Cia] questa
settimana. E ha avuto lunghi colloqui con personalità non identificate alla
Casa Bianca e al Pentagono. Ma l'incontro più importante l' ha avuto con Marc
Grossman, [l'ebreo] sottosegretario di Stato per gli affari politici. Si può
avanzare la fondata ipotesi che le discussioni debbano avere avuto per
argomento l'Afghanistan e Bin Laden".
Attenti alla data: 10 settembre. Un giorno prima degli
attentati. Come spiegherà il Miami Herald (16 settembre 2001), "il
capo
dell'intelligence pakistana è stato obbligato a restare tutta la settimana a
causa del blocco del traffico aereo" seguito agli attentati dei "terroristi suicidi".
Anzi il giornale
di Miami riporta una frase di Bob Graham, senatore democratico della Florida,
e oggi, guarda un po', copresidente della Commissione congiunta d'indagine
parlamentare sui fatti dell' 11 settembre. "Graham ha detto: [Mahmoud] è rimasto a terra, e
credo che ciò abbia dato al segretario di Stato Powell e ad altri nell'Amministrazione
la possibilità di parlare con lui davvero".
Il Washington Post, 18 settembre, dà un altro
particolare. Riporta una frase piccata di Porter Goss (repubblicano della
Florida) che oggi è l'altro copresidente della Commissione congiunta sulla
strage. Si noti: Goss e Graham stavano facendo una prima colazione di lavoro
con in generale Mahmoud quando la quadruplica tragedia era in corso, come
spiega il
giornale. Le Torri esplodevano, il Pentagono era in
fiamme, e l'ufficiale pagatore di Atta era a tavola con i due capi delle
commissioni sui servizi
segreti.
"Dunque,
mister Goss, vi avrà detto cose molto interessanti il generale?", chiede il giornalista. Risposta
di Goss: "Niente
di veramente nuovo, ma tutto fa parte del fingerpointing".
Fingerpoint
significa "segnare a
dito". Dire,
senza prove, chi sono i colpevoli di un fatto. O additare colpevoli che non lo
sono. La cosa colpisce il professor Chossudovsky: "Questa
dichiarazione viene dall'uomo che era a tavola con il presunto finanziatore
dei fatti dell'11 settembre, la mattina dell'11 settembre".
Non è tutto. Secondo il New York 7cmes del 14 settembre, l'ex capo
dell’ISI licenziato per ordine degli americani incontra, anche Colin Powell e
il suo vice Richard Armitage, il sottosegretario di Stato Marc Grossman, il
senatore Joseph Biden, democratico e presidente della Commissione Esteri al
Senato. Insomma, un vero amico. Anzi di più. Il generale pakistano si
intrattiene anche con George Tenet, capo della Cia. E in quei giorni
specialmente, Tenet incontrava tutte le mattine il presidente Bush, dalle 8
per mezz'ora, per il briefing quotidiano dei servizi. In genere l'informativa
della Cia, "President
daily briefing", è un documento scritto. Ma "Tenet lo cura personalmente e lo
pronuncia oralmente durante i suoi incontri mattutini con Bush"
(Washington Post, 17 maggio
2002). Sicché non resta traccia scritta di quel che viene detto, e proprio nei
giorni dell'attacco. Fatto che non ha precedenti, secondo Chossudovsky.
Meglio se, come dice il Washington Post (29 gennaio 2002), `fra Bush, che
preferiva l'informativa orale, e il direttore della Cia presente, s'è sviluppata
una forte relazione. Tenet può essere diretto, anche irriverente e
franco".
Chissà come l'avrà francamente
informato dei suoi colloqui col finanziatore pakistano di Atta, quello che
secondo la versione ufficiale è il "terrorista suicida" per eccellenza.
Il fatto è che, ha scoperto Chossudovsky, la Casa Bianca
ha cercato di cancellare il ricordo del generale Mahmoud. È avvenuto nel maggio
del
2002, quando sui giornali ha ripreso a correre la notizia
che "il presidente sapeva in
anticipo di un possibile dirottamento" dell' 11 settembre. Più precisamente, il New York Times (20 maggio 2002) cita "un rapporto del 1999 del National
Intelligence Council [...] il quale diceva che attentatore/i suicidi del
battaglione martiri Al-Qaeda poteva lanciare un aereo carico di esplosivo sul
Pentagono, i quartieri della Cia o la Casa Bianca".
Per l'entourage del presidente
Bush, è urgente ridurre il danno di queste voci. Il 16 maggio, alle 4 del
pomeriggio, Condoleeza Rice, la consigliera per la sicurezza nazionale, tiene
una conferenza stampa di spiegazione, per calmare la stampa. I giornalisti
fanno domande, e qualcuno chiede alla Rice della presenza a Washington del
generale Mahmoud. Come al solito, la trascrizione della conferenza-stampa
appare sul sito internet della Casa Bianca.
Il riferimento all'ex capo dell'ISI è stato cancellato.
La trascrizione ufficiale risulta così:
"Giornalista:
dottoressa Rice! Dottoressa Rice!
Rice: sì?
Giornalista: è al corrente dei rapporti di
quei giorni secondo cui era a
Washington l'Il
settembre, e il 10 settembre dal Pakistan 100 mila dollari erano stati
trasferiti a quei gruppi in quest'area? E perché era qui?
Aveva incontri con lei
o altri nell'amministrazione?
Rice: "non ho
visto quei rapporti, e sicuramente non s'è incontrato con me".
Constatate quelle lineette messe
al posto dove dovrebbe leggersi "il
capo
dell' ISI, il
giornalista Toni Fiocco ha telefonato alla CNN per avere, della conferenza
stampa della Rice, la trascrizione del network televisivo. Nella trascrizione
della CNN, risulta che al posto delle lineette c'è la parola "inaudible",
"non sentito" dallo stenografo.
Insomma resta il dubbio. Un altro dubbio. Unito ai tanti
che sorgono dalla presenza del generale capo dell'ISI, e dei suoi colloqui con
personalità di altissimo livello del governo Usa, nelle ore stesse in cui si
svolgeva il più atroce atto terroristico subito dalla nazione americana. Il
generale Mahmoud, pagatore di Atta, era ignaro nella capitale Usa quando Atta,
il
presunto capo dei presunti
suicidi, metteva a segno l'attacco. Ne è colto di sorpresa, al punto da farsi
lasciare a terra dal blocco del traffico aereo seguito all'attentato, e durato
più giorni. Non viene interrogato né inquisito. Anzi ha colloqui e colazioni
di lavoro, da pari a pari, con ministri e membri del Congresso che dovrebbero
controllare l' intelligence. E non sa dire "nulla di nuovo", tranne "indicare a
dito", fare
delle ipotesi. È credibile? O ciò non implica l'esistenza di legami
inconfessati e da non confessare tra il finanziatore del terrorismo e membri
del governo e del Congresso? Che costoro, gli americani del potere, sapessero
molte cose, troppe, sulla tragedia del World Trade Center, in anticipo? E che
su questa strana vicenda non ci sia alcuna voglia di fare luce? Ogni sospetto
è lecito. Tanto più quando si apprende che Porter Goss, capo della Commissione
Servizi Segreti alla Camera dei rappresentanti, è lui stesso "un ex funzionario
della Cia". Come
co-presidente della Commissione congiunta sulle indagini, sarebbe nella
posizione migliore non per fare luce, ma per insabbiare. Difatti, proprio Goss
ha chiesto che la Commissione, insediata nel tardo settembre 2002, chiuda i
suoi lavori in tempi relativamente ristretti, per gennaio 2003. Quattro mesi:
le persone della Cia e dell'amministrazione che saranno convocate hanno modo di
tirare in lungo, far scadere i tempi e così negare informazioni imbarazzanti.
Del resto, la Casa Bianca di Bush ha insistito a limitare l'indagine, per "non sottrarre
tempo ed energie" a persone dell'intelligence impegnate nella lotta contro 1`asse del male". E ciò, mentre Bush e i suoi - con
quei legami con il finanziatore dei terroristi, con quella strana accusa
continuamente pendente che "sapessero in anticipo" e non abbiano fatto niente per impedire il disastro, paiono sotto
controllo di una potenza straniera 3.
' Lo ha detto, e non poteva dirlo
meglio, radio Kol Ysrael il 3 ottobre 2001 nel suo notiziario in ebraico. Shimon Peres
(il ministro degli Esteri), ha detto la radio, ha messo in guardia Ariel Sharon
(primo ministro) che il suo ostinato rifiuto di accedere alla richiesta
americana di sospendere le operazioni contro i palestinesi rischia di "danneggiare gli interessi israeliani" e "metterci
contro gli americani". A questo punto, sempre secondo
Paiono? Ci corre qui l'obbligo di
segnalare l'opinione di un personaggio discutibile, ma in grado di sapere. È il generale pakistano Hamid Gul, uno degli uomini dei servizi segreti
che, dal Pakistan, "hanno
messo in moto gli eventi che hanno distrutto l'Unione Sovietica": così lo presenta il periodico New Yorker, che lo intervista nel numero del
3 dicembre 2001. L'allusione è alle oscure e annose operazioni di assistenza,
intraprese in cooperazione fra la Cia e il suo omologo pakistano, l'ISI, del
movimento mujaheddin che ha contrastato l'occupazione sovietica
dell'Afghanistan. Basta riportare poche righe.
"L'attacco dell'11
settembre, ha detto [il generale Gul], è stato parte di un complotto molto più vasto, un colpo di
stato tentato contro la Casa Bianca. Io [è la giornalista Isabel Hilton che parla] gli ho chiesto chi ci
fosse dietro, immaginando in anticipo la risposta. "Ariel Sharon, mi ha risposto. Il
primo ministro israeliano è stato infuriato dal fatto che George W. Bush fosse
arrivato alla Casa Bianca. Era Al Gore [il candidato democratico, che s'era scelto come
vicepresidente l'israelita Lieberman] l'uomo che Israele aveva scelto.
"Il generale Gul
poi ha elencato quelle che, ha detto, erano le richieste di Israele: la
distruzione del programma nucleare del Pakistan, il disarmo dei suoi vicini
arabi, il riconoscimento di Gerusalemme come capitale israeliana, e un
"No" definitivo a uno stato palestinese".
Il generale Gul adombra che Bush
jr. sia vittima di un ricatto? Naturalmente non è obbligatorio credere a uno
stratega di uno dei più feroci servizi segreti dell'Asia, che ha trascorso una
vita nell'ambiente dove menzogna e disinformazione sono moneta corrente.
Tuttavia si metta agli atti questa sua dichiarazione. E il fatto che essa è
raccolta non da un giornaletto di complottisti paranoidi, ma dalla rivista più
chic di Manhattan 4.
la radio, un furioso Sharon avrebbe replicato: "Ogni volta che facciamo qualcosa tu dici che gli americani faranno questo e quello. Voglio dirti una cosa chiara: infischiatene delle pressioni
americane. Noi controlliamo l'America, e l'America lo sa". Peres e altri ministri, ha
aggiunto la radio, hanno esortato Sharon a non dire cose del genere in pubblico
perché "possono provocarci un
disastro d'immagine".
° The New
Yorker, "The Pashtun code", di Isabel
Hilton, 3 dicembre 2001.
Capitolo 11
IL FURGONE
BIANCO
Ho raccontato in un precedente
saggio1 come, nei mesi precedenti l'attacco terrorista al World Trade Center e
poi nelle febbrili settimane seguenti, si sia parlato di decine di agenti
israeliani fermati negli Stati Un ti, dove stavano conducendo imprecisabili
operazioni. Ho detto anche come la notizia, apparsa a tutta prima su vari
giornali americani, sia stata smentita e soppressa.
Ma la notizia, ostinata,
riemerge. Il 21 giugno 2002 il telegiornale de network televisivo ABC, "ABC News", ha rivangato parte della storia,
coi nuovi istruttivi particolari.
I giornalisti sono andati a parlare con la testimone ("Maria") che l' I 1 settembre, dal suo
appartamento dei New Jersey in vista delle Torri, vidi volgersi il disastro nel
cuore di Manhattan. "Maria",
col suo binocolo
vide però anche un'altra scena. Più vicina, e assai sospetta. Tre giovani erano
saliti sul tetto di un furgone bianco fermo nel parcheggio del suo condominio. "Sembrava stessero
riprendendo un film". Più precisamente, i tre "si scattavano
foto a vicenda sullo sfondo del Work Trade Center in fiamme. Quel che colpì
Maria fu l'espressione delle ton
facce. Erano come contenti, capite. Non sembravano colpiti. Mi è parse molto
strano".
La testimone si
scrisse il numero di targa del furgone, e chiamò la polizia.
' M.
Blondet, "Il
Settembre, colpo di Stato in
Usa", cit. p. 65-71.
71
Il veicolo risultò appartenere alla Urban Moving, una
ditta di traslochi locale.
Alle 4 del pomeriggio degli agenti rintracciarono il
furgone parcheggiato su una corsia di emergenza della superstrada numero 3,
presso il Giants Stadium. A bordo c'erano cinque uomini tra i 22 e i 27 anni.
Frugati e interrogati sul posto, uno di loro risultò in possesso di 4700
dollari in contanti (nove milioni di vecchie lire) nascosti in un calzino. Un
altro esibì due passaporti stranieri. E tutti si dichiararono cittadini
israeliani. Secondo il rapporto degli agenti, letto da ABC, il guidatore del
furgone, Silvan Kurzberg, disse loro: "Siamo israeliani. Non siamo noi il vostro
problema. I vostri problemi sono i nostri. I palestinesi sono il
problema".
Alle quattro del pomeriggio dell'
11 settembre, quando il mondo non sapeva ancora nulla sulle menti degli
attentati, i cinque facchini di un'agenzia di traslochi già erano in grado di
indicare i colpevoli: "i
palestinesi", erano
loro i "terroristi".
La linea che
Sharon avrebbe tenuto ore dopo.
Tutti in galera: Silvan Kurzberg
e suo fratello Paul, Yaron Shmuel, Oded Elner e Omer Marmar. Però, da quel
momento, il loro caso viene preso in carico dall'Fbi, Foreign
Counterintelligence Section. Secondo ABC, "il trasferimento di
competenze, secondo le nostre fonti, ebbe luogo perché l'Fbi riteneva la Urban
Moving una possibile copertura per un'operazione di intelligence israeliana".
Gli uffici della ditta di
traslochi, localizzati a Weekhawken (New Jersey) furono perquisiti. Per diverse
ore l'Fbi asportò documenti e hard disk dei computer, ispezionò casse di
trasloco. Fu ovviamente interrogato il proprietario della Urban Moving. "Il suo avvocato", dice la ABC, "insiste che il
suo cliente ha risposto a tutte le domande. Ma quando l'Fbi ha cercato di
interrogarlo di nuovo giorni dopo, l'uomo era sparito".
Tre mesi dopo i fatti, le telecamere di "2020"
(un programma della tv) entrarono negli uffici abbandonati della Urban Moving: "Sembrava che
l'attività fosse stata chiusa in gran fretta. C'erano telefoni cellulari abbandonati
attorno; le linee dei telefoni fissi erano ancora attive; e i mobili di decine
di clienti erano stati lasciati nel magazzino. Il proprietario
aveva lasciato anche la
sua abitazione in New Jersey, la quale era in vendita, e tornato con la
famiglia in Israele".
Secondo l'avvocato degli israeliani, Steven Gordon, i
suoi clienti erano solo dei giovanotti: venuti in America in vacanza, avevano
finito per trovar lavoro come facchini di traslochi. I cinque ragazzoni erano
detenuti al Metropolitan Detention Center di Broocklyn solo perché avevano i visti
scaduti e avevano lavorato illegalmente in Usa. Dopo due settimane, un giudice
ordina l'espulsione dei cinque per il visto scaduto. La decisione però,
sostiene la ABC, viene bloccata dai funzionari
dello Fbi e della Cia: a quanto pare perché i nomi di alcuni degli arrestati
risultano in un archivio di agenti dei servizi israeliani. Così, la detenzione
dei sospetti durerà due mesi. Alcuni di loro sono tenuti in isolamento; altri
vengono sottoposti a numerosi test della macchina della verità. Paul Kurzberg
rifiuta per dieci settimane il test con la macchina, adducendo di "aver lavorato in
passato per l'intelligente israeliana in un altro paese". Alla fine accetta, e non passa il
test.
Dopo 71 giorni in carcere, e "un accordo
raggiunto tra funzionari dei governi Usa e israeliano" aggiunge ABC, i cinque vengono caricati
su un aereo e rispediti a Tel Aviv. La rete tv intervista Mark Regev, portavoce
dell'ambasciata d'Israele. "Quei cinque non conducevano alcuna operazione di
spionaggio in Usa", è l'ovvia replica, "e le autorità del
controspionaggio americano non hanno mai sollevato la questione con noi. La
storia è semplicemente falsa".
Addirittura falsa. Storia mai
esistita. Non è però il parere della ABC o meglio delle sue anonime fonti. Le
quali badano a dire che i cinque, forse, facevano parte sì di un'operazione
spionistica, ma rivolta "ai fonda
mentalisti islamici
nell'area New Jersey e New York". In ogni caso, si affrettano ad aggiungere, i cinque "non avevano
conoscenza in anticipo degli eventi dell'11 settembre".
La vicenda viene sepolta nel silenzio. Definitivamente?
No. In qualche modo, ostinata, riemerge.
73
Riemerge, per esempio e
sorprendentemente, in un documento dell'Ufficio italiano dei cambi, datato 4
febbraio 2002. Una circolare a banche e assicurazioni. Che esordisce: "Le autorità statunitensi impegnate negli
accertamenti relativi ai fatti di terrorismo internazionale hanno trasmesso un
ulteriore elenco di nominativi affinché, assicurando la riservatezza, siano
acquisite informazioni utili per la ricostruzione di eventuali movimentazioni
finanziarie ad essi riferibili. Come nelle precedenti occasioni, si invia la
lista in questione...". Segue l'invito "a
segnalare allo scrivente" (il direttore generale dell'Ufficio cambi) "ogni informazione rilevante".
Segue la lista. Decine di nomi
quasi tutti arabi (ma ci sono anche cinque americani). E, tra questi, uno:
Dominik Suter. Ultimi indirizzi conosciuti: 28, Harlow Crescent road, New
Jersy; 312 Pavonia avenue, Jersey City, e Dickens Suite 11 Sherman Oaks,
California.
Chi è Dominik Suter? È il proprietario della Urban Moving. L'israeliano che ha abbandonato
in gran fretta la sua ditta ed ha preso il largo. È ancora ricercato dalle "autorità
americane", o
almeno si vogliono sapere movimenti finanziari che lo riguardano.
Dunque la storia non è "semplicemente falsa".
No, decisamente non lo è. Anzi storie simili,
ostinatamente, riemergono dove meno ce lo si aspetta. Sul Seattle Post del 14 maggio 2002.
Il 7 maggio scorso, racconta il
giornale di Seattle, un furgone di una ditta di traslochi è stato fermato per
eccesso di velocità a Oak Harbor, vicino a Widbey Island, dove è situata - si
noti - una Naval Air Station che è la base degli aerei da sorveglianza
elettronica "Prowler". Ciò che insospettisce i poliziotti è
il fatto che sul furgone ci sono due uomini "medio orientali" (più avanti si specifica: israeliani) di cui uno esibisce una patente internazionale e un
visto scaduto, e l'altro nessun documento. Dicono di essere lì per consegnare
mobili, e di stare tornando in Canada. Ma è mezzanotte, ora strana per i
traslochi.
Viene chiamato un cane da fiuto
capace di annusare esplosivi: il cane "sente"
qualcosa sul
volante e sulla leva del cambio, anche se la perquisizione seguente non porta
a scoprire nulla.
Naturalmente, forse già lo indovinate, l'Fbi si affretta
a chiudere il caso: è solo una violazione alle norme sull'immigrazione. Il cane
deve a scambiato per esplosivo l'odore di sigarette. Sarà. Ma questa storia
somiglia troppo all'altra del New Jersey. Un furgone. Una ditta di traslochi.
Due israeliani con documenti Irregolari. Possibili tracce di tritolo. Vicini a
una base militare.
Questo tipo di storie è ostinato. Anche perché, par di
capire, furgoni aziende di traslochi con israeliani a bordo, ostinatamente
continuano, circolare per gli Stati Uniti per svolgervi il loro "lavoro".
75
Capitolo 12
I "SUICIDI' SONO VIVI
A sole 48 ore dalle stragi dell'
11 settembre, l'FBI emanò una lista dei 19 "attentatori suicidi" che avevano preso possesso degli
aerei. Nomi, cognomi, foto-tessera. Risultato di un'indagine finalmente
fulminea.
Il punto è che già il 20
settembre il ministro degli esteri saudita Saud Al-Faisal, in un colloquio con
il presidente Bush, gli rendeva noto che - stante le indagini compiute dagli
agenti sauditi - "cinque
dei nomi compresi
nella lista dell'FBI
non hanno nulla a che vedere coi fatti". Said Alghamdi, Mohand Alshehri,
Abdul Aziz Alomari e Salem Alhazmi "non sono morti e non c'entrano con
l'odioso attacco a New York e Washington".
Solo uno, Khalid Al-Mihdar, uno
dei presunti dirottatori del tragico vola 77, era risultato introvabile. Ma
secondo la polizia saudita era vivo anche lui.
Walid Alshehri, il pilota che
nella versione ufficiale dirottò il volo 11, è effettivamente un pilota
professionale: addestrato alla Embry-Riddle Aeronautical University, lavora
regolarmente per la Royal
Air Moroc, la
compagnia aerea marocchina, la quale sostiene che il personaggic abita a Casablanca.
La Associated Press ha confermato la notizia il 22 settembre, rendendo noto che
Alshehri, "la
cui foto è stata divulgata dall'FBI e ripresa da giornali e tv di tutto il
mondo", s'è
fatto vivo con l'ambasciata Usa in Marocco "dimostrando chiaramente che non
era membro del commando suicida". La BBC riprende la notizia il 23 settembre 2001.
Abdul Aziz Alomari, anche lui, doveva essersi schiantato
sul volo 11
Invece riappare. Anzi ne riappaiono due. Un Al-Omari "pilota della
Saudi Airlines s'è presentato all'ambasciata Usa a Jeddah per chiedere
spiegazioni, stupefatto di essere accusato di dirottamento" (Independent,
1 settembre
2001). Un altro Al-Omari si mette in contatto con le autorità saudite. Anche
lui stupito di essere nella lista, con nome e data di nascita esatta. E
racconta: nel 1995, mentre ero studente di ingegneria elettrica all'Università
di Denver, qualcuno mi rubò il passaporto. Allora ne feci regolare denuncia (Telegraph, 23 settembre 2001).
Said Alghamdi doveva essere, con altri due complici
votati alla morte, sul tragico volo 93. Invece lavora - anche lui è pilota di
linea - per la Tunis Air. "Sono completamente sconvolto", racconta al Telegraph (23 settembre 2001): "Negli ultimi dieci mesi ho abitato a
Tunisi con altri 22 piloti per seguire il corso di pilotaggio sull'Airbus
320". Salem
Alhazmi, "suicida"
sul volo 77, "ha 26 anni ed è appena tornato al lavoro in un complesso
petrolchimico nella città industriale saudita di Yanbu. Quando gli attentatori
hanno colpito era in vacanza in Arabia Saudita", dice il Telegraph.
Ahmed Alnami era o no sul volo
93? "Sono
ancora vivo come vedete", dichiara al Telegraph: "Sono allarmato di vedere il
mio nome nella lista del Dipartimento della Giustizia americano". Giudica "molto preoccupante"
che la sua
identità gli sia stata "rubata"
e divulgata
dall'FBI "senza
alcun controllo". Non gli si può dar torto. La prestigiosa polizia federale ha
commesso una quantità di errori, quasi non avesse fatto verifiche sulla lista
dei nomi. Quasi avesse preso ciecamente per buona una lista fornitagli da
qualche altro servizio.
Ma non basta. Aamir Bikhari, un
altro terrorista suicida, "è morto in un incidente con un piccolo aereo l'anno
scorso", scopre
la CNN. Adnan Bukhari, un altro suicida, "è ancora in Florida" vivo, sempre secondo la CNN. Amer
Kamfar, un altro nella lista dell'FBI, "è invece vivo e fa' il pilota in
Arabia", secondo
il giornale arabo Wal
Fadjri (21 settembre 2001).
Alla fine, l'FBI dovrà ammettere
che l'identità dei terroristi suicidi non è accertata nemmeno in un caso. Che
quella lista di nomi non prova né dice nulla, che le identità date per certe
non corrispondono a persone reali. I terroristi possono aver agito sotto
documenti falsi, è la facile ipotesi. In realtà, non è più certo nemmeno che
ci fossero dei dirottatori su quegli aerei. Tutte le carte sembrano confuse, ad
arte o per incapacità investigativa. Per esempio, sul volo 11, la lista
ufficiale ha dato presenti 92 persone fra passeggeri ed equipaggio. Ma poi
altre liste ne segnalano 87.
È appunto questa ambiguità,
questa nebbia, a giustificare le tesi complottiate che pullulano su internet:
chi erano i dirottatori a bordo dei quattro aerei? E poi, c'erano dei
dirottatori? Allo stato delle lacunose conoscenze attuali, si può credere che
gli attentati siano stati compiuti attraverso un sofisticato apparato di
telecomando, con la tecnologia Global Hawk in possesso delle forze aeree americane? Che si
sia trattato di una operazione `false flag"?
"False flag", bandiera falsa, è, nel gergo
delle spie, il nome di quelle operazioni, in cui i servizi segreti di un paese
commettono attentati usando identità e coperture di altri paesi, in modo da
farne ricadere la colpa su questi. Che il Mossad sia specialista in "false flag
operations" è stato riconosciuto da uno studio
militare americano. Uno studio sensazionale. Preparato nel 2001 dalla Army's School oJ Advanced Military Studies di Forth Leavenworth (Kansas),
un'alta scuola che addestra truppe di elite. Lo studio, 68 pagine stilate da
60 ufficiali, fu elaborato come preparazione di un piano per l'eventuale
interposizione di truppe americane "di pace" fra israeliani e palestinesi in
Terra Santa: studio commissionato dall'Amministrazione Bush quando, evidentemente,
credeva ancora al processo di pace e non considerava Arafat come un altro Bin
Laden. Ebbene: questo studio indicava che il pericolo maggiore per le vite dei
soldati americani - il rapporto consigliava di spiegarne almeno 20 mila -
sarebbe venuto dagli israeliani, non dai palestinesi. Le forze armate
israeliane vi vengono indicate così: "ben armate e addestrate. Note per
compiere le loro missioni anche in spregio alle leg-
gi internazionali".
Quanto al
Mossad, lo studio avvertiva: "ha la capacità di colpire forze americane e far
apparire ciò come azione arabo-palestinese" '.
False bandiere. Silenzi ambigui. E bugie.
L' intera vicenda dell'attacco al World Trade Center ne è
letteralmente infestata.
Così, la storia triste e
commovente delle telefonate che diversi passeggeri hanno fatto - o avrebbero
fatto - a familiari dagli aerei che volavano verso la distruzione. Una di
queste telefonate venne - o si è affermato che venne - da un personaggio
eccellente: Barbara Olson, nota commentatrice per la CNN. Barbara era sul volo
77, che si schiantò sul Pentagono. Telefonò - così si è detto - a suo marito,
altro personaggio eccellente: Ted Olson, solicitor generai degli Stati Uniti. Il vedovo ha raccontato
al Telegraph
il 23 marzo 2002: "Barbara
ebbe difficoltà ad avere la linea, perché non usava il suo telefono cellulare
ma quello sul sedile del passeggero. Non aveva la borsetta con sé, perché
chiamava a carico del destinatario (collect call) e ha chiamato attraverso il centralino del
Dipartimento della Giustizia, il che non è mai facile".
Il punto è che i telefoni di
bordo a disposizione dei passeggeri sull'American Airlines non possono fare
chiamate a carico del destinatario. Per telefonare, bisogna anzitutto attivarli
inserendovi una carta di credito (e già l'attivazione costa un addebito di 2,50 dollari, più altri 2,50 ogni minuto di conversazione).
Ora, per ammissione del vedovo, Barbara non aveva con sé la carta di credito.
Come ha fatto? E si è davvero sicuri che abbia telefonato lei?
'
Washington
Times, Army Suggests US force of 20,000", di Rowan Scarborough, 5 aprile
2002. È stato avanzato il sospetto che
anche l'attentato attribuito ad Al-Qaeda contro il dragamine USS Cole nel porto
di Aden, compiuto nel '99, sia una ' Tolse
flag
operation". Secondo la versione ufficiale, sarebbe stato un gommone
carico di tritolo, guidato da due "terroristi
suicidi", a squarciare la
fiancata della nave americana, uccidendo sei membri dell'equipaggio. Ma per
motivi balistici è escluso che un gommone, per quanto esplosivo porti, basti a
provocare su una nave corazzata uno squarcio di quattro metri. L'ipotesi
avanzata è che la USS Cole sia stata colpita da un piccolo missile aria-terra "Popeye 2", guidato da una telecamera situata nel naso del missile
stesso. Il "Popeye" è in dotazione al Nord Corea, alla Turchia e ad Israele.
Anche di un altro defunto s'è
detto che ha telefonato dal volo 93. Ted Beamer, con uno dei telefoni di bordo
per i passeggeri, ha fatto una chiamata di ben tredici minuti. Così ha
affermato sua moglie, Lisa Beamer. Ma non è stata lei a ricevere direttamente
la telefonata. A quanto risulta da tutti i resoconti, Ted il morituro parlò per
13 minuti con una operatrice della GTE (la compagnia telefonica) di nome Lisa
D. Jefferson, e raccontò che i passeggeri con lui erano decisi a fare qualcosa
per fermare i terroristi. La moglie, la vedova, ha solo ricevuto una chiamata
dell'operatore che le ha "detto" dell'estrema telefonata del marito. E a Lisa D. Jefferson
è stato vietato di raccontare ai giornalisti quel che è accaduto davvero.
Ci abbiamo creduto a quei valorosi passeggeri che
sull'orlo della morte hanno lottato coi dirottatori. Ci siamo commossi.
Possiamo ripeterlo con le parole del britannico Independent z:
"tutti noi conosciamo la commovente storia del volo 93. Degli eroici
passeggeri che hanno obbligato l'aereo dirottato a schiantarsi al suolo,
sacrificando le proprio vite per salvarne altre. Il solo problema è: forse,
semplicemente, non
è vero".
Il giornale britannico ha
condotto una propria inchiesta sulla fonte del racconto eroico. Ed ha scoperto
che il New
York Times è
stato il primo - il 22 settembre 2001 - a fornire una sommaria indicazione,
citando non specificate `fonti ufficiali", secondo cui "sembra" che sul volo 93 "sia avvenuto un
conflitto caotico che apparentemente ha portato allo schianto
dell'aereo". Quanto
al racconto vero e proprio, ricco di particolari sui coraggiosi passeggeri che
si sarebbero avventati sui dirottatori, esso è apparso su Vanity Fair, la rivista dei pettegolezzi di
Hollywood. "Ciò
sarà ricordato come una delle più grandi storie di eroismo mai
raccontate", proclama
Vanity
Fair. Due mesi
dopo, la storia viene ripresa da Newsweek, commenta l' Independent, "con particolari ancor
più hollywoodiani": vi si parla di "cittadini soldati ... insorti, come i
loro antenati, a sfidare la tirannia ...Nell'osare e nel morire, i passeggeri e
l'equipaggio del volo 93 hanno conquistato una vittoria per tutti noi".
z The Independent, Unanswered
questions: the mistery of flight 93, 13 agosto 2002.
81
81
Nessun'altra fonte più seria.
Nessuna trascrizione legalmente autentificata dei dialoghi fra la torre di
controllo e l'equipaggio è mai stata pubblicata. Nessuna inchiesta della
magistratura è in corso per accertare i fatti. Che sono quasi certamente falsi.
Sono proprio falsificazioni così
rozze, giudica The
Independent, ad
alimentare le voci complottiste secondo cui sarebbero stati "gli ebrei" o "la
Cia" a
pianificare e attuare i dirottamenti e le stragi. Indagini serie sono tanto più
necessarie per ridurre queste voci velenose.
Invece, accade il contrario, come
ha scoperto il giornalista indipendente Tom Fiocco 3. La
sua indagine è stata condotta tra le centinaia di familiari delle vittime
dell' 11 settembre, i quali hanno aperto innumerevoli cause penali e civili
per appurare le responsabilità dei fatti, onde sapere a chi chiedere eventuali
risarcimenti. A questo scopo, gli avvocati delle famiglie hanno chiesto
l'audizione di testimoni, l'assunzione di documenti e trascrizioni (per esempio
fra gli aerei e le torri di controllo), insomma tutti gli elementi di prova per
condurre la causa. Ebbene: almeno uno dei giudici davanti a cui le cause sono
state portate - il giudice distrettuale Alvin Hellerstein di New York - è
stato "avvertito"
dal Ministero
della Giustizia che detto Ministero "Interverrà per controllare l'accesso ad
ogni elemento di prova e documentazione riguardanti gli atti terroristici dell'U
settembre", con
la scusa dei "gravi
motivi di interesse nazionale". "Ogni scoperta investigativa
di parte e non di parte" dovrà, prima di essere discussa in aula, essere "sottoposta alla
Transportation Security Administration", così che l'ente "possa rivedere
questo materiale e depurarlo di informazioni sensibili per la sicurezza".
In parole semplici, il ministero della Giustizia sta
cercando di `filtrare"
prove e indizi,
per sottrarle alla conoscenza del pubblico. "La Casa Bianca sta cercando di
controllare o bloccare le prove di cui abbiamo bisogno per dimostrare in aula
casi di negligenza", come ha detto un anonimo avvocato delle famiglie a Tom Fiocco.
'
Tom
Fiocco, "Justice Department To Attempt Shut Down of 9711 Evidence
Friday", Scoop Media, 11 luglio 2002.
Di più. Diversi testimoni che
hanno già ricevuto l'atto di citazione pei testimoniare in aula (si tratta
soprattutto degli addetti alle torri di controllo in quelle ore) sono stati "avvicinati" da funzionari "dell'Amministrazione
Bush e della Transportation Security Administration" ed avvertiti che "prima di
cooperare con le famiglie" è loro dovere "lasciarsi ispeziona re dalla
Transportation Security". Tentativo evidente di subornare i testimoni e controllare
le loro testimonianze prima dei processi.
Non basta. Le famiglie delle
vittime sono state anch'esse avvicinate d, funzionari, i quali cercano di
convincerle ad abbandonare le cause e ad accontentarsi invece del risarcimento
rapido e sommario fornito dalle speciale "Fondo di compensazione per le vittime
dell' 11 Settembre" istituito in fretta dal Congresso. E benché solo 10 famiglie su 3200
abbiano per ora ceduto, i tentativi continuano. La Casa Bianca sta lottando
perché la verità non emerga. Dev'essere questa la "giustizia" secondo le "leggi di
Noè", di
cui i miserabili goym dovranno accontentarsi nell'imminente "Regno"
di Israele.
83
Capitolo 13
IL LINCIAGGIO DI CYNTHIA
L'opposizione delle due Camere
americane è informata di questi particolari sospetti e dubbi, e anche di molti
di più. Ogni senatore e rappresentante del partito democratico - la minoranza
- sta ricevendo valanghe di e-mail con tutte le informazioni necessarie per
capire che qualcosa di supremamente ambiguo, e pericoloso per la democrazia, è
avvenuto dall' 11 settembre in poi.
Ma l'opposizione, patriotticamente, tace. C'è stata
finora una sola eccezione.
S'introduce qui la figura
coraggiosa di Cynthia McKinney, eletta alla Camera dei Rappresentanti per la
quarta circoscrizione della Georgia. Democratica, donna, nera. Il 25 marzo
2002, Cynthia viene intervistata in una trasmissione radiofonica, "Flashpoint", condotta dal giornalista David
Bernstein e diffusa a Berkeley, California. Lì, la donna chiede "una seria inchiesta" su quel che veramente è accaduto 1'
1 l settembre, e su quello che l'Amministrazione Bush sapeva prima degli eventi
che si preparavano. Esprime alcuni dubbi, formula alcuni esempi - cose che il
lettore di queste righe conosce già.
Essa ricorda che vari governi
stranieri avevano avvertito i più alti livelli dell'amministrazione di un
attacco in preparazione, ed erano stati ignorati.
Evoca la misteriosa speculazione
finanziaria al ribasso sulle azioni delle due linee aeree coinvolte
nell'attacco, condotta prima dell' 11 settembre da qualcuno che evidentemente
sapeva quel che sarebbe accaduto.
85
Chiama in questione i rapporti fra il regime dei talebani
e la compagnia petrolifera americana Unocal.
Ricorda che dopo la tragedia, il
presidente Bush e il vicepresidente Cheney hanno chiesto che 1'ìndagine
parlamentare sui fatti non fosse "né troppo lunga né troppo intensa".
Accenna ai grassi profitti che persone vicine
all'Amministrazione faranno grazie al colossale aumento delle spese per la
difesa; non tacendo, a questo proposito, la posizione privilegiata del Gruppo
Carlyle, in cui sono soci Bush padre e la famiglia saudita Bin Laden, e che è
diventato in pochi anni un importante contractor con le maggiori imprese di
tecnologie militari. Oltre due settimane dopo, il 12 aprile, sul Washington Post esce un articolo che attacca con
violenza Cynthia McKinney. 11 titolo, "Un democratico allude a un complotto
del governo sull'11 settembre"', non rende il tono aggressivo del testo. L'articolo
riferisce il commento di Scott McLellan, uno dei portavoce di Bush: "il popolo
americano conosce già i fatti,
e disprezza queste opinioni ridicole e senza fondamento". Il portavoce della Carlyle, Chris
Ullmann, aggiunge il suo commento insultante.
Lo stesso giorno, 12 aprile, appare un articolo molto più
violento sulla versione online della National Review, firmato da Jonah Goldberg,
ebreo.II tono: a proposito della richiesta della McKinney di una seria
indagine, Goldberg dice: "Non ho prove che la signora McKinney abbia ammazzato
dei bambini o dormito con l'intera squadra degli Atalanta Falcons". Le richieste della parlamentare
sono il frutto di "allucinazioni
paranoidi
di una complottista
cripto-marxista che odia l'America".
Il 13 aprile, sull'Atlanta Journal - Constitution (il quotidiano letto nella
circoscrizione della McKinney), il senatore democratico della Georgia, Zell
Miller, definisce "pericolosa
e irresponsabile" la richiesta della deputata. Il senatore racconta di un presunto
tentativo di Cynthia di "farsi baciare da Ari Fleischer" (il portavoce della Casa Bianca,
devoto degli hassidici) e finisce con un'allusione al consumo di droga, sempre
presunto, della parlamentare.
' "Democrat
Implies Sept 11 Administration Piot", a firma luliet Eilperin.
Lo stesso articolo dà voce a un politologo della Emory
University, Merle Black, che sulle frasi della deputata dà questo giudizio: "Ciò rinforza, tra
le persone serie della
sua circoscrizione, l'idea che si tratta di un rappresentante molto
incompetente, visto che ha scelto di spendere così il suo capitale
politico".
In realtà, l'opinione delle "persone
serie" dev'essere
stata diversa, visto che Cynthia ha vinto una dopo l'altra cinque elezioni, con
il 58 per cento dei voti come minimo. Ma la frase deve essere intesa come un "avvertimento"
mafioso:
McKinney stia attenta, le "persone serie" stanno facendo in modo che non
venga votata mai più. L'operazione, al momento in cui scriviamo, è in corso. Il
Wall
Street Journal del
16 agosto 2002 riporta una brevissima notizia (pagina A2): un'associazione di
neri americani di Atlanta, la Black Entertainment and Telecom Association, sta
facendo campagna a favore della McKinney. "Il gruppo
lamenta che lo sfidante della McKinney è largamente finanziato dai ricchi
bianchi e da uomini d'affari ebrei".
Sempre nello stesso articolo, viene citato il commento di
Ari Fleischer:
"La deputata sta
concorrendo per il primo premio della Grassy Knoll
Society": altra allusione al presunto uso
di droghe ("erba",
grass) da parte
della parlamentare. Evidentemente c'è un dossier al proposito, accessibile
all'Amministrazione, che viene allusivamente agitato per minacciare uno
scandalo contro la donna.
16 aprile: una fondazione culturale chiamata Southeastern
Legal Foundation 2 diffonde un suo rapporto, in cui si afferma che "il 21 per cento
dei contributi
elettorali ricevuti dalla McKinney proviene da individui o organizzazioni arabe
o medio-orientali". In particolare, "l'American Muslim Council e il Council of on
America-Islam Relations, che hanno
La Southeastern Legal Foundation è nata
nel 1976, con una donazione del miliardario Richard Mellon Scaife, lo stesso
che ha pagato parecchie indagini private sui vizietti sessuali di Bill
Clinton, e che finanzia alcuni "istituti strategici" di Richard Perle. Il vecchio presidente della
fondazione, tale Matthew Glavin, ha dovuto lasciare la carica nel 2000 perché
scoperto a compiere atti osceni in pubblico in un'area frequentata da omosessuali.
È stato condannato a un anno con la condizionale.
87
legami o espresso appoggio ad organizzazioni
terroristiche". Phil
Kent, il presidente della fondazione, fornisce il suo punto di vista: "Se la prendiamo
in parola [la
McKinney] nella
sua pretesa infondata, il popolo americano ha diritto anche di sapere che le
sue relazioni finanziarie sono pesantemente rappresentate da arabi connessi col
terrorismo". La
"notizia"
viene
immediatamente ripresa da vari giornali e siti conservatori. Il titolo, in
genere, è: "La
McKinney sostenuta da terroristi".
I1 17 aprile una editorialista
molto nota, Kathleen Parker, in vari interventi radiofonici ridicolizza la
deputata, parlando di un "premio McKinney, per gente troppo stupida per una
carica pubblica". La Parker spiega che Cynthia "è nera, il che obbliga ognuno a darle credito, per
non essere definito un razzista". Fa' dello spirito di bassissima lega: "una approfondita
inchiesta potrebbe rivelare che la McKinney si fa' di acido e vive con un
odontotecnico transessuale sotto il ponte di Brooklyn".
Evidentemente, le prudenze e gli
obblighi del "politicamente
corretto", sacro
in America, soffrono in questo caso un'eccezione. La Parker assicura che le
reti tv arabe "hanno
molto apprezzato" l'intervento della deputata "negra". Nessuna di queste radio
ovviamente "lascia
trasparire che la McKinney è una terrorista, simpatizzante di terroristi o
anche solo una socialista idrofoba che odia la scia stessa patria". È il linguaggio concui la Pravda denunciava ai tempi di Stalin le colpe di qualche nemico
del popolo improvvisamente smascherato. In Urss, questo tipo di campagne
giornalistiche preludeva immancabilmente alle ulteriori iniziative del partito:
dalla emarginazione sociale del traditore fino al suo proces
so-farsa. Ma cose simili non possono accadere in Usa.
Invece accadono. Il 22 aprile, la Southern Legai
Foundation avanza
ufficiale richiesta al leader della minoranza alla Camera, il democratico Richard
Gephardt, chiedendo la rimozione della McKinney dalle due commissioni cui partecipa,
visto che è finanziata da arabi. La stessa richiesta viene avanzata lo stesso
giorno, e con le stesse motivazioni, dall'AfricanAinerican Republican Leadership
Council: questo
gruppo chiede nello stesso tempo che la deputata sia espulsa dal Congressional Black Caucus,
il gruppo "nero" parlamentare di cui la McKinney
fa parte.
Lo stesso 22 aprile Human Events, una rivista conservatrice,
pubblica un articolo intitolato "I federali perquisiscono gli uffici di sette donatori della McKinney"'. L'articolo si dilunga sui
particolari: dei perquisiti vengono elencati nomi e cognomi (sono nomi
musulmani), quanti dollari ciascuno ha dato alla campagna elettorale della
deputata, le date dei mandati di perquisizione, il nome del giudice che li ha
firmati. Alla fine l'articolista, David Freddoso, deve ammettere: "a nessuno dei
contributori della
McKinney è stato contestato alcun reato".
È
stato dunque un atto giudiziario a mero scopo intimidatorio, per generare sui
giornali titoli diffamatori (in Italia la magistratura ci ha abituato a questo
genere di cose), nel quadro di una vasta e concertata campagna per screditare e
demonizzare una rappresentante eletta. Va notato che - esistendo in Usa anche
una assai meno influente "lobby araba" - anche il Partito Repubblicano ha
ricevuto e accettato donazioni da cittadini di fede musulmana. Uno di questi
gruppi, il Safa
Trust, è nella
lista dei sospetti di terrorismo: avrebbe finanziato persone coinvolte nel
terrorismo islamico e, insieme, i repubblicani Usa. Uno dei donatori della
McKinney, Abduhraman Alamoudi, fondatore di un American Muslim
Council, ha
versato denaro anche per la campagna di Bush nel 2000: donatore generoso (si
parla di 20 mila dollari), tanto che il presidente Bush ha invitato Alamoudi
alla giornata di preghiera del 14 settembre per le vittime degli attacchi al
World Trade Center e al Pentagono. Fatto sta che il linciaggio mediatico della
McKinney continua per circa due settimane; non mancano di parteciparvi giganti
come CNN, Fox News, la MSNBC, che dipingono diffusamente la deputata come proirakena,
complottista paranoide, irresponsabile e pericolosa. Poi però il clamore si
spegne. Molto probabilmente, perché i media sono inondati da e-mail e
telefonate di sostegno a Cynthia, o che reclamano come lei una seria inchiesta
che illumini i troppi punti oscuri. Alcuni sondaggi pro o contro la McKInney,
lanciati con clamore dalle tv, spariscono nel nulla
' "Feds searched
offices of seven McKinney donors".
dopo poche ore: pare che i voti pro-McKinney sfiorino il
50 per cento. Dopotutto, certe cose non riescono bene in America.
Accadono, accadono. E riescono.
Nell'agosto 2002, Cynthia McKinney ha perso le elezioni primarie nel quarto
distretto del suo stato, dove le aveva vinte per dieci anni consecutivi. Le
primarie sono in qualche modo elezioni di partito: quelle in cui è stata
sconfitta Cynthia erano del Partito Democratico. Ma, come ha raccontato l'Atlanta Journal-Constitution, "uno sciame di
simpatizzanti repubblicani" si sono presentati a mettere il loro voto nell'urna. Il
giornale intervista ad esempio "Bill
Dillon, 67 anni, di Chamblee, che
si definisce "repubblicano da 50 anni", ma ha votato nelle primarie
democratiche. "Voterei mille
volte contro [la
McKinney]". Cynthia ha dichiarato che i pezzi grossi del partito, da
Washington, le hanno fatto mancare ogni appoggio.
Il papà di Cynthia, Billy
McKinney, è anche lui un rappresentante democratico nella Camera dello Stato.
Una tv locale gli ha chiesto di spiegare le ragioni per la sconfitta di sua
figlia. Billy ha risposto: "ve ne
dirò quattro: J-E-W-S", ha compitato I. Anche questo succede in America: gli sporchi
negri sono antisemiti. Razzisti.
Atlanta
Journal-Constitution, 21 agosto 2002: "Outspoken Democrat
McKinney ousted after 10 years in Congress", di Jim Galloway.
Capitolo 14
LA LOBBY AL LAVORO
Il trattamento
subìto dalla McKinney basta a spiegare l'unità corale e senza smagliature con
cui il Congresso, invariabilmente, fa proprie le posizioni più estremiste in
Israele, senza distinzione alcuna fra democratici e repubblicani? O basta ad
ottenere questi risultati l'opera di persuasione del rabbino Shemtov ?
Il 2 maggio 2002, per esempio, il Senato americano con 94 voti contro 2, e la Camera dei Rappresentanti con 352 contro 21,
hanno votato l'incondizionato appoggio degli Stati Uniti alle feroci azioni
militari israeliane in corso contro il palestinesi. Il voto è stato così
schiacciante che persino il governo Bush, secondo a nessuno quanto a
filo-ebraismo, ha chiesto alle camere di attenuarne il significato per lasciare
un minimo spazio alle trattative di pace in corso. La richiesta del governo in
questo senso, però, è stata respinta dagli zelanti senatori e deputati a larga
maggioranza. Anzi i senatori, dal rabbinico Boe Lieberman al noachico Tom
DeLay, fecero a gara nel cantare le lodi di Sharon e nel demonizzare Arafat, il
"terrorista". Uno dei pochi coraggiosi
dissidenti, il senatore Ernest Hollings del South Carolina, ha spiegato al New York Times i motivi di tanto zelo filogiu-daico: "molti senatori sono a caccia di contributi
elettorali"'. Infatti.
Non sempre occorre il bastone per guidare il gregge dei goym soggetti alle
leggi noachiche. Per lo più basta la carota: denari, donazioni, contribuzioni
così necessarie per costruire le carriere politiche america
Citato
da Michael Massing, The Israeli lobby,
su The Nation, 10 giugno 2002.
ne. Lo stesso New York Times sorvola sulla notazione del
senatore,Hollings, essendo il fatto insieme noto, e accanitamente taciuto. La
lobby ebraica è una vasta rete di gruppi di pressione e fondazioni politico-culturali;
diversi nomi di queste entità punteggiano i capitoli precedenti. La più nota -
la Anti-Defamation League (ADL) - è un buon esempio della multiforme azione che
questi gruppi esercitano sull'opinione pubblica, con l'influenza o
l'intimidazione. Nata nel 1913 dalla società segreta B'nai B'rith ("Figli del
taglio": allusione
alla circoncisione), branca della massoneria riservata ai giudei, la ADL si
costituì all'inizio per contrastare - organizzando proteste - gli stereotipi
anti-ebraici che comparivano sulla stampa e nel cinema. Ma da allora ha
enormemente ampliato le sue attività, che spaziano dall'organizzazione di
corsi per agenti di polizia ("sensitivity training", addestramento alla sensibilità
politicamente corretta) alla diffusione nelle scuole di "materiali per
insegnanti" e "libri educativi" (che sono poi testi di propaganda
filo-israeliana), alla fornitura di "notizie" ad hoc ai media. Ma non basta.
Nell'aprile del 1993 la polizia di San Francisco e Los Angeles, fornita di
mandato, perquisì a sorpresa gli uffici della ADL, e scoprì che
l'organizzazione aveva schedato (illegalmente) 12 mila individui e 950 gruppi
politici o ideologici: dal Ku Klux Klan a Greenpeace, dal sindacato dei
contadini United Farm Workers al gruppo nero National Association for
Advancement of Colored People, a vario titolo ritenuti ostili alla causa
giudaica. Di un solo gruppo, l' Arab-American Anti-Discrimination Committee
(l'omologo arabo della ADL), erano stati schedati 4550 membri o simpatizzanti.
Per lo più, scoprirono gli agenti, le schedature contenevano dati personali
ottenuti in modo illegale da fonti riservate dello stato e della polizia, in
genere per corruzione dei funzionari. In molti casi, erano frutto di
infiltrazioni di "agenti"
ebraici nelle
organizzazioni sotto osservazione; una vera e propria rete di spionaggio
interno, stile Kgb vecchia maniera, che si estendeva a ben sette città e
metropoli americane. Uno degli "infiltrati" per conto dell'ADL era Tom
Gerard, un ex agente della Cia. Sfuggì in fretta all'interrogatorio dello Fbi
riparando nelle Filippine. Ma in una sua valigetta ventiquattrore fu trovato
materiale allarmante: almeno dieci fra passaporti, patenti di guida e carte
d'identità rilasciate
ad altrettanti nomi diversi.
Certificati di nascita in bianco. Carta intestata di diverse agenzie statali.
E, più inquietante, come si legge nel rapporto di polizia, "un cappuccio nero
evidentemente usato in interrogatori, e foto di uomini bendati e
ammanettati". Quali
genere di attività si consumano nei sotterranei dell'ADL? Nell'insieme, già
ogni schedatura - spiegò allora la polizia di Los Angeles - costituiva in sé un
grave reato. Non ci sorprenderà sapere che dei 12000 reati la ADL non ha
dovuto rispondere mai, e che tutta la losca faccenda è stata insabbiata. Ma è
uno dei pochi casi in cui la stampa nazionale parlò abbastanza apertamente
dell'attività della "lobby".
Ma in senso tecnico, quando a
Washington si parla (il meno possibile) della lobby pro-israeliana, il
riferimento è all'AIPAC, American Israeli Public Affairs Committee. "Il gruppo
d'interesse meglio finanziato d'America", lo ha definito il Wall Street Journal.
"La lobby più potente nell'influenzare la politica estera", secondo The Nation'. L'organo che crea e distrugge le
fortune dei candidati politici. Come spiega la Jewish Virtual Library,
l'Aipac
controlla il voto in America in modo decisivo. "Benché gli ebrei
in Usa siano solo sei milioni, il 2,3% della popolazione totale, circa l'89% di
essi abita in dodici collegi elettorali di stati decisivi per le elezioni.
Questi stati da soli "valgono" abbastanza voti elettorali da poter
eleggere il Presidente". Ne deriva che "prendere posizioni anti-israeliane non
comporta alcun beneficio per un candidato"; ma anzi "costa
considerevolmente in perdite di voti e di contribuzioni alle campagne".
L'AIPAC dichiara 60 mila
soci-donatori, al 90% ebrei; il 10 per cento restante è composto di
protestanti millenaristi, miliardari, che contano di "accelerare i
tempi ultimi" favorendo
l'occupazione di Israele sulla terra santa z. L'AIPAC pubblica dal 1977 una
lista continuamente aggiornata di personalità e associazioni americane
catalogate come "anti-israeliane"
e perciò "antisemite"
tout court: ad
aggiornare la lista di proscrizione contribuiscono, volontariamente e con
entusiasmo, tutte le altre associa
Su quest'ala del fondamentalismo
protestante americano, si veda il mio "I
fanatici dell’Apocalisse", Rimini, 2002, pag. 125 ("Protestanti per Sion").
93
zioni giudaiche. Questo è il bastone. Ma la carota conta ancora di
più: l'AIPAC "inonda
di milioni di dollari centinaia di membri del Congresso su entrambi gli
schieramenti", precisa
Massing, in proporzione al filoebraismo di ciascuno. "Inoltre,
controlla una rete di cittadini ricchi e influenti in tutto il paese, che
mobilita regolarmente a sostegno del suo scopo strategico: assicurare che non
ci sia divaricazione fra le politiche di Israele e quelle degli Stati
Uniti".
Nell'aprile del 2002, all'annuale
conferenza dell'AIPAC hanno partecipato un senatore su due, novanta
parlamentari, tredici membri del governo Bush, tutti in gara di servilismo: a
vincere il premio è stato Andrew Card, capo dello staff della Casa Bianca, che s'è
provato a dichiarare in ebraico: "viva il popolo d'Israele", strappando un'ovazione. In quella
riunione, ha scritto il Washington Post, l'AIPAC ha avuto modo di mostrare
"tutta
l'estensione del suo potere convocando alla tribuna centinaia di dignitari, con
applausi per ciascuno". Bill Clinton, per non essere da meno, ha dichiarato "per la
sopravvivenza d'Israele sono pronto a prendere il fucile e morire". Lui che è sfuggito alla leva per
il Vietnam.
Tristi spettacoli nella
democrazia americana. Che meriterebbero, commenta il giornalista Michael
Massing, un'attenzione più critica della stampa. Invece nulla. Un silenzio
intimorito circonda quello che la colta
rivista
The
Criterion ha
definito "Il terzo
partito americano", "un terzo partito fantasma che domina il discorso
politico"'. Al
punto che certi organi della lobby "che esercitano un'influenza enorme a
Washington",
sono praticamente ignoti al
pubblico. Come la Conference of Presidents of Major American Jewish
Organizations di New York: che riunisce 52 organizzazioni ebraiche, tutte
allineate dietro il suo presidente esecutivo, tale Malcolm Hoenlein, di cui
sono noti gli stretti collegamenti con il Likud, il partito neofascista 1 al
potere in Israele. Hoenlein è un noto rac
' "The Israeli
lobby is America's third party", The Criterion, 9 agosto 2002.
' l1 padre dei Likud fu Vladimir Jabotinsky
(1880-1940), promotore di un sionismo armato e razzista e di uno stato
"autoritario". Jabotinsky simpatizzò per Mussolini, al punto da
inviare i suoi militanti in Italia per essere addestrati alle armi.
coglitore di fondi per mantenere gli insediamenti
illegali, le "colonie"
di fanatici
ebraici sparse nei "territori
occupati", che
lui ovviamente chiama "Giudea
e Samaria" per
rivendicarne il possesso al giudaismo. Il personaggio, ignoto all'americano
medio, ha tutte le porte aperte al Pentagono, al Dipartimento di Stato e al
Consiglio di Sicurezza Nazionale: non a caso la rivista dell'ebraismo chic, Forward, nella graduatoria che pubblica
ogni anno dei "cinquanta
ebrei più importanti in America", gli tributa il primo posto. Secondo Massing, è stato
Hoenlein e la sua Conference of Presidents ad operare perché l'amministrazione
Bush non facesse troppo forti pressioni su Sharon nella sua brutale
repressione contro i palestinesi. Eppure, nessuno lo sa in Usa. Perché questo
silenzio?, si domanda Massing. E rivela che "scrivere su
questi gruppi di
pressione non è affatto facile per i giornalisti. Il potere dell'Aipac rende le
persone che possono essere fonti di notizie assai riluttanti a parlare. E i
dipendenti dell'Aipac che lasciano l'organizzazione devono firmare un impegno
al segreto". Inoltre,
va tenuto conto che l i
stessa espressione "lobby
ebraica" è
un tabù. I giornalisti non la scrivono nemmeno, per non essere bollati come
antisemiti, che nei media equivale alla morte professionale.
"Ma il vero
ostacolo a indagini giornalistiche su questi gruppi è, in ulti
ma analisi, la paura", dice Massing. Gli ebrei
tempestano i giornali e media di proteste feroci, ogni volta che credono di
scoprire, nei reportages dal Medio Oriente, un "pregiudizio
antisemita". Gli
ebrei importanti telefonano la loro protesta direttamente ai direttori dei
giornali, o agi editori. Le organizzazioni giudaiche della lobby organizzano
dei veri i propri boicottaggi: per i suoi servizi considerati filo-palestinesi,
il Lo, Angeles Times s'è visto annullare oltre mille
abbonamenti; decine di giornali (fra cui l'al 1ineatissimo Washington Post) hanno subito tagli punitivi di
inserzioni pubblicitarie, boicottaggi di lettori e così via. La CNN s' vista
annullare contratti pubblicitari per milioni di dollari. Quest'attività
intimidatoria, sempre attiva, è divenuta parossistica, incessante,
minuziosissima dopo VI 1 settembre. I pochi giornali, dopo il tragico attacco
terroristico, hanno notato un particolare interessante: il con-
95
9
trollo-sicurezza dei passeggeri
dagli aeroporti da cui sono partiti gli aerei del terrore è appaltato alla
ICTS, ditta di cui è proprietario un Ezra Heretz, israeliano con sede in
Olanda, che impiega per quel lavoro ex agenti dello Shin Bet, il servizio
segreto israeliano (e lo stesso ICTS ha il controllo dell'aeroporto Charles De
Gaulle a Parigi). Quei pochi giornali hanno dovuto pentirsene amaramente,
tanto la reazione dei lettori ebraici è stata feroce e punitiva. Così, la
notizia non ha avuto seguito; nessuna indagine ulteriore è stata condotta sullo
strano caso.
Nessun giornale americano ha cercato di appurare la
verità della voce - ripresa dal giornale giordano al-Watan - secondo cui, quel giorno, quattromila
ebrei che di norma lavorano al World Trade Center erano rimasti a casa. Eppure
la notizia meritava una certa attenzione giornalistica. Non risulta che nella
strage sia scomparso nessun ebreo, benché gli uffici del WTC, per lo più di
ditte finanziarie e banche d'affari, siano affollati di personale ebraico. Ed è
certo per esempio che la ZIM, una grossa ditta di trasporti israeliana con sede
nel World Trade Center, ha traslocato un mese prima dell'attacco: per una nuova
sede più economica, è stata la spiegazione ufficiale. Ma il contratto d'affitto
della ZIM nei locali del WTC era valido fino a dicembre, già pagato (50 mila
dollari, si dice) fino a Capodanno: perché quel trasloco anticipato? Non vi
aspettate risposte dai media americani. "Se io scrivessi qualcosa
stigli interessi
geopolitici di Israele in Usa, tanto varrebbe che svuotassi
la scrivania"; ha confessato il redattore di una
tv a Mark Schneider, un attivista pacifista che, di ritorno dalla Palestina,
offriva un'intervista sulla repressione israeliana 5. O,
come ha detto a Michael Massing un anonimo reporter del New York Times,
"l'intimidazione operata da questi gruppi è molto efficace, i direttori
non vogliono grane e non toccano più certi argomenti".
' Schneider ha raccontato la sua
allucinante esperienza - non è riuscito a divulgare quel
che ha visto nei "territori"
- su Palestine Chronicle del 19 marzo 2002 ("Anterican
Media Cemsorship and Israel: please get the word out").
Capitolo 15
LA CUPOLA DELLE CUPOLE
"L'individuo
sarà sempre in svantaggio quando scoprirà un complotto così mostruoso, da non
poter credere alla sua esistenza" (J. Edgar Hoover, leggendario capo dell'Fbi).
Ma se qualcuno ci chiedesse di indicare, fra la miriade
di gruppi di pressione e d'influenza, fondazioni, associazioni, il vero centro
del potere supremo della lobby, allora vi dovremo parlare di una entità
ulteriore: sovraordinata ai pullulanti gruppi d'opinione rivolti al pubblico,
ai politici o ai media, e profondamente interna al potere militare americano.
La storia è quasi antica. Comincia quasi trent'anni orsono, quando un gruppo di
importanti personaggi , ultraconservatori, costituirono - per imporre le loro
visioni al governo statunitense - la loro propria lobby. Si chiamava Committee on the
Present Danger: nome
in sé rivelatore. La filosofia del gruppo era fondata su una convinzione a
bella posta esagerata: che l'Unione Sovietica stesse per superare militarmente
l'America. Per conseguenza, l'America doveva immediatamente aumentare i suoi
bilanci militari già enormi, abbandonare qualsiasi trattativa per il controllo
degli armamenti ("trucchi
di Mosca per disarmarci") e, infine, sostenere ed armare sempre più Israele.
Presieduto da due ex-segretari al Tesoro, Henry Fowler e Douglas Dillon, il
Committee on Present Danger (CPD) era affollato - non sorprenderà - di nomi
ebraici di livello, profondamente inseriti nei processi decisionali americani,
a modo loro degli "alti
intellettuali bellici", esercitati nel pensiero strategico. Stupirà ancor meno
apprendere che - se pure membri taluni del partito democratico Usa, come Max
Kampelman e Lane Kirkland (del sindacato AFL-CIO) come ebrei erano tutti vicini
all'israeliano Likud, l'estrema destra militarista, folta di generali. Quando
nacque, sotto la presidenza Carter, il
97
CPD era un gruppo privato e marginale. Ma con l'elezione
di Ronald Reagan nel 1980 ha preso a migrare verso il centro del potere.
Durante la presidenza Clinton, il CPD ha rafforzato il
suo peso come governo-ombra del potere militare, in parte stemperandosi in due
nuovi organismi. Uno si chiama Jewish Institute for National Security Affairs
(JINSA), e
l'altro Center
for Security Policy (CSP).
Il JINSA è stato fondato nel 1976 con il fine dichiarato
di assicurare che gli Stati Uniti continuino a fornire adeguati armamenti ad
Israele in tutte le future guerre contro gli arabi. Data la premessa, si scopre
senza alcuna meraviglia che il JINSA ha avuto come presidente Douglas Feith, e
che Richard Perle figura nel suo comitato direttivo (board) insieme a John Bolton (oggi
sottosegretario di Stato per il controllo degli armamenti), a Dick Cheney
vicepresidente al fianco di Bush jr., a personalità dell'era Reagan come Jane
Kirkpatrick e Phyl Kaminsky, giù giù fino all'ex direttore della Cia James
Woolsey e a Michael Ledeen, sopravvissuto allo scandalo Iran-Contra che
travolse il colonnello Oliver North (Ledeen era l'agente di collegamento di
North con gli israeliani). Nel suo sito Internet, il JINSA dichiara come sua
finalità "istruire
il pubblico americano sull'importanza di una efficace capacità di difesa così
che siano salvaguardati i nostri interessi vitali americani", nonché "informare le
personalità della difesa e degli affari esteri americani sul ruolo essenziale
svolto da Israele nell'affermare gli interessi della democrazia nel
Mediterraneo e in Medio Oriente". A questo scopo, ogni estate il JINSA paga un viaggio
d'istruzione in Israele a un folto gruppo di cadetti delle alte scuole
militari americane, per incontrarvi, e fare amicizia con,alti ufficiali delle
forze armate ebraiche; tiene "lezioni" nelle accademie militari americane delle tre armi;
e paga viaggi in Israele a selezionati generali e ammiragli Usa in pensione per
incontri ad alto livello con generali in servizio israeliani.
Vengono così educate all'amicizia
eterna con Israele le future generazioni, nonché le passate, dei comandi
militari statunitensi. I vecchi generali a riposo, tornati in patria, sono
felici di scrivere commenti, volentieri
ospitati dai giornali, in senso
filo-israeliano. All'inizio dell'Intifada, un gruppo di 26 pensionati di questo
genere rilasciò una pubblica dichiarazione che definiva la resistenza
palestinese "una
perversione dell'etica militare" e ricordava agli americani che "gli amici non
abbandonano gli
amici in battaglia".
Ma questa propaganda spicciola, per quanto utile, non è
lo scopo principale dei viaggi organizzati dallo JINSA. Mai sottovalutare, in
Usa, i vecchi generali: quasi sempre, costoro fanno parte di consigli
d'amministrazione, o sono consulenti, delle grandi industrie americane della
difesa, cospicue beneficiarie dei contratti del Pentagono, generalmente
colossali. Il punto è, come ha scritto Jason Vest', che il JINSA è l'ambiente "dove
ideologia e affari si mescolano fino a
identificarsi". L'allarmismo
guerrafondaio, il superpatriottismo, l'orgogliosa promozione di una "pax americana"
armata fino ai
denti e la robusta posizione pro-Likud in Israele sono modi di pensare naturali
per chi di mestiere vende sistemi d'arma, caccia e radar; tanto più in quanto
le stesse fabbriche vendono, insieme, al Pentagono e ad Israele. La psicologia
da dottor Stranamore, in Usa, non è una mania ridicola, ma la mentalità
vincente per un certo tipo di business. Così, ad esempio, l'ammiraglio a riposo
David Jeremiah, che figura tra i consiglieri nel board della JINSA, è
presidente e socio della Technology Strategies & Alliance Corporation, ditta che si propone come "consulente
strategico e finanziario per industrie aerospaziali, difesa, telecomunicazioni
ed elettroniche". Lo stesso Jeremiah siede nel consiglio direttivo della Alliant Technosystem, una fabbrica che - insieme alla
israeliana TAAS - è nel business dei proiettili di gomma, assai lucroso dati i
metodi repressivi ebraici in Palestina. Ancora Jeremiah risulta fra i
dirigenti della Litton,
una sussidiaria
del gigante Northrop
Grumman: massimo
contractor
del Pentagono ma
anche fornitore alla marina israeliana di
' Jason Vest è uno dei più grandi giornalisti
americani, esperto di cose militari, cui la passione della verità non ha
consentito di entrare nel pagatissimo empireo degli anchormen. Scrive per il
periodico The Nation, a cui dobbiamo quasi tutte le informazioni di questo
capitolo. Cfr. Jason Vest, The men from JINSA and CSP, The
Nation, 15 agosto 2002.
99
navi, e all'aviazione israeliana dell'avionica dell'F-16
degli aerei E-2C Hawkeye,
insieme con il
radar Longbow
che Israele usa
nei suoi elicotteri d'attacco. Difatti la Grumman è il più avanzato produttore
di quell'elettronica, che consente la teleguida di aerei senza pilota: chi per
avventura non credesse che a dirottare i quattro aerei dell' 11 settembre è
stato Bin Laden con i suoi fanatici suicidi, dovrebbe considerare la ditta come
il primo fra i sospetti alternativi, dato il suo know-how unico nel settore aeronautico. La
Northrop Grumman ha concepito e fabbricato il GlobalHawk, il più grande drone mai esistito, vasto
come un aereo di linea e capace di decollare, volare per migliaia di miglia,
manovrare in cielo senza pilota, teleguidato da terra da un simulatore di
volo. Da tempo collabora con la Taamam, sussidiaria della Israeli Aircraft
Industries, per
sviluppare un drone adatto ai bisogni della "sola democrazia" del Medio Oriente. Scorriamo
altri nomi di vecchi soldati a riposo che compaiono fra i membri dello JINSA.
L'ammiraglio Leon Edney? Il generale Charles May? Entrambi sono stati a libro
paga della Grumman o di una sua filiale. Il generale a riposo Paul Cerjan?
L'ammiraglio in pensione Carlisle Trost? Tutt'e due sono consulenti, a vario
titolo, nelle sussidiarie del ricco ed ampio giardino della Lockheed Martin: la ditta che dal 1999 ha venduto
ad Israele caccia F-16 per 2 miliardi di dollari (ovviamente non paga il
cittadino ebreo, ma il contribuente Usa), oltre a simulatori di volo, sistemi
lanciarazzi multipli, siluri pesanti Seahawk. Trost ha avuto una poltrona anche nel comitato
direttivo della Generai
Dynamics, la cui
consociata Gulfstream
ha un contratto
aperto con Israele, da 206 milioni di dollari, per costruire all"`umica democrazia" del Medio Oriente aerei da usare
per "missioni
elettroniche speciali". Anche Donald Rumsfeld, attuale ministro della Difesa, è
stato nel board
della
Gulfstream. Bisognerebbe aggiungere, fra i simpatizzanti o membri del JINSA, i
vecchi soldati che hanno creato la Military Professional Resources International,
inedita ditta
che fornisce mercenari, non di rado provenienti dal servizio nell'ar
mata israeliana; o la SY Technologies,
o la Cypress International (mainome fu meglio trovato), che
lucrano nel luttuoso mestiere di mediatori d' armi, ed hanno in corso diversi
progetti con Israele.
Ma basta così. Come si vede, fra le grandi industrie che
si aggiudicano i contratti del Pentagono, una sola non appare ai vertici del Jewish Institute for
National Security Affairs: la Boeing. Eppure la Boeing ha rapporti trentennali di costruzioni su
licenza con la Israeli
Aircraft Industries. Vende
agli israeliani gli F-15 e, insieme alla Lockheed, gli elicotteri d'assalto Apache, apparizione consueta nei cieli
sui territori occupati. E infatti la Boeing c'è, nel ristretto club dei dottor
Stranamore. Non nella JINSA, ma i suoi rappresentanti siedono nel Center for Security
Police, CSP, il secondo
rampollo dell'antico Committee
on Present Danger. E
poi, a guardare la lista dei membri, ogni differenza fra JINSA e CSP scompare.
Nell'uno e nell'altro siedono i soliti: Richard Perle, Jane Kirkpatrick;
Elliott Abrams, Paula Dobriansky, Sven Kraemer, Robert Joseph, Robert Andrews,
e ovviamente Douglas Feith, oggi numero tre al Pentagono, che del CSP è stato
presidente prima di diventare viceministro. In realtà, almeno 22 membri
direttivi del CSP sono oggi inseriti nel governo di Bush figlio.
Nel CSP, la Boeing è più che bene rappresentata: da
Stanley Ebner, che è stato un altissimo dirigente della ditta aeronautica, da
Andrew Ellis, che ne è vicepresidente, addetto ai rapporti con
l'Amministrazione, da Carl Smith, oggi direttore della Commissione Forze Armate
al Senato americano, che prima - da avvocato - aveva la Boeing come suo
maggiore cliente. Non mancano i rappresentanti delle altre ditte che compongono
il complesso militare-industriale Usa: Charles Kupperman, vice-presidente
della Lockheed
Martin per il
settore missili strategici, Robert Livingston che viene dalla Raytheon, John Lehman, già segretario alla
Marina, che rappresenta la Ball Aerospace & Technologies, nonché George Keyworth, che viene
dalla Hewlett-Packard
(sistemi
computerizzati per missili). Praticamente, nessuna industria resta fuori: tutto
il potere tecnologico e militare americano dei contrattisti per il Pentagono è
concentrato nel CSP.
I due trust dei cervelli hanno
ovviamente i loro costi. Ma, come accade in America, non mancano i donatori
generosissimi, incoraggiati dal fatto che le elargizioni alle "fondazioni senza
scopo di lucro" sono
detraibili
dalle tasse. JINSA e CSP sono
largamente finanziati da Irving Moskowitz, magnate californiano del bingo, che
mantiene di tasca sua (a milioni di dollari l'anno) anche parecchi insediamenti
di "coloni religiosi" giudaici nei "territori occupati". Un altro donatore è Lawrence Kadish,
banchiere d'affari di New York, finanziatore principe del Partito Repubblicano
(532 mila dollari per la campagna di Bush jr.): famoso dopo l' I 1 settembre
per avere stilato una sua lista dei "terroristi
interni" che
minacciano l'America: non meno di quelli esterni (Kadish ha messo in lista
persino l'ex presidente Jimmy Carter). Un altro donatore eminente è Poju Zabludowicz:
erede di un multiforme impero multinazionale che comprende la fabbrica d'armi
israeliana Soltam (per la quale ha lavorato Perle,
fra un incarico governativo e l'altro in Usa), e che ha
creato e finanziato il Britain-Israel Communication Research Center:
fondazione londinese che bolla come antisemiti i giornalisti colpevoli di
condurre reportage dalla Palestina poco favorevoli alle azioni israeliane.
Infine, andrà segnalato tra i finanziatori Richard Mellon Scaife: miliardario,
padrone di una rete di giornali, che ha pagato, si dice, 2,4 milioni di
dollari per la sua campagna personale contro 13111 Clinton, finanziando le
indagini sui rapporti fra il presidente e Monica Lewinski. Il CSP ha come anima
e motore il suo vulcanico fondatore e presidente: Frank Gaffney. Stella dei
falchi, amico intimo di Richard Perle (fu con lui al Pentagono negli anni '80),
fanatico adoratore di Sharon, Gaffney è scrittore prolifico: sforna senza
interruzione rapporti che indicano i nemici dell'America (nell'ordine: Irak,
Cina, e poi tutti gli Stati sottosviluppati con qualche missile a lunga
gittata), e quasi ogni settimana scrive un editoriale per il Washington Times.
Lì Gaffney illustra le sue
prescrizioni per la sicurezza nazionale. Che sono chiare e semplici: l'America
deve stracciare tutti i trattati per il controllo degli armamenti; finanziare
ogni e qualunque mega-progetto di difesa missilistica, scudo stellare, sistemi
d'arma sempre più avanzati e letali; e infine, deve non dare tregua ai
Palestinesi. Nel 1995 Gaffney diede una mano a Feith a confezionare un
memorandum del CSP contro il trattato ABM (la riduzione concertata dei missili
balistici con l'Urss). E sem-
pre dal CSP uscì il memorandum A Clean break: a new strategy for the realm (stilato da Perle e Feith) che
nel '96 consigliava il premier israeliano Netanyahu di dare "un taglio netto" (clean break) al processo di pace. Infiniti
altri rapporti del CSP hanno osteggiato il "Trattato complessivo sul bando ai test nucleari" e la "Convezione contro le armi chimiche"; dal CSP s'è organizzato il
contrasto alla creazione di una Corte internazionale per i crimini di guerra.
Queste "idee", a loro tempo sottovalutate o
derise, oggi - dopo VI 1 settembre - sono il programma del governo Bush.
L'influenza del gruppo è notevole: da marzo, gli uomini dello JINSA sono
riusciti ad escludere da ogni tavolo, al Pentagono, arabisti celebri come gli
ex agenti della CIA Milt Bearden e Frank Anderson, contrari all'invasione
dell'Irak.
Così, è in questi due centri che
è stata formulata la teoria secondo cui l'intifada palestinese "mette in pericolo l'esistenza stessa di
Israele". È lì che
il sionismo di destra, con venature neofasciste, si coniuga con le nuove
dottrine militari a base di scudi stellari e difese missilistiche a oltranza,
non più contro un nemico identificato, ma contro "il terrorismo" in generale: categoria in cui,
come per caso, entrano tutti gli stati che Israele ritiene ostili. Lì è nata
l'idea dì impegnare gli Stati Uniti nella difesa persino degli insediamenti
illegali nei territori occupati. Dall' 11 settembre, perché è in questi due
trust di cervelli che si è inventata la nuova corrente, anzi il nuovo tipo
umano di destra, chiamato "neoconservative"
perché - al
contrario del vecchio conservatorismo, è liberista, guerrafondaio e
indifferente ai temi della moralità individuale e familiare. I "neocons" non muovono un dito contro
l'aborto; sono per la liberalizzazione delle droghe; ma si battono per
l'unilateralismo in politica estera, e per la difesa di Israele.
Il neo-conservatorismo è
un'invenzione, una moda, o meglio una metamorfosi della comunità ebraica
americana. Tramontato il tempo in cui gli ebrei erano "libera!", pacifisti di sinistra,
radical-chic. Da quando in Israele si succedono governi di destra, e "la sola democrazia medio-orientale" è in mano ai generali di carriera e
al rabbinato fanatico, l'ebreo americano è diventato neo-conservatore.
Il processo s'identifica con
l'altra parallela metamorfosi subita dalla comunità giudaica: da ceto
secolarizzato (e non di rado filo-marxista), a grumo di zeloti hassidici e
messianici. Il neoconservatismo liberista, armato e patriottico è la facciata
esterna , si è tentati di dire, per uso dei goym soggetti alle leggi di Noé.
E nello JINSA come nel CSP, è
impossibile dire quanto le ciniche visioni "strategiche", la fredda aggressiva "strategia di potenza per il Medio Oriente", si nutrano di segrete speranze
millenariste sul "Regno" vittorioso d'Israele, sulla convinzione
che il popolo eletto stia per riscuotere il frutto dell' "antica
alleanza", o meglio del "vecchio contratto" con JHVH. Ma quando
Michael Ledeen, uno dei membri influenti del JINSA, predica non solo la
guerra, ma "la guerra
totale", è
difficile sottrarsi alla sensazione che riecheggi le lezioni dei Lubavitcher.
Ad uso dei goym, la dottrina
strategica cui Ledeen dà voce (confezionata però dalla JINSA) si chiama "cambio di regime" nei paesi petroliferi. Il che
significa guerra all'Irak, ma non solo. Poi toccherà alla Siria, all'Iran, e
ovviamente all'OLP (i palestinesi vanno espulsi da Israele). Secondo questa
dottrina, l'interesse nazionale di Israele coincide con quello degli Usa; e il
solo modo di rendere sicuri entrambi i paesi è l'uso illimitato della forza, e
l'incessante perseguimento dell'assoluta superiorità militare su ogni
possibile avversario.
Nell'agosto 2002, gli uomini dei
due club hanno fatto notizia per aver tenuto nelle stanze del Pentagono una
giornata di studio, in cui un avventizio del gruppo, tale Laurent Murawiecz 2
ha proclamato la necessità di lanciare un ultimatum all'Arabia Saudita:
un avversario in più. L'Arabia cessi di sostenere il terrorismo, o sarà privata
con la forza dei suoi giacimenti petroliferi. "1 sauditi
sono attivi ad ogni livello della catena del terrore: ne sono i pianificatori
e i finanziatori, i quadri e i fantaccini, gli ideologi e i sostenitori", ha detto Murawiecz. "L'Arabia Saudita sostie-
' Murawicz, ebreo francese, è un trasfuga dal movimento di Lyndon
Larouche. Oggi ha un contratto come ricercatore con la Rand Corporation, un
think-tank dell'apparato militare-industriale, di cui Rumsfeld è stato
presidente.
ne
i nostri nemici e attacca i nostri alleati" 3.
Ma dietro
queste grida fanatiche c'è la fredda paranoide "strategia di grande potenza" di Perle e Ledeen: come è stato
detto a conclusione della clamorosa "giornata
di studio", l'invasione
dell'Irak è solo "il perno
tattico", mentre
"L'Arabia Saudita è il perno
strategico, e l'Egitto il premio". L'Egitto il premio? L'avidità dei figli di Abramo è
sconfinata, e così il loro avventurismo '. È una guerra messianica di conquista
contro l'intero mondo islamico quella che viene qui progettata e perseguita.
Purtroppo, anche questo delirio è diventato il programma politico di Bush jr.
'
"Briefing
depicted Saudis as enemies", sul Washington Post, 6
agosto 2002. 11
giornale riporta il commento di Henry Kissinger: "Non considero i sauditi un avversario strategico
degli Usa. Sono filo-americani, devono barcamenarsi in un'area difficile, e
alla fine li possiamo controllare".
Un "JINSA Report" del 15 febbraio 2002 non nasconde
le mire dei militaristi messianici israeliti sull'Egitto. Ecco come ne
riferisce il sito ebraico "Our
Jerusalem ": "L'Amministrazione [Bush] non
crede molto che l'Egitto sia un alleato fidato, né crede sul serio che
partecipi attivamente alla guerra contro il terrorismo [...]. C'è qualche
apprezzamento per le striminzite aperture del governo egiziano all'israeliano
la settimana scorsa (è stato bello che l'ambasciatore israeliano al Cairo
abbia presentato le credenziali insieme a dieci ambasciatori arabi che sono
stati obbligati ad ascoltare la "Hatikva"). Ma c'è la
preoccupazione che se l'Egitto (o l'Arabia Saudita o il Pakistan) cadono per la
loro opposizione interna [...] mentre stiamo combattendo la guerra, ci
troveremo di fronte a problemi che ora non vogliamo e per cui, per adesso, non abbiamo tempo. Perciò conviene
all'Amministrazione, per ora, fingere che l'Egitto sia un alleato meritevole
del sostegno americano. [Ma se] l'Egitto non è un
membro del] "'Asse del Male-, non è nemmeno uno dei buoni
". (Our Jerusalem, Egipt Yet Again, 15 febbraio 2002). Si noti il tono da dominatori. È il tono dei messianismo Lubavitcher.
Capitolo 16
COMMANDOS A NOLEGGIO
"Un esercito segreto, invisibile e non
inceppato dai codici di guerra": così uno stupefacente articolo del New York 7imes' rilevava un fatto ben noto negli
ambienti della difesa americana. In Usa esistono una trentina di ditte che
forniscono, su richiesta, commandos, piloti dì elicotteri e dì caccia, squadre
d'assalto, radaristi, esperti di missili ed altri più sofisticati sistemi
d'arma, truppe speciali. Agenzie di mercenari. "Il Pentagono non ne può più fare a meno", dice il giornale. E spiega che,
riducendosi sempre più (dai 780 mila uomini che aveva al tempo della guerra del
Golfo, l'esercito Usa è sceso a 480 mila), l'arruolamento regolare, il
Pentagono ricorre sempre più a guerrieri privati a contratto. Durante la guerra
del Golfo, su 50 militari regolari americani sulla linea dei fuoco, uno era un
mercenario; nel 1996, nella "operazione di pace" in Bosnia, c'era un mercenarie su
dieci regolari: praticamente il 10 per cento delle forze americane sono
formate, oggi, da "civili" affittati per combattere. Donald
Rumsfeld ha favorito questa inaudita privatizzazione della Difesa: "Ogni funzione che
può essere fornita dal
settore privato non è affare dello Stato", ha detto
Le imprese americane sono famose
per avere portato al limite estremo l'outsourcing, l'arte di affidare a terzi i
servizi ausiliari, la gestione de personale, le paghe, l'ufficio legale, i
trasporti, tutto ciò che non fa' parti dell'attività centrale (core business)
dell'azienda. Rumsfeld ha applicate
Leslie Wayne, "Soldieis for
Hire Bolster US Forces , sul New York Times, 21 ottobr 2002.
il sistema alla maggiore impresa pubblica Usa, il
Pentagono. Benché i mercanari a nolo siano pagati tre volte di più che i
militari di pari livello, "il sistema è economico: paghi gli specialisti a
contratto solo finché li usi",
spiega il
colonnello Thomas Sweeney, docente di logistica all' Army War College, la
scuola di guerra americana. Ma non è il solo vantaggio.
"Non più oscuri
recessi del mondo i soldati a contratto sono presenti dove il Pentagono
preferisce non apparire". Secondo il New York Times, nell' ottobre 2002 mercenari
privati, su contratto della Difesa americana, operano in Kuwait (addestramento
con munizioni vere), in Colombia (operazioni antidroga segrete), in località
non specificate dell'Africa (addetti ai sistemi d'arma troppo sofisticati per
gli africani), in Nigeria, in Macedonia, in Bosnia, "a volte sulla
linea del fronte" di guerre sconosciute ai giornali. Chi scrive ha visto coi suoi
occhi, nel 1994, colonnelli americani in pensione, ma dall'aria di falchi,
addestrare le truppe raccogliticce croate per prepararle a riprendersi la
Krajna, regione che i serbi gli avevano strappato. Tutti vestivano camicie
colorate da turisti e si dicevano "redattori di riviste militari", sul posto solo per scrivere
reportages approfonditi. Uno si dichiarò direttore di Soldier of Fortune, un periodico speciale su cui
appaiono inserzioni che chiedono (o offrono) soldati di ventura. Apprendo ora dal
New
York Times che
facevano parte di una società anonima dal nome assai chiaro, Military Professional
Resources Inc. o
MPRI, la quale s'è appena vista rinnovare il contratto dalla Croazia per
l'addestramento delle sue truppe. Ciò, nonostante nel '94 i croati preparati
dal MPRI (e guidati dai suoi istruttori) abbiano compiuto un'accurata pulizia
etnica di centomila serbi, fra varie atrocità.
La MPRI dispone di "oltre diecimila
specialisti ex militari, comprese squadre di forze speciali, mobilitabili senza
preavviso e pronti per ogni missione". Il portavoce della citta, ex generale di brigata
Harry Soyster, si vanta:
"Possiamo lanciare
venti specialisti oltre il confine serbo entro 24 ore. L'esercito [regolare] non può, noi sì". Efficienza del privato.
Tra i dirigenti della ditta figurano il generale Carlo
Vuono, già capo dello Stato Maggiore che diresse la guerra del Golfo e
l'invasione di Panama; il
generale Crosbie Saint, già comandante supremo delle
forze americane in Europa; il generale Ron Griffith, ex vicecapo dello stato
maggiore.
Tutti oggi tornati a vita
privata, ma non propriamente a riposo: hanno trasferito alle ditte la loro
preziosa esperienza guerresca. E sono quel genere di generali in pensione che
abbiano trovato in gran numero nel Jewish Institute for National Security Affairs, in intima colleganza coi loro
camerati israeliani, e in stretti rapporti d'affari con i loro colleghi che
siedono nelle aziende del settore militare-industriale.
Ancora più interessante; queste agenzie di mercenari sono
spesso sussidiarie delle grandi fabbriche di armamento. Per esempio la
Logicon, che offre a chi ne ha bisogno "tecnologia informatica, logistica
informatizzata, sistemi di pianificazione di operazioni congiunte
interforze", è
una sussidiaria della Northrop Grumman, la produttrice di aerei senza pilota e
altre armi volanti. La Kellog Brown & Root Services è una sussidiaria della
Hallyburton, il colosso delle prospezioni petrolifere e degli oleodotti che ha
avuto come presidente esecutivo Dick Cheney, l'attuale vicepresidente degli
Stati Uniti. Ufficialmente, la Kellog Brown & Root fornisce servizi
logistici, dal 1972, anche all'esercito americano. Ma quando, come la
Hallyburton , si fa il mestiere di sfruttare pozzi e costruire oleodotti in zone
ostili, la logistica comprende anche alcune funzioni del Genio e la difesa
armata dei manufatti: di fatto, la KB&R è il piccolo ma efficientissimo
esercito privato della ditta petrolifera. Oggi la sussidiaria fornisce la sua
esperienza logistico-militare al Pentagono; per esempio "è capace di
costruire un campo in Uzbekistan in 72
ore". La Kellog Brown & Root si
occupa di far funzionare le basi militari Usa in Turchia e in Kossovo (solo per
il Kossovo, al costo per il contribuente americano di 2,2 miliardi di dollari
fra il '95 e il 2000), ma la sua specialità sono gli allestimenti rapidi di
basi e i ponti aerei in ogni situazione, emergenza compresa.
La Vinnel Corporation vanta nel suo sito pubblicitario "la sua
reputazione
di eccellenza nel
fornire un vasto assortimento di servizi a governi, agenzie internazionali,
forze armate Usa e clienti privati". Tra i "servizi" sono citati "programmi di
addestramento" e "trasporti
aerei". È
difficile dire se
siano della Vinnel gli aerei che
mitragliano guerriglieri e narcotrafficanti nelle strane guerre in corso
nell'America latina, se siano suoi i velivoli che spargono defolianti sulle
piantagioni di coca, paracadutano agenti, e sbarcano truppe speciali nelle
giungle colombiane e peruviane. Possono essere di qualunque altra delle ditte
più o meno conosciute, la SAIC, la Ici dell'Oregon, la Aviation Development
Corporation dell'Alabama, che "conduce missioni volanti di
ricognizione per la Cia" sulle Ande 2: il business della guerra privata è assai
riservato, e non ama dar troppe notizie di sé. Una sola agenzia di mercenari,
la DynCorp, è stata qualche volta menzionata dai media, e non per motivi
onorevoli: nell'operazione "di pace" in Bosnia, i suoi uomini sono stati sorpresi a
gestire un grosso giro di schiave del sesso, povere ragazze del posto private
del passaporto (confiscato dai mercenari) e costrette a prostituirsi; nel 2001,
sempre gli uomini della DynCorps sono stati beccati dalla Dea a trafficare
droga in Colombia, dov'erano stati inviati a contratto per stroncare il
traffico 2.
Veri e propri
delinquenti, come inevitabile, si arruolano in questi eserciti a nolo. Mai
perseguiti penalmente, coperti da reti di cameratesca complicità al più alto
livello del Pentagono e dell'Amministrazione.
Perché, come dice il New York Titnes, ciò che rende preziosi questi
soldati in vendita nelle nuove guerre intentate da Bush, è proprio il fatto che
"non
essendo militari regolari, non sono obbligati ad obbedire agli ordini né a
seguire il codice militare di condotta". In guerra possono dunque essere
lanciati a compiere operazioni "sporche" di
ogni genere. E lo stanno già facendo, se un senatore democratico, Patrick J.
Leahy, lamenta al New
York Titnes l'uso di "combattenti
" pr ivati " per condurre le politiche americane all'estero,
che portano armi e pilotano elicotteri e non rispondono ad autorità superiori
come il personale militare regolare".
Il tragico attacco dell' I 1
settembre, che ha portato il lutto e la distruzione in America, ha portato
invece fortuna a queste agenzie: è il loro momento, Donald Rumsfeld le
arricchisce con contratti miliardari per missioni senza vincoli di condotta
contro gli "stati-canaglia".
A' la guerre comme à la
2 Jason Vest, "DynCorp's Grug Problem", su The Nation, 3
luglio 2001.
guerre, canaglie per combattere guerre canagliesche, senza
limiti etici, contro i nuovi barbari musulmani.
Così, forse, è con qualche ritardo che il New York Times s'inquieta di questi guerrieri a
noleggio: "in
tempo di pace possono agire come un'armata segreta che sfugge all'occhio del
pubblico", ossia
come esecutori di un colpo di stato. Forse è tardi per dolersi. Forse il colpo
di stato è già avvenuto in America. L' 11 settembre, il simultaneo
dirottamento di ben quattro aerei di linea, il loro pilotaggio (forse
teleguidato) verso gli obiettivi, con un tasso di successo del 75%; tutto ciò
evoca irresistibilmente l'opera non di terroristi suicidi arabi a bassa
tecnologia, ma di forze speciali perfettamente addestrate e a conoscenza dei
più sofisticati sistemi elettronici. Solo veterani addestrati ad azioni di
commando, esperti di radar, di pilotaggio, insomma truppe speciali guidate da
esperti in "missioni
congiunte interforze" possono aver spedito gli aerei sulle Twin Towers e sul
Pentagono. Come s'è visto, non è difficile trovarne in abbondanza, in America,
nel business privato della guerra. Molte aziende del complesso
militare-industriale hanno in casa il loro corpo di mercenari, come la
Northrop; anche le petrolifere texane, come la Hallyburton, ne dispongono.
Gente fidata. Guidata da ex generali, "motivati dall'ideologia non meno che
dal profitto", dice
il New
York Times: quel
tipo di generali falchi che abbiamo visto sedere nel Jewish Institute of
National Security Affairs, uniti dalla psicologia di Stranamore;
ultrapatriottici, filo-israeliani a tutto tondo, sprezzanti della democrazia
parolaia e pacifista, convinti di sapere che il Paese ha bisogno di guerra "durevole", perché la pace lo rammollisce e
(in più) nuoce agli affari'.
' È precisamente la psicologia che negli anni '80 rivelò, durante le
udienze che lo videro imputato, il colonnello Oliver North, promotore di una
serie di operazioni coperte anticomuniste in Sudamerica e Medio Oriente
(Iran-Contra), condotte con mercenari, ufficiali regolari e agenti espulsi
dalla Cia. North proclamò che i suoi atti di fellonia, disobbedienza agli
ordini ricevuti e tradimento erano motivato dalla "necessità" di
condurre la guerra contro i comunisti "senza pastoie", e dal
suo patriottismo. Lui ed altri "patrioti" avevano messo in
piedi operazioni illegali che la Cia non poteva condurre in proprio, perché
controllata dal Congresso, utilizzando "imprese private" come
agenzie di importexport o piccole compagnie aeree create ad hoc da ex agenti della
Cia, che paracadutavano
Possono essere stati loro, i mercenari, gli esecutori
dell' l 1 settembre? Una
cosa è certa: "Noi sappiamo fare
le cose su breve preavviso e tenere la bocca chiusa", ha detto al New York Times uno di loro, Doug Brooks. Ex-colonnello,
Brooks ha fondato il sindacato delle agenzie di guerrieri privati, che si
chiama International Peace Operatorion Association. Associazione per le
operazioni di pace internazionali: ineffabile.
armi (provenienti da Israele) ai
Contras antisandinisti in Nicaragua. Lo scandalo lambì anche il vicepresidente degli Usa,
George Bush senior, che era stato direttore della Cia. I: apparato paramilitare
potenzialmente golpista era già allora visibile alla luce del sole in
Usa.
Capitolo 17
CUI PRODEST
I deliranti progetti strategici
del Jewìsh
Institute on National Security del suo gemello Center for Security Policy sono diventati politica di stato
in America. Non ci sarebbero riusciti - non almeno senza forti opposizioni -
senza l' l 1 settembre. Il mega-attentato terroristico, che per g americani ha
il segno del dolore e del lutto, è stato per gli uomini dei di gruppi come il
coronamento di un sogno, la conferma delle loro tesi pi estreme, e l'occasione
felice per imporre le loro vedute.
So quel che dico. Ero in America,
ed ho visto la faccia raggiante c Donald Rumsfeld, il ministro della Difesa,
tra le facce sgomente di suoi colleghi e dello stesso presidente Bush, in quei
giorni tremendi. Da quando era entrato al governo, Rumsfeld proclamava la
necessil del National Missile Defense (NMD), o spiegamento di un costosissimo e
ipertecnologico scudo spaziale sui cieli americani "per proteggere la
nazione contro minacce di stati canaglia e terroristi" in possesso di armi di distruzione di
massa. Lo scetticismo dei militari, degli gli esperti qualificati, del Senato -
riluttante a stanziare cifre colossi li per parare minacce del tutto
improbabili, in spregio oltretutto ai ve( chi trattati con Mosca che vietano lo
spiegamento di armi nello spazio - non lo scoraggiava affatto. Ripeteva: "non è questo il
tempo i
cui il Pentagono può
contentarsi di presidiare e di calibrare modesti mente le sue forze. Ci
troviamo in un ambiente nuovo per la sicurezza nazionale. Dobbiamo essere
pronti ad affrontare le nuove minacci non le vecchie".
Gli eventi dell' 11 settembre
hanno elevato Rumsfeld al rango del profeta troppo a lungo inascoltato. Nei
quattro aerei dirottati e lanciati nel volo di morte e distruzione, tutti gli
americani hanno potuto vedere in tv il tipo estremo di "nuova
minaccia" a
cui la superpotenza non era "pronta". Per fortuna, la nuova minaccia si concreta nel
momento in cui il profeta, finalmente, siede sulla poltrona giusta - a capo
del Pentagono - che gli mette in mano i poteri necessari a potenziare
l'apparato militare Usa secondo le sue visioni.
È dunque chiaroveggente Rumsfeld?
È un genio della precognizione strategica? Se lo è, allora più di lui è profeta
e veggente Michael T. Klare.
Chi è Klare? È un docente
universitario, pubblicista, che redige articoli sulla difesa per The Nation. Ha previsto precisamente quel che
Rumsfeld avrebbe fatto come ministro della Difesa. E l'ha predetto esattamente
otto mesi prima dei fatti dell' 11 settembre. In un articolo apparso l' 11
gennaio 2001, Klare ha scritto a proposito del neo-ministro della nuova
Amministrazione ': "lo
spiegamento dello scudo spaziale è la
priorità assoluta di
Rumsfeld, ma non è affatto l'unico dei suoi obbiettivi [...J. Questi
comprenderanno un maggior impulso a sistemi bellici nello spazio, un approvvigionamento
accelerato di armi ad alta tecnologia, e un diminuito appoggio alle operazioni
di pace delle Nazioni Unite [...] Rumsfeld è noto per la sua opposizione alle
misure di controllo degli armamenti". Inoltre, la sua nomina "equivale alla
promessa di un duro atteggiamento verso Saddam Hussein", profetizza Klare. E lo descrive
come un uomo della "guerra
fredda, quando sicurezza nazionale significava diffidenza verso tutti gli altri
stati e corsa ad armamenti sempre più potenti".
E Michael Klare prevede le future
azioni di Rumsfeld senza bisogno di consultare la sfera di cristallo. Gli basta
consultare i dati sulla carriera, gli amici, le alleanze politiche di Donald.
Infatti, Rumsfeld è in politica
'
Michael
T. Klare, "Rumsfeld: star warrior returns", su The Nation, 1 1
gennaio 2001.
dagli anni '70: durante la
presidenza Nixon, fu nominato direttore di un Office for Economic Opportunity,
in cui
"ha stretto intimi legami con Dick Cheney". Ambasciatore presso la Nato nel
1972, Donald è stato poi nominato da Gerald Ford segretario alla Difesa per
quattordici mesi, (dal 1975 al 1977): sua prima elevazione al Pentagono,
durante la quale "ha
coperto la casta
militare da ogni sanzione per la sconfitta in Vietnam e ha posto le basi per la
fornitura di una vasta panoplia di nuove armi, fra cui il bombardiere B-1 e il
missile M-X".
Due sistemi assai costosi, che
devono aver reso Rumsfeld grato al cuore e ai portafogli delle grandi ditte che
lavorano su contratto col Pentagono. Così, quando alla Casa Bianca s'insedia un
democratico, Jimmy Carter, Rumsfeld trova porti sicuri nel settore privato:
dopo un passaggio come alto dirigente alla Searle (una farmaceutica poi
acquisita dalla Monsanto), egli "prende il controllo di una grossa
azienda, la Generai Instruments Corporation", che è una delle ditte del settore
militare industriale. Intanto, diventa presidente della RAND, una delle
fondazioni "culturali"
di Washington
specializzata in studi strategici e militari, di fatto la più autorevole lobby
del complesso militare-industriale, dove ovviamente "stringe nuovi
legami con figure del mondo industriale".
Fra l'altro, con Theodore Forstmann 2 uno
specialista in acquisizioni, che possedeva "la Gulfstream Aerospace, nel 1999
venduta alla Generai Dynamics". È la ditta che, come abbiamo visto, progetta e sviluppa
droni - aerei teleguidati senza pilota - per l'aviazione Usa e israeliana. Nel
1983, Donald viene richiamato alla grande politica: Ronald Reagan lo nomina "special
envoy", ambasciatore
viaggiante, presso Saddam Hussein. In quella veste, Rumsfeld si reca a Bagdad:
e non, come si potrebbe credere, per schiaffeggiare il tiranno irakeno. Sono
altri tempi, Saddam sta logorando il suo paese in una guerra contro l'Iran che
logora anche il
' Forstmann ha creato e finanzia una propria `fondazione
culturale"; chiamata Empower America, che ha nel suo consiglio
d'amministrazione alte personalità conservatrici e repubblicane, fra cui
Rumsfeld, e che ' fa' campagna per una grossa riduzione delle imposte e per
la difesa spaziale" (Michael Klare, cit.)
regime di Teheran, e perciò è considerato ancora dagli
Usa "un valido alleato": il complesso militare-industriale
americano lo fornisce di armi.
Anzi "Rumsfeld è a
Bagdad proprio il giorno in ceti l'Onu, per la prima volta, rende noto l'uso di
armi chimiche da parte dell'Irak, ma sceglie il silenzio ... ancora cinque anni
dopo, [Rumsfeld]
menzionerà
la sua capacità di rendersi amico Saddam Hussein come una delle sue qualità in
caso di una sua candidatura alla Presidenza"'.
Nel 1996, Rumsfeld sostiene la
campagna del candidato repubblicano Bob Dole contro il democratico Bill
Clinton: soprattutto "accusandolo
di essere molle con l'Irak". Vince Clinton, tuttavia. E Rumsfeld torna al privato.
Compra una sua azienda, la Gilead Sciences, e siede intanto nei consigli di
diverse imprese, fra cui laAsea Brown Boveri, il gigante europeo che ha un
importante settore militare.
La sua fama di "falco"
si consolida
sempre più. Al punto che i repubblicani al Congresso affidano a lui, nel 1998,
la presidenza della "Commission to Assess the
Ballistic Missile Threat to the United States". Una commissione per "valutare la
minaccia missilistica". È proprio il campo suo,
anzi un ufficio che pare creato
apposta per lui. E infatti la commissione (sei repubblicani e tre democratici)
viene presto chiamata "Commissione
Rumsfeld".
Essa ha accesso
a "dati
spionistici segreti", e li studia per
"calcolare la
futura capacità di Iran, Irak e Nord Corea di attaccare gli Stati Uniti".
È questa commissione
che, "adottando
il criterio del caso peggiore", preconizza che l'uno o l'altro dei suddetti "stati
canaglia"
possano colpire gli Usa "entro i prossimi
cinque anni".
La Cia, basandosi sugli stessi dati "segreti", prevede un tempo doppio.Le
valutazioni della Commissione Rumsfeld vengono infatti "messe in
' Andrew Gumbel, "Fortune of war await
Bush's circle after attack on lraq", su Independent, 12 settembre 2002. Secondo l'Associazione dei reduci della guerra dei
Golfo, "la Cia prese a fornire
segretamente all'Irak nel 1984 informazioni da usare per ',calibrare"
gli attacchi al gas contro le truppe iraniane; ciò significa che Ruinsfeld e
compagni non solo sapevano della guerra chimica, ma hanno aiutato l'lrak a
colpire le vittime" (Scan Gonsalves,
"US was a key supplier tio Sadda
m", sul Seatile Post Intelligencer, 24 settembre 2002.
discussione da George
Tenet, il direttore della Central Intelligente Agency". Ma ormai è Rumsfeld l'autorità in materia. Sostenitore
delle "cause della destra militare",
egli ha stretti
rapporti con l'apparato interessato a queste cause. Fra cui, nota Klare, "è specialmente significativa la stretta
associazione [di
Rumsfeld] con
il Center for Security Policy, il think-tank creato da Frank Gaffney",
E così il cerchio si chiude. Le idee strategiche di
Rumsfeld sono quelle dell'israelita Gaffney, e del suo
Center for Security Policy (CSP), la creatura gemella del Jewish Institute for
National Security Affairs (JINSA). I due centri privati d'interesse dove "il business e l'ideologia si mescolano completamente", e dove la lobby ebraica celebra
le sue nozze con l'apparato militare-industriale americano. Qui, il concetto
di "complesso
militare industriale" perde ogni genericità e vaghezza, così come quello di "lobby ebraica".
Qui, al CPS o
alla JINSA, i consulenti e dirigenti della Northrop e della Boeing siedono accanto
ai Wolfowitz e ai Perle e ai Ledeen, che ora sono dentro e vicini al governo;
qui i grassi contratti di fornitura al Pentagono si coniugano con le ricche
forniture militari ad Israele; qui i due gruppi, le due lobbies, si scambiano
informazioni d'intelligence e concertano azioni comuni. Qui - saremmo tentati
di dire - c'è la concentrazione di potere, di mezzi e di volontà più che
sufficiente per trasformare le profezie in realtà. Anche quelle di Rumsfeld
sulla necessità di essere pronti alla guerra senza
fine al "terrorismo globale".
Naturalmente non crediamo a quello che diciamo. Crediamo,
come tutti, che l' 11 settembre sia stato l'opera malvagia di Bin Laden.
Crediamo che la sua rete Al-Qaeda abbia avuto la capacità tecnico-militare
suprema di dirottare quattro aerei di linea contemporaneamente: un'operazione
di commando senza precedenti nella storia per audacia e precisione, compiuta
da specialisti molto addestrati, e pronti al suicidio. Che l'abbia messa in
atto in quattro dirottamenti sincroni in aeroporti civili affollati come il
Logan di Washington, superando per lo più la vigilanza, che in quell'
aeroporto è affidata alla israeliana ICTS, che impiega ex agenti dello
Shin Beth. Che l'abbia fatto con
armi semplici come dei taglierini per cartone. Che l'impresa abbia avuto il suo
tragico successo in tre casi su quattro - un tasso di riuscita che qualunque
forza speciale invidierebbe - portando distruzione e morte nel cuore
dell'America.
Ci crediamo. Anche se Al-Qaeda
non ha mai dato prova, né prima né dopo, di poter ripetere un'impresa di tale
precisione militare, e anzi l'organizzazione stessa sembri oggi assai al di
sotto della fama che s'è guadagnata l' 11 settembre.
Ci crediamo. Se non ci
credessimo, dovremmo dare ragione a certe teorie complottiste che circolano su
internet, secondo cui non ci sono stati terroristi suicidi arabi, ma forse,
tutt'al più, qualche arabo a cui s'è fatto credere di partecipare a un
dirottamento; dovremmo credere che i quattro aerei siano stati teleguidati, in
una orribile `false
flag operation", da potenze interessate a costruire un casus belli abbastanza orribile
da giustificare una guerra infinita contro un "asse del
male" che
ogni giorno si arricchisce di nuovi membri.
Non ci crediamo. Ma se dovessimo
credere una cosa del genere, è proprio contro organi come JINSA e CSP che
punteremmo il dito. Lì ci sono le competenze per faccende del genere. Lì ci
sono gli interessi, le motivazioni, l'ideologia fanatica necessaria a un
delitto di tali proporzioni. Sono quegli ambienti che hanno tratto impensabili
giovamenti dalla tragedia: oggi il Pentagono è in mano loro, e sono loro a
dettarne le strategie e le dottrine; in qualche modo, dal crollo delle Torri,
abbiamo assistito ad una inedita "privatizzazione" della Difesa americana: i
fornitori hanno preso possesso del committente. Lì, soprattutto, si hanno a
disposizione i mezzi tecnico-militari - inediti, unici, segreti - per attuare
la bisogna.
Capitolo 18
I DRONI SENZA PILOTA
"La
maggior parte degli aerei moderni dispongono di un pilota automatico che può
essere ríprogrammato in modo da ignorare i comandi di un dirottatore e invece
ricevere istruzioni da terra": così annuncia il professor Jeff Gosling, dell'Istituto
di Studi Aeronautici della California University, Bekeley. Il professore l'ha
detto a
New Scientist, una
rivista scientifica inglese assai nota.
Un articolo in cui si discutono i
modi e gli accorgimenti tecnici per scongiurare un altro 11 settembre. Uno
strano articolo davvero: New Scientist lo pubblica il 12 settembre 2001, solo un giorno dopo la
tragedia. E lì su due piedi, ancora sotto la fresca impressione della strage
(pochi giorni dopo la stampa diverrà più reticente), "esperti" di cose aeronautiche dicono cose
di enorme interesse per i complottisti'. La rivista cita anche Dale Oderman, un
ingegnere della Purdue University di Lafayette, Indiana, che spiega: "il pilota
automatico, il sistema che mantiene altitudine, velocità e rotta durante il
volo, è pienamente capace di atterrare senza il pilota umano. Siamo già in
grado di far volare aerei spia senza pilota, sicché non è impensabile che un
sistema di teleguida possa far atterrare un aereo commerciale per
passeggeri". La
Federal Aviation Administration, aggiunge il periodico, "ha sperimentato
l'atterraggio teleguidato di aerei commerciali negli anni '80, ma non in anni
recenti". Sull' adozione
'
Catherine
Zandonella, "Autopilot could land hijacked planes", New
Scientist.Com, 12 settembre 2001.
di un sistema del genere,
tuttavia, ha dei dubbi Jeffrey Speyer, un altro ingegnere spaziale (della
California University di Los Angeles): "il
sistema di controllo a distanza potrebbe in sé diventare il bersaglio di terroristi".
Ossia, loro
potrebbero usarlo.
Attenzione a quel che dicono
costoro. Dicono: teleguidare un aereo è possibile. Le tecnologie per sottrarre
i comandi al pilota umano, e far guidare il mezzo da terra, esistono già. Basta
"riprogrammare" il pilota automatico, secondo gli
esperti.
Ma ancor più clamoroso è quel che suggeriscono. Un aereo
può essere teleguidato da terra. Fatto atterrare. O anche, se un terrorista si
impadronisse del sistema, fatto lanciare contro qualcosa. I complottisti su
internet sono elettrizzati dalla notizia; e ne discutono animatamente, con
l'intervento di piloti veri e presunti. Uno di loro (si chiama Guy Dunphy)
segnala che l'articolo di New Scientist, così apparentemente chiaro, confonde
invece due idee (e due sistemi tecnici) diversi. Una cosa è il "pilota automatico", una cosa è un sistema di "teleguida" da terra. Il primo è appunto "automatico" (anche se il pilota umano, premendo
il grosso pulsante rosso sulla leva di pilotaggio, può disattivare l'automatico
in ogni momento, per fronteggiare da sé un'emergenza); il secondo è un sistema "attivo". "Per teleguidare un aereo, il controllore
umano da terra dovrebbe avere davanti un "display
in tempo reale di molti cruciali strumenti di volo", e (o) una veduta video dalla
fronte dell'aereo; inoltre, qualche sistema di localizzazione fissa come il GPS (Global Positioning System).
I velivoli militari a controllo remoto (RPV, remote piloted vehicles, detti anche "droni") hanno una telecamera sul muso che rimanda al
suolo, all'operatore, le immagini via satellite, un sistema di navigazione
inerziale (GPS), o anche un apparato di "navigazione
attraverso ricognizione automatica del suolo", ossia una mappa nel cervello
elettronico del terreno che deve sorvolare: che è appunto il modo in cui
volano, e arrivano sul bersaglio, i missili da crociera. Piccoli, molto più
piccoli di un jet di linea, i cruise missiles dispongono di questo sofisticato
sistema. Ma un aereo di linea non dispone di tanto, dice Dunphy.
Gli replica un tale Jerry
Russell. Citando un articolo del Chicago Tribune trovato sul web ?, che
recita: "la Generai Atomics
Aeronautical Systems Inc. ha sviluppato per l'Air Force un aereo teleguidato
di ricognizione chiamato Predator, che ha volato durante il conflitto in
Bosnia. Utilizzato militarmente dal 1994, esso può essere fatto atterrare da
piloti collegati all'apparecchio via satellite, da terra, o ordinando al
computer di bordo di eseguire l'ordine".
"Toni
Cassidy, presidente dell'azienda di San Diego, dice di avere inviato al
Segretario ai Trasporti Norman Mineta una lettera poco dopo l'attacco dell'11
settembre". "Tale sistema non può impedire a un dirottatore di
distruggere l'aereo in volo, diceva la lettera, ma gli può impedire di guidare
l'apparecchio contro un palazzo o un'area popolata ". (...]Aerei in
qualunque punto della nazione potrebbero essere tele-controllati da uno o due
località grazie a collegamenti via satellite, dice Cassidy. Queste locazioni
potrebbero essere fortificate contro i terroristi". "La tecnologia
c'è", conclude:
"La usiamo ogni giorno". Ecco tornare il concetto: le
tecnologie del controllo a distanza esistono già. I militari ne dispongono dal
'94. Già. Ma sarebbe poi possibile, senza mettere in allarme il personale a terra
di un aeroporto, inserire il sistema di teleguida del tipo che equipaggia il
Predator su un grosso aereo di linea? Non ci vorrebbe una squadra di tecnici?
Il loro armeggiare attorno e dentro l'aereo non sarebbe immediatamente notato?
Non proprio, risponde Russell.
Sul sito della Boeing 3, ha scoperto che il computer di
volo dei giganteschi Boeing 757 e 767, che è un equipaggiamento standard, ha
praticamente tutte le capacità richieste.
Ecco come la Boeing stessa parla
del suo sistema di pilotaggio automatico nel suo sito
informativo-pubblicitario: "...un computer
di gestione del volo completamente integrato (FMCS) si occupa della guida e del
controllo automatici del 757-200 da immediatamente dopo il decollo fino
1 chicagotribune.con/technology/chi-OI09280208sep28.story.
2 sul web:
boeing.con/commercial/757-200/background.html.
all'avvicinamento
finale e all'atterraggio. Il FMCS, collegando i processori digitali di
controllo della navigazione, della guida e della potenzamotori, assicura che
il velivolo voli lungo la rotta più efficiente e con il profilo di volo
migliore per ridurre il consumo [...] La precisione della navigazione con
posizionamento satellitare (GPS), funzioni automatizzate di controllo del
traffico aereo, e caratteristiche avanzate di guida e comunicazione sono ora
disponibili nel nuovo computer di gestione del volo Future Air Navigation
System".
Poi, ecco la frase più
istruttiva: "inoltre,
funzioni
ulteriori possono facilmente essere
aggiunte semplicemente "caricandovi" il software richiesto".
Dunque, nessun bisogno di
sostituire schede elettroniche nel meraviglioso computer di gestione del volo,
che comprende tra le sue funzioni il pilotaggio automatico. Niente cacciaviti,
nessuna operazione materiale e fisica. Non c'è bisogno di una vistosa squadra
di tecnici. Basta un solo esperto informatico per "caricare il
software" con
un disco o un computer portatile collegato al cervello dell'aereo.
L'operazione, spiega la Boeing, è
lunga e complessa se si tratta di modificare l'OPS, l'Operational Program
Software, traboccante di informazioni. Ma diventa breve e facile se, invece,
si modifica l'OPC. Operational
Program
Configuration: "questo
software è una banca-dati specializzata che [...]funziona attivando o
disattivando le funzioni opzionali consentite nell'OPS. L'OPC è un programma
piccolo in confronto all'OPS e si carica in meno di un minuto". E ancora: "la programmazione
cari cabile è un utile strumento per gli operatori Boeing che consente loro di
cambiare o adeguare rapidamente le funzioni dei loro aerei commerciali".
E
di fatto è quel che i tecnici fanno di routine. Per
esempio, cambiano ogni 28 giorni un terzo programma, il NDB (Navigation
Database) "una
banca-dati delle informazioni di rotta e di navigazione", che comprende, se capiamo bene,
le mappe elettroniche di piste d'atterraggio di tutto il mondo, o qualunque
altra mappa - che il pilota automatico può essere "programmato"
a seguire.
In un
minuto. Nessun pericolo, per un esperto che voglia inserire nel cer-
vello dell'apparecchio un programma che lo guidi contro
qualcosa, di dare nell'occhio. Specie quando si sa - si sarebbe tentati di dire
- che tutti gli aereoporti da cui sono partiti gli sciagurati velivoli dell' 11
settembre utilizzano, per la sicurezza interna e il controllo-passeggeri, i
servizi di un'azienda di polizia privata israeliana 4. Ma
su internet c'è di più. Vi si trova ad esempio l'intervista che Andrea,, von
Buelow, un ex ministro tedesco (socialdemocratico) della Tecnologia, ha
rilasciato al giornale Tagesspiegel
il 13 gennaio
2002. Von Buelow ha messo in dubbio fin da principio la versione ufficiale
sull' 11 settembre 5. Ora aggiunge: c'è anche la
teoria dì un ingegnere aeronautico britannico: secondo costui, il pilotaggio
degli aerei può essere stato sottratto ai piloti dall'esterno. "Gli americani
hanno sviluppato negli anni '70 un metodo per soccorrere gli aerei dirottati
intervenendo [da terra] sul pilota automatico".
E aggiunge l'ex ministro: "all'inizio degli
anni '90 una grossa compagnia di bandiera europea venne a saperlo e si allarmò
che un suo apparecchio potesse essere "salvato" dagli
americani senza permesso. Perciò la compagnia smontò i computer di gestione
del volo da tutta la sua flotta, rimpiazzandoli con una versione fabbricata in
casa. Questi aerei sono oggi immuni da penetrazione...".
Von Buelow non sembra bene
informato: perché cambiare i computer, quando basta cambiare ì programmi, il
software? In ogni caso, la sua fonte d'informazione, "l'ingegnere
britannico", pare
essere un altro complottista reperibile sulla Rete: Joe Vialls, un inglese che
altri complottisti ritengono "un ex membro delle SAS", le truppe speciali britanniche.
Vialls ha un sito parecchio antisemita. Dove dice che fin dagli anni '70 "due
multinazionali americane hanno collaborato col DARPA (Defense Advances
Projects Agency, un'agenzia governativa militare statunitense) sii Liti progetto per il
recupero da terra di un aereo dirottato. [Il sistema] con
Si tratta, ricordiamo, della ICTS, di cui
risulta proprietario Ezra Harel, un israeliane domiciliato in Olanda. La stessa
ditta sorveglia l'aeroporto Charles de Gaulle a Parigi. s Cfr. il mio "Il
settembre: colpo
di Stato in Usa", p. 115.
sentiva a controllori a
terra di ascoltare le conversazioni in cabina, e di prendere il telecontrollo
assoluto dei sistemi computerizzati di pilotaggio a bordo". Vialls sostiene che la compagnia
europea di bandiera che ha depurato i suoi aerei (made in Usa) dal programma di
teleguida è la Lufthansa. Per lui, va da sé, non c'è dubbio che "il sistema è stato usato
per prendere il controllo da terra dei quattro aerei usati nel grande attacco
dell'11 settembre" 6.
Ci affrettiamo a ripeterlo: non
crediamo a una parola di tutto questo. Se dovessimo crederci, ci sarebbe
difficile vedere che dei terroristi arabi, votati alla morte ma ridotti ad
addestrarsi in scuolette di volo domenicali in Florida, siano capaci di
introdursi nelle meraviglie dell'avionica, in gran parte segreta perché
militare, che rende possibile la teleguida di aerei.
Ci sarebbe più facile additare
quelle industrie avanzatissime americane che hanno conoscenza di prima mano di
quell'elettronica di volo, perché sono loro a svilupparla, progettarla,
fabbricarla. La Northrop Grumman, che fornisce il Pentagono del gigantesco
aereo teleguidato da ricognizione Global Hawk. La Gulf Airstream, che produce
droni senza pilota per le forze armate americane non meno che per le
israeliane. La Boeing, fornitrice ad entrambe le armate dei suoi F-15 e degli
Apaches. Sono loro che fabbricano i Predator teleguidati e gli UCAV (aerei
robot da ricognizione) dell'ultima generazione, vent'anni più avanti di
qualunque tecnologia conosciuta in Europa 7.
e Queste ed altre informazioni sul world wide web: 91
l-strike.comlremote.htm
Da citare al proposito un articolo
apparso su Il Foglio (che in Italia è il portavoce più
intelligente del Likud) del 28 settembre 2002, a Firma di Carlo Pelanda, un
esperto di modelli strategici, israelita, con buoni contatti con l'apparato
militare americano. "[...] Sempre
più nuovi concetti si stanno
affermando nel disegno di armamenti progettati oggi [in Usa]. Tre in particolare: a) la capacità di colpire in modo
remoto dovunque; b) robotizzazione degli strumenti bellici; c) aumento della
capacità di fuoco delle singole unità. L'insieme concepito come gestione
integrata di un campo (li battaglia dove un occhio vede tutto grazie a sensori
multilivello, dallo spazio a telecamere montate sugli elmetti, e
un'intelligenza artificiale sintetizza su una sola
schermata il quadro complessivo degli eventi, permettendo una regia sistemica.
Le esigenze correnti (Afghanistan, Iraq...) stanno accelerando la costruzione
di piccoli aerei robotizzati di nuova generazione (Ucav) per l'osservazione
continua di un territorio e l'attacco di bersagli con
Sono quelle imprese - il
complesso militare industriale - i cui consiglieri d'amministrazione,
consulenti e portavoce (generali e ammiragli in pensione, ultrapatriottici
dottor Stranamore) siedono accanto agli amici israeliti nella JINSA, e con cui
condividono le tecnologie più avanzate. Lì ci sono le competenze tecniche. Il
personale specializzato. Gli specialisti capaci di infiltrazione. I mercenari
da operazioni speciali. L'abitudine alla segretezza. L'attitudine storica ad
agire dietro le quinte. L'abilità tattica di condurre operazioni `false flag". E lì, il grumo di ideologie, interessi
e motivazioni capaci di indurre a creare a bella posta un casus belli tragico e
clamoroso, per far avanzare gli affari. Lì, infine, il potere di sopprimere
l'altra verità, se appena qualcosa ne emerga. Il giorno 11 settembre, il
telegiornale Fox News Channel segnalò l'arresto di cinque israeliani in
atteggiamento sospetto; più tardi lo stesso telegiornale (l'abbiamo raccontato
in un altro libro) a diede ampia notizia della rete di spie
israeliane scoperta e in parte sgominata dalla Dea, l'ente antidroga. Una
inchiesta in quattro puntate, condotta dal coraggioso giornalista Carl
Cameron. Le trascrizioni dell'inchiesta furono "affisse" sul
sito internet
della Fox Tv. Per qualche giorno soltanto, poi scomparvero. Ora, una rivista
americana è stata in grado di scrivere quanto segue: "È stato il Committee for Accurate Middle
East Reporting in America (CAMERA) a organizzare la mobilitazione a forza
di fax, e-mail, telefonate, lettere, che ha obbligato la Fox Tv a rimuovere dal
proprio sito web le trascrizioni dei quattro servizi dì Carl Cameron".
munizionamenti intelligenti. Tale accelerazione del
nuovo non sta
creando solo conseguenze sul piano
degli impieghi militari, ma anche un nuovo scenario industriale. Tra dieci anni
tutte le armi di oggi
saranno obsolete o inutilmente costose.
La superiorità sarà basata sulla tecnologia dell'informazione. Ciò crea un
grosso problema agli europei che a tale livello sono almeno 20 anni dietro agli Usa... Quindi è probabile che l'industria europea
degli armamenti, e parte di quella tecnologica collegata, sparirà. C'è una via
di salvezza? L'unica
è fondersi con aziende americane già
collocate nel futuro e formare un unico mercato euroamericano del
settore", Pelanda
propone insomma la subordinazione-integrazione del complesso militare europeo a
quello statunitense, e dunque a quello israeliano.
s Cfr. il mio "Il
settembre, colpo di Stato in Usa", p. 66 e segg.
Ora, CAMERA è ovviamente una
delle tante organizzazioni in cui si dirama la lobby ebraica. Il suo direttore
si chiama David Steinmann. Che è anche, scrive la rivista, "presidente e direttore generale del JINSA".
Un organismo,
viene scritto, "che non cela il
fatto di reclutare una quinta colonna israeliana dentro gli alti comandi militari
Usa". Tanto
da giustificare il titolo dell'articolo': "JINSA insabbia lo scandalo delle spie israeliane" arrestate (e poi misteriosamente
rilasciate) in circostanze sospette l' 11 settembre.
1 "JINSA cover-up israeli spy scandal", su
Esecutive Intelligence Review News Service, 1-6-2.
Capitolo 19
LA "PREVISIONE" DEL COUNCIL
ON FOREIGN RELATIONS
Il 22 gennaio 2000 fu una
giornata fredda a New York. Ma su Wall Street non cessava di splendere il sole
delle ricchezze: la Borsa saliva da quasi un decennio senza interruzione, il
più grande boom finanziario della storia. Era in realtà - oggi lo sappiamo -
la più grande bolla speculativa della storia, un'inflazione delirante sui
titoli, alimentata da indebitamenti colossali e illegali. Ma gli economisti
assicuravano che il rialzo sarebbe continuato all'infinito. Le cicliche crisi
speculative americane, il crollo dopo il boom, non si sarebbero più prodotte:
era la prima legge della New Economy, i computer aumentavano tanto la
produttività da non far mai tramontare il sole sull'economia.
Quello stesso giorno però, gente
importante, ricca, ben informata, nonché di solito molto occupata, stava
spendendo otto ore del suo tempo (che è denaro) a giocare. Un gioco importante
per persone importanti - banchieri, ex ministri del Tesoro, ex direttori della
Cia, alti responsabili del Dipartimento di Stato - che si teneva nello
sfarzoso quartier generale del Council on Foreign Relation (CFR) di East Side,
Manhattan. Un "war game", una simulazione di scenario, come
si dice. Le persone importanti cercavano di capire cosa fare nel caso di un
crollo simultaneo dei mercati finanziari maggiori del pianeta. Il titolo del
gioco diceva il contrario dell'euforia che si leggeva quel giorno sui giornali
per il popolo. Il titolo era: "l'imminente
crisi finanziaria: segni premonitori, controllo del danno e conseguenze" '
' Le sole
informazioni su questo strano gioco sono state pubblicate da Richard Freeman
("CFR bankers pian for financial crash"), sulla Executive
Intelligence Review del 28 luglio 2000. Questa è la nostra tonte principale.
Tale almeno il titolo del
convegno riservato che fu riunito mesi dopo, il 12-13 luglio 2000, per
commentare i risultati dello scenario simulato a gennaio. Perché i dati del "gioco" non sono stati pubblicati. Sono segreti. Tutto
quel che se ne sa è quello che è trapelato da alcuni dei 250 personaggi che
hanno partecipato al raduno di luglio: banchieri, speculatori, imprenditori di
multinazionali, politici. Al gioco avevano partecipato invece 75 persone.
Come accade in simili simulazioni
("giochi
di ruolo"), i 75
giocatori si erano spartiti le parti. Che erano quattro: un gruppo impersonava "l'autorità
monetaria", ossia
assunse le funzioni della banca centrale, la Federal Reserve: sappiamo, per
esempio, che Jessica Einhorn, già direttrice e tesoriera della Banca Mondiale,
recitò nel ruolo di vice-presidente della Federal Reserve. Un altro gruppo
recitò la parte dell'autorità pubblica che sovrintende al commercio e
all'economia, ossia alle funzioni del Ministero del Tesoro. C'era un terzo
gruppo, che nel gioco rappresentò le "autorità regolative". Infine, il quarto gruppo
impersonò "la
sicurezza nazionale": protagonista, nel ruolo di Segretario alla Difesa, l'ex direttore
della CIA James Woolsey, che abbiamo già visto membro del JINSA e amico intimo
dei superfalchi ebraici del Pentagono, Wolfowitz e Perle.
I giocatori dovevano affrontare
una situazione di crisi improvvisa e simultanea di diversi mercati. Un
scenario spaventoso: crollo dell'indice borsistico americano (Dow Jones) da
10000 a 7100; prezzo del petrolio in rialzo fino a 36 dollari il barile; calo
drammatico del dollaro rispetto ad euro e yen. Tra le altre ipotesi, si
assumeva la bancarotta dell'Ucraina e la sua impossibilità a pagare alla Russia
le forniture di petrolio, con imminente pericolo di guerra fra i due paesi
(entrambi dotati di armi nucleari); il fallimento di una grossa compagnia
d'assicurazione britannica grande speculatrice sul mercato dei derivati, che
creava il panico su quel mercato.
Non si trattava di ipotesi
fantascientifiche. L'una o l'altra catastrofe, di fatto, si sono avverate nel
recente passato a causa del mercato globale e sregolato dei capitali. La crisi
asiatica di liquidità (e fuga di capitali esteri) che ha rovinato vari paesi
estremo-orientali nel 1997. L'insolvenza
della Russia sui suoi Buoni del Tesoro nel 1998, che fu
simultaneo al fallimento del fondo super-speculativo Long Term Capital Management
(dove due premi Nobel per l'economia gestivano 1250 miliardi di dollari in
derivati, e scatenarono il terrore fra i miliardari). Che fare dunque, in
simile crisi? I giocatori decisero - attenzione, qui è il punto cruciale - di "assumere i poteri
del Presidente" degli
Stati Uniti. Lo disse ridendo a qualche giornalista uno dei partecipanti al
gioco, James Jones, già deputato, poi ambasciatore in Messico e oggi avvocato
d'affari:
"Siamo
partiti dal presupposto che il Presidente fosse incapacitato. Dal presupposto
che Clinton era depresso perché costretto a rinunciare al suo passatempo
preferito, e non sto alludendo al golf Insomma, abbiamo dovuto decidere se assumere i
poteri presidenziali".
Vorrei che il lettore tenesse
bene a mente questo fatto: come primo atto per affrontare la crisi a modo loro,
i giocatori del CFR decisero un colpo di Stato. Di sostituire il governo eletto con un comitato d'affari
che ne assumeva segretamente i poteri.
Perché? Perché il soccorso ai "mercati
finanziari" che
lorsignori ritenevano necessario in quello scenario di collasso, era
illegittimo e illegale. Esso consisteva in fornire "grosse iniezioni
di contante" agli
speculatori rovinati dalla crisi "perché potessero far fronte ai pagamenti
senza dove
re svendere il loro
portafoglio-titoli a prezzi di liquidazione sul mercato
in caduta", come spiegò un testimone del
gioco (non citato per nome) alla rivista Euromoney. Nella simulazione, "il gruppo dei regolatori [cioè del governo-ombra golpista]
contattò
la banca d'affari J.P.Morgan e propose che la Federal Reserve aprisse una
vasta linea di credito agli speculatori falliti. La Morgan si sarebbe assunta
l'eccesso di collaterale, ma non avrebbe assunto il rischio di credito, che
sarebbe rimasto a carico della Federal Reserve. La banca mondiale, con
riluttanza, accettò".
In parole più semplici: i
giocatori (o congiurati) decisero di "salvare i mercati finanziari" al prezzo di distruggere
l'economia reale. Come ha ammesso la già citata Jessica Einhorn, "abbiamo tenuto
aperti i mercati
principali, e lasciato andare tutto il resto.
Abbiamo abbassato i tassi d'interesse e iniettato liquidità. L'importante era
creare l'illusione della fi-
dacia". Chi doveva essere illuso? I
risparmiatori, i contribuenti, il grande pubblico. "Tutto ciò che il
pubblico avrebbe visto, era che il volume dei prestiti della Federal Reserve
alle banche era aumentato".
Quanto al "lasciar andare
tutto il resto", fu Peter Schwartz, l'esperto di war-game che condusse il gioco, l'uomo
che studia gli scenari futuri per la petrolifera Royal Dutch Shel12.
Per esempio, disse Schwartz, "Tutti
quelli che hanno l'Aids
in Africa devono morire il più presto possibile. Non devono essere tenuti in
vita", perché
costa troppo. Di fatto, il gioco previde e accettò la morte di decine di
milioni di persone a causa della crisi economica provocata dal collasso
speculativo. Ci fu anche l'opzione del controllo militare sulla popolazione, o
il lancio di una guerra per mascherare la bancarotta finanziaria? È probabile:
accanto a Schwartz, nel gioco del CFR, era presente l'ammiraglio a quattro
stelle William Flanagan, già comandante della flotta atlantica Usa (1994-96),
oggi a riposo: uno dei gallonati in pensione che sono al centro delle
attenzioni dello JINSA.
Sappiamo che non mancò chi
propose soluzioni diverse, meno omicide. Non a caso, si trattava di un europeo:
Hannes Ansrosch, austriaco, già Ministro delle Finanze del suo paese
(1970-1981), socialdemocratico. Androsch propose di tornare a una "severa
regolamentazione" dei mercati speculativi.
Nessuno degli altri giocatori
accettò la proposta dell'austriaco. A dargli sulla voce furono specialmente
Roger Kubarych, il capo del progetto "Financial
Vulnerabilites" del
Council ori Foreign Relations, ex banchiere d'affari, e Henry Kaufman,
presidente della propria banca d'affari (Henry Kaufman & Co.) e, prima,
della Salomon Brothers. Insomma fu la voce
Z Schwartz è un guru delle simulazioni di scenario. Dall'82
dirige lo "Scenario Planning Deparnnent" della Royal Dutch Shell Oil
Company. Egli organizza regolarmente war games per gli alti dirigenti della
Sheli. Per esempio, come ha spiegato lui stesso, li pone di fronte a varie
ipotesi: "L'idea che il prezzo del
greggio schizzi a 80 dollari il barile - cosa che a questa gente piacerebbe -,
che vada a 35 dollari a barile, che sia a 15 dollari a barile". Gli alti dirigenti devono agire di
conseguenza. II gioco è assistito da computer che riflettono le conseguenze di
ogni decisione presa
.
della speculazione finanziaria a ricordare
minacciosamente all'austriaco che l'economia non avanza "sotto mercati
socializzati. Dobbiamo lasciare prosperare i mercati [finanziari, ossia le borse] e lasciar fallire chi
non
ce la fa". Di fatto, nel loro gioco di
scenario, gli attori hanno fatto l'esatto contrario: non lasciar fallire gli
speculatori che hanno sbagliato investimenti, fornire loro altro denaro
(liquidità) per continuare a puntare al casino globale, e far andare in malora "tutto il
resto".
Questo episodio è cruciale nella
storia che stiamo narrando. Perché il Council (CFR) non è un club di ricchi
perditempo. È la fondazione privata che dà forma alla politica estera Usa,
secondo gli interessi del mondo degli affari 3. È
l'organo promotore della globalizzazione economica. È il luogo dove si prendono le decisioni supreme che la Casa Bianca assumerà
come sue.
Da sempre il CFR formula le sue azioni sulla base di "scenari" previsionali. Il caso storico
più celebre ebbe luogo nel 1939, allo scoppio della seconda guerra mondiale.
Come oggi lo scenario del crack speculativo è stato intrapreso all'interno del "Financial
Vulnerabilities Project" del CFR, in quell'anno fu il "War and Peace
Studies Project" - l'apposito gruppo di studio creato dal CFR a - a
valutare quali sarebbero state le conseguenze, per il business americano, di
una vittoria dell'Asse. Il gruppo di studio si pose alcune domande preliminari.
Su quanta parte delle risorse e del territorio mondiale gli Usa dovevano avere
il controllo
II CFR è stato fondato nel 1921
come `fondazione
culturale" (esente
da imposte secondo il diritto americano) dalla famiglia Rockefeller, che ne è
ancor oggi la principale finanziatrice. Dopo la Grande Guerra, in Usa era forte
la tendenza all'isolazionismo. Il CFR fu creato per contrastarla: il grande
business e le multinazionali volevano mantenere "l'apertura dei mercati mondiali", e su di essi l'egemonia americana.
° Lo guidava Norman Davis, ambasciatore del presidente Roosevelt. Ne facevano
parte il direttore del CFR Isaiah Bowman (che era anche docente della John
Hopkins), l'avvocato d'affari Allen Dulles (in seguito sarebbe diventato capo
della CIA), Alvin Hanseri (docente di Economia politica ad Harvard), Jacob
Viner (docente di Economia all'Università di Chicago), Hanson Baldwin,
corrispondente militare per il New York Times, Whitney Shepardson, grande
manager mltinazionale, Hamilton F. Armstrong (direttore di Foreign Affairs, la
rivista del CFR): tutti personaggi di primo piano al loro tempo.
diretto, per mantenere il loro
livello di potere e di egemonia? Quanto era autosufficiente il vasto spazio
economico dominato dagli Usa (il cosiddetto "Western hemisfere", nord e sud America), confrontato con un'Europa
egemonizzata dalla Germania?
Per rispondere a queste domande,
il CFR lanciò il più grandioso studio econometrico mai tentato. Il mondo fu
diviso in settori d'influenza politica, e per ogni settore si calcolò la
produzione e il commercio locali di materie prime e beni industriali. Fu
introdotto nel quadro almeno il 95% di tutti gli scambi mondiali di materie
prime e beni. Con queste, misurando le cifre dell'import e dell'export, si
calcolò il grado di "autosufficienza"
di ciascuna
delle grandi regioni geo-politiche: il Western hemisphere (l'America e il suo
giardino di casa), l'Impero Britannico, l'Europa continentale, l'area del
Pacifico. Il risultato fu assai sgradito ai signori del CFR: "Si vide che l'autosufficienza dell'Europa continentale
dominata dalla Germania sarebbe stata assai più alta di quella delle due Americhe
insieme" 5. Nel Pacifico, stesso
risultato: "il Giappone come
potenza espansiva minacciava i piani del CFR".
La minaccia, precisamente,
consisteva in questo: l'Europa sotto dominio germanico, con l'integrazione
della tecnologia tedesca e le risorse naturali russe, avrebbe costituito un
grande spazio economico autosufficiente, ossia "chiuso", che non avrebbe avuto bisogno di
importazioni americane. Nell'Asia, l'integrazione fra la potenza industriale
giapponese e l' immensa dotazione di manodopera cinese avrebbe creato un
simile spazio autarchico, economicamente autonomo, che non poteva essere
forzato a comprare nulla dagli Usa. Un rischio mortale per le multinazionali
americane, che vivevano importando materie prime da quelle aree, ed
esportandovi beni e capitali; e dunque, decise il CFR, anche per gli Usa come
stato. Lo studio fu tenuto segreto. Fu presentato solo alla Casa Bianca.
Non ci fu bisogno di "incapacitare" il Presidente, allora. Il presidente
Roosevelt e il suo entourage furono convinti da un rapporto del CFR
s Laurence Shoup & William
Minter, "Shaping a new workd order: the Council on Foreign Relations
blueprint for world hegemony", us Trilaterally, Boston, 1980,
p. 136 e sag.
("Policy
Recommmendation" dell'ottobre 1940) ad entrare in guerra a fianco dello spazio
economico più importante, l'Impero Britannico. Già da mesi, un gruppo di
pressione appositamente creato dal CFR, il Century Group, aveva indotto
l'Amministrazione - ancora formalmente neutrale - a inviare cinquanta
incrociatori alla Gran Bretagna in cambio di future basi sul territorio
imperiale inglese. In quei mesi, praticamente tutti i membri del privatissimo 'War and
Peace Studies Project" furono assunti dal Dipartimento di Stato, al Pentagono e
negli altri ministeri impegnati nello sforzo bellico. In qualche modo, fu la
prima grande privatizzazione dello Stato: la politica mondiale americana fu
presa direttamente in mano dagli studiosi a servizio del business. Come si
vede, il CFR è il luogo dove si studia e si decide. È il governoombra privato degli Stati Uniti. Nel gennaio-luglio 2000,
il "gioco di simulazione" su come affrontare l'imminente
collasso della finanza speculativa è stato sicuramente preliminare a decisioni
da fare poi adottare alla Federazione americana. È possibile che per quella
causa - l'imminente crollo che minacciava l'egemonia globale Usa - il CFR abbia
trovato una convergenza con gli interessi dell'apparato militare-industriale e
con quelli del messianismo conquistatore ebraico: il conflitto di civiltà come
via d'uscita dalla bancarotta finanziaria e dal rischio del tramonto
dell’egemonia del business americano. Del resto, in quell'ordine di idee, il
CFR è già entrato da tempo: il termine stesso di "conflitto di civiltà" viene dalle sue stanze. È stato
uno dei suoi membri più prestigiosi, Samuel Huntington 6, a
teorizzare negli anni '90 la necessità - caduto il nemico sovietico - di
trovare un nuovo avversario globale, capace di tenere alta
F Samuel Huntington, docente di Harvard, è stato membro
del Consiglio di Sicurezza Nazionale Usa. Durante la guerra del Vietnam, fu lui
a progettare il piano di "urbanizzazione forzata" della popolazione vietnamita delle campagne, per
tagliare la base di sostegno logistico dei vietcong. Nel 1978 Huntington, con
Zbigniew Brzezinski (CFR) è stato uno dei registi dell'elezione di Jimmy
Carter, presidente creato su misura dal Council on Foreign Relations. In
quegli stessi anni, Huntington raccomandò l'istituzione in Usa di un sistema di
"democrazia controllata", basata sull'idea che "una certa misuro di passività dell'opinione pubblica" era benefica per gli interessi del business.
la tensione dell'America, desta
la sua capacità di innovazione tecnologico-militare, e giustificare la sua
volontà egemonica. Huntington ha identificato il nuovo nemico nell'Islam.
Dopo 1' 11 settembre, il CFR s'è
affrettato a creare una " Independent
Task Force on Atnerica's Response to Terrorism", per mostrare che intende
partecipare al grande gioco, quello vero. Per ora, questa Task
Force "consiglia" il governo Bush su come condurre la
campagna diplomatica in ausilio alla guerra all'Irak'.
Nel 1940, per convincere gli
americani ad entrare in una guerra destinata a salvare il grande business,
bisognò inventare la provocazione di Pearl Harbour I. È possibile che oggi il CFR abbia visto nella tragedia dell' 11
' Cfr.
il documento: "Improving the US public diplomacy campaign in the war against
terrorism", 6 novembre 2001, emesso dalla Task
Force del CFR.
a Domenica 7 dicembre 1941, alle 7.53 del mattino, una forza aeronavale
giapponese attaccò a sorpresa la flotta americana all'ancora alle Hawaii, nel
porto di Pearl Harbor. Nell'attacco 4500 americani morirono o furono feriti.
Oggi è comprovato che l'attacco non fu affatto una sorpresa per il presidente
in carica, Franklin D. Roosevelt. Lo ha dimostrato il ricercatore Robert
Stinnett (Day of deceit, Simon & Schuster, New York,
2001) dopo sedici anni di scavo negli archivi di stato. Fino ad oggi si sapeva
che gli Usa avevano decifrato il codice diplomatico
giapponese, il
che avrebbe consentito alla Casa Bianca di sapere in anticipo che un attacco
nipponico era imminente, genericamente "nel
Pacifico". Stinnett
ha scoperto che anche il codice segreto
militare era noto
agli americani; ed ha trovato negli archivi la trascrizione di 83
messaggi-radio criptati dell'ammiraglio Yamamoto alla sua flotta. Un messaggio
del 25 novembre 1941 ordinava alla flotta nipponica di "avanzare nelle acque hawaiane e attaccare la
forza navale principale degli Stati Uniti sí da infliggerle un colpo
risortale" (D'altra
parte, fra le decifrazioni del codice diplomatico giapponese è stata trovata
una mappa di Pearl Harbor divisa in reticoli, e inviata segretamente alle forze
nipponiche già il 9 ottobre 1941).
Yamamoto sapeva meglio di chiunque
altro che l'attacco doveva essere "mortale",
perché il tempo
giocava contro il Giappone: la Casa Bianca aveva decretato un embargo petrolifero
sì che il Giappone - privo di risorse naturali proprie - aveva riserva per soli
sei mesi di guerra. Nel luglio del 1940 il Giappone offrì agli Usa, pur di
vedersi levato l'embargo, di ritirarsi dalla Cína e di uscire dall'Asse;
Roosevelt rispose congelando i beni nipponici in Usa, e nel settembre estese
l'embargo al ferro e all'acciaio.
Che il presidente sperasse in un "provocazione" giapponese è mostrato dal fatto
che fece spostare la flotta del Pacifico, dalle sue solite basi in California,
nella Hawaii, quasi a facilitare il compito di Yamamoto.
settembre la nuova provocazione
necessaria per salvare i mercati speculativi. La "simulazione di crisi" del gennaio 2000 ha dimostrato
che, in quell'ambiente, gli scrupoli morali non fanno parte del gioco. Milioni
di persone devono morire. Il presidente deve essere "incapacitato".
Un colpo di Stato era nel conto? Un colpo di stato di
tipo nuovo, inaudito, messo a segno senza allertare la consapevolezza della
popolazione? Impossibile, direte voi. Vediamo.
L' ammiraglio James Richardson,
comandante della flotta del Pacifico, protestò contro questo spostamento,
consapevole che esso esponeva le sue navi a un maggior pericolo: Roosevelt lo
sollevò dal comando. Inoltre i dati dell'intelligente, che segnalavano un
imminente attacco a Pearl Harbor, non furono inviati alla flotta alla fonda nel
porto hawaiano (le informazioni cruciali furono spedite mentre l'attacco era
già in corso). Sessant'anni dopo l'attacco di Bin Laden alle Twin Towers:
ancora una volta la più temibile potenza mondiale viene attaccata "di sorpresa", e "senza provocazione"; migliaia di americani muoiono, e
gli Usa hanno una ragione per cominciare una guerra di lunga durata. Attacchi "proditori" e suicidi, che non colpiscono mai
potenze molto meno armate, diventano stranamente frequenti nella storia
dell'America.
Capitolo 20
COLPO DI STATO: MANUALE PRATICO
È un libro non recente: Harvard
University Press, 1968. Titolo "Colpo
di Stato: manuale pratico" '.
L'autore: Edward Luttwak. Il ben noto esperto militare (spesso intervistato
dalle tv italiane perché parla la nostra lingua) che è stato consigliere della
sicurezza nazionale di Ronald Reagan. Ebreo, superconservatore, militarista.
Con notori collegamenti con la CIA, amici al Pentagono, nel sistema
militare-industriale, e ovviamente nel JINSA.
Ci proviamo qui a tradurre i
passi cruciali di questo vecchio libro. Limitandoci a sottolineare in
grassetto i concetti che possono essere entrati in gioco nelle menti di chi -
se la nostra ipotesi è giusta - ha architettato la tragedia dell' 11 settembre.
Capitolo 1. Che cos'è un colpo di Stato?
"[ ... ] Il colpo di stato non deve essere necessariamente
assistito dall'intervento delle masse né, in grado significativo, dalla forza
di tipo militare. Il
sostegno di queste forme di forza diretta rende senza dubbio più facile
prendere il potere, ma sarebbe irrealistico pensare che siano disponibili agli
autori del golpe.
"Se un colpo di Stato non fa uso delle masse o
delle forze armate, quale strumento di potere si userà per prendere il
controllo dello stato? La risposta, in breve, è la seguente: il potere verrà dallo stato
stesso".
' "Coup d'Etat: A practical
handbook", di Edward Luttwak, 1968. Noi usiamo qui la riedizione
economica del 1979.
"Un golpe consiste nell'infiltrare un segmento
anche piccolo, ma cruciale, dell'apparato statale, che poi verrà usato per
togliere al governo il controllo di tutto il resto" [il JINSA ha infiltrato
il Pentagono precisamente in questo modo] (p. 26-27)".
Capitolo 2. Quando è possibile un colpo di Stato?
Qui
Luttwak elenca anzitutto le "pre-condizioni" necessarie:
"1. Le condizioni
sociali ed economiche del paese preso a bersaglio devono essere tali, che la
partecipazione politica è limitata a una piccola parte della popolazione [è il
caso degli Usa, dove l'assenteismo elettorale è maggioritario, ndr.].
2. Lo stato preso a
bersaglio deve essere sostanzialmente indipendente e l'influenza di potenze
straniere nella sua politica interna devono essere limitate [gli Usa sono il
solo stato rimasto a godere di queste condizioni]. 3. Lo stato preso di mira
deve avere un centro politico. Se esistono diversi centri, essi devono essere
identificabili ed essere strutturati politicamente, piuttosto che per etnie. Se
lo stato è controllato da una unità di potere non organizzata politicamente
[come il CFR, la rappresentanza del business] esso può essere messo a segno col
suo consenso o la sua neutralità."
Già nella prefazione, Luttwak aveva sottolineato come
essenziale il fatto che i golpisti possano contare sulla "assenza di una
comunità politicizzata", sulla
passiva indifferenza del pubblico. "Il dialogo tra governanti e governati
[su cui si basa la legittimazione democratica] può aver luogo solo se una
parte abbastanza vasta della società è istruita, benestante e sicura di poter "parlare".
Ma "senza una popolazione
politicizzata, lo stato non è altro che una macchina. Allora il colpo di stato
diventa attuabile poiché, come per ogni macchinario, si può prendere il
controllo del tutto afferrando le leve cruciali". Ora, Luttwak identifica questa "macchina" nella burocrazia (p. 20-2 1):
"La
crescita della burocrazia moderna ha due implicazioni che sono essenziali per
l'attuabilità del colpo di stato: una chiara distinzione fra il macchinismo
statuale permanente e la leadership politica [che cambia], e
il fatto che, come tutte le grandi organizzazioni, la burocrazia ha una
struttura gerarchica con una catena di comando definita [...]".
"L'importanza di
questa caratteristica sta nel fatto che se i burocrati sono collegati alla
leadership politica, la presa del potere illegale deve avere la forma di una "rivoluzione
di palazzo", ed essenzialmente consiste nel
la
manipolazione della persona del governante. Egli può essere obbligato ad
accettare politiche e consiglieri, può essere ucciso o tenuto prigioniero 2, ma tutto ciò che accade
nella rivoluzione di palazzo deve essere condotto solo "all'interno"
e da "interni" (insiders) [In queste pagine, non abbiamo
visto altro che insider all'opera attorno al debole Presidente in
carica]".
"La burocrazia
statale divide il suo lavoro in chiare aree di competenza, che sono assegnate a
dipartimenti diversi. All'interno di ogni dipartimento c'è una catena di
comando accettata, e si devono seguire procedure standardizzate. Così una
pratica o un ordine ricevuti vengono trattati in maniera stereotipata: se
l'ordine viene dalla fonte d'autorità appropriata, al livello appropriato,
l'ordine viene eseguito (...] L'apparato dello stato è dunque in qualche misura
una "macchina" che si comporterà di norma in modo prevedibile
e automatico".
"Il colpo di stato
si attua traendo vantaggio da questo comportamento meccanico: durante il golpe,
perché usa parti dell'apparato dello stato per appropriarsi il controllo delle
leve; dopo, perché il valore delle leve dipende dal fatto che lo stato è una
macchina".
Chi
sono i congiurati migliori? Ecco come li descrive Luttwak (p. 35): "Tutto il potere, tutta la partecipazione, è
nelle mani di una piccola elite istruita, benestante e sicura, e quindi
radicalmente differente dalla vasta maggioranza dei suoi concittadini,
praticamente una razza a parte. Le masse riconoscono questa realtà e accettano
il monopolio del potere dell'elite, salvo che qualche esazione insopportabile
porti a una rivolta disperata [...] Egualmente,
le masse accetteranno un cambio di governo, sia legale o no. Dopo tutto, è un altro
gruppo di "Lorsignori" che adesso ha il comando [È
precisamente questo il caso
2 I1
sospetto è albeggiato nella mente di un famoso commentatore politico cattolico:
Patrick Buchanan. In uno dei suoi editoriali, il 21 agosto 2001, si chiede: "Has Bush been mouse-trapped into war?", ossia "Bush è stato intrappolato a entrare in
guerra?".
della società in Usa:
una grande massa poco istruita, resa passiva dal bisogno, dovuta alla nuova
flessibilità capitalista, di mantenere o trovare il lavoro]".
"Così, dopo un
colpo di stato [...] la maggioranza della popolazione non crederà né diffiderà
[...] Questa mancanza di reazione è tutto ciò che il colpo di stato richiede al
popolo per stare al potere". "Il livello più basso della burocrazia
reagirà, o piuttosto mancherà di reagire, alla stessa maniera e per le stesse
ragioni: i "cgai' danno gli ordini, possono promuovere o
rimuovere e, soprattutto, sono la fonte del potere e del prestigio [...]. Dopo
il golpe, la persona che siede al comando del distretto sarà sempre obbedita -
sia o no la stessa persona -finché è in grado di pagare gli stipendi
[...]".
"Per i burocrati
del livello più alto, ufficiali delle forze armate e della polizia, il golpe è
un misto di pericoli e di opportunità. [...] Per coloro, e sono i più, che non
hanno troppo impegno ideologico, il golpe offrirà più opportunità che
pericoli. Possono accettare il golpe e, essendo collettivamente indispensabili,
possono negoziare stipendi e posizioni migliori [...]". "Il colpo di
stato non rappresenta una minaccia per la maggior parte della elite: la scelta
dunque è tra i gravi pericoli dell'opposizione e la salvezza dell'inazione.
Tutto ciò che si deve fare per sostenere il golpe è, semplicemente, fare nulla
- e appunto questo si farà in genere".
"Così,
a tutti i livelli, il più probabile sviluppo dopo un golpe è l'accettazione...
Questa mancanza di reazione è la chiave per la vittoria dei golpisti".
Capitolo 3 - Strategia
del colpo di stato (p. 58-59)
"Se fossimo
rivoluzionari, con la volontà di distruggere il potere di certe forze
politiche, il lungo e spesso sanguinoso processo di una rivoluzione sarebbe il
mezzo. Ma il nostro scopo è, invece, molto diverso: noi vogliamo prendere il potere all'interno del sistema presente, e riusciremo a stare al
potere solo se noi integriamo uno "status quo" sostenuto dalle
forze stesse che una rivoluzione vorrebbe distruggere. [...] Questo è un metodo
più efficiente, e certo meno doloroso, che una rivoluzione classica. [è la
descrizione del perfetto golpe "neo-conservatore"]".
"Cercheremo di
evitare ogni conflitto con le forze politiche; ma alcune di esse quasi
certamente si opporranno a un golpe. Tuttavia questa opposizione verrà meno
quando avremo sostituito il nostro nuovo status quo a quello vecchio, e potremo
imporlo grazie al nostro controllo della burocrazia statale e alle forze di
sicurezza. Noi dunque avremo un compito doppio: imporre il nostro controllo alla
macchina dello stato e allo stesso tempo usarla per imporre il nostro controllo al Paese nel suo complesso
[...]".
"Purché
l'esecuzione del golpe sia rapida, e
finché noi siamo coperti dall'anonimato, nessuna fazione politica avrà il motivo,
o l'opportunità, di opporsi a noi".
Capitolo 4 -
Pianificare il colpo di stato in Paesi sviluppati (p. 141) "Siano in un
sistema bipartitico come nel mondo anglosassone, dove i partiti sono in realtà
coalizioni di gruppi d'interesse, siano partiti basati su valori di classe o
religione come nell'Europa continentale, i principali partiti politici negli stati evoluti e
democratici non presentano una minaccia diretta a un golpe. Anche se tali partiti
hanno un sostegno di massa durante le elezioni, essi non sono versati alle
tecniche dell'agitazione delle masse. La relativa stabilità della vita
politica [democratica] li ha privati dell'esperienza necessaria ad impiegare
mezzi d'azione diretta, e tutta la loro operatività si riduce a vincere le
periodiche elezioni".
(p. 145)
"Benché qualche
forma di confronto violento possa essere inevitabile, è essenziale evitare
spargimenti di sangue, perché questo può avere ripercussioni negative tra il
personale della forze armate e della polizia" Capitolo 5 - Esecuzione del
colpo di stato "Con una pianificazione accurata, non ci sarà bisogno
alcuno che i golpisti abbiano un "quartier generale"
strutturato nella fase attiva del colpo di stato: quando non c'è spazio per
decisioni, non 'è necessità di decisori e dei loro apparati. Anzi, avere un quartier generale può presentare un grave
svantaggio: è un bersaglio per l'opposizione, allo stesso tempo vulnerabile e
identificabile [...] Dobbiamo evitare ogni azio
ne che renda chiara la
natura della minaccia, riducendo così la confusione che regnerà nell'apparato
difensivo del regime [...] I capi del colpo di stato saranno sparsi tra i vari
gruppi". [Come si vede, Luttwak teorizza un colpo di stato invisibile: i golpisti infiltrati
parlano con la voce del governo legittimo, di cui si sono impadroniti. L'] l
settembre, ricordiamo, l'entourage immediato del presidente Bush pensò non a
un attentato arabo, ma a un colpo di stato militare: per questo il presidente
fu portato in luogo sicuro per 10 ore]. (p. 147)
"Nel periodo immediatamente
seguente al colpo di stato, essi [gli alti burocrati e militari] si sentiranno
probabilmente persone isolate, la cui carriera, e anche la cui vita, possono
essere in pericolo. Questo senso di insicurezza può precipitare in due reazioni
estreme: o costoro escono allo scoperto per proclamare la loro lealtà ai leader
del colpo di stato, o cercheranno di fomentare l'opposizione contro di noi.
Entrambe le reazioni sono indesiderabili per noi. Proclamazioni di lealtà
saranno di solito inutili, poiché fatte da elementi che hanno appena
abbandonato i loro precedenti, e più legittimi, comandanti; il coagularsi di
un'opposizione sarà sempre pericoloso e a volte disastroso. La nostra azione
verso i quadri militari e burocratici mirerà dunque a ridurre il loro senso di
instabilità:
noi dovremo stabilire un contatto
diretto con gli ufficiali e i funzionari di rango più elevato, per trasferire
loro un'idea principale, in modo forte e convincente: che il golpe non minaccia
la loro posizione nella gerarchia e che tra gli scopi del golpe non c'è la
riduzione delle strutture militari o amministrative esistenti" [questo pare essere appunto
il compito svolto dal JINSA]. (p. 165)
"..Le masse non
hanno né le armi dell'esercito né le strutture amministrative della burocrazia,
ma il loro atteggiamento verso il nuovo regime dopo il golpe sarà, alla lunga,
decisivo. Il nostro compito immediato sarà di imporre l'ordine pubblico, ma il
nostro obbiettivo di lungo termine sarà di guadagnare l'accettazione delle
masse, sì che l'uso della coercizione fisica non sia necessario [...] Il nostro strumento in questa
direzione sarà il controllo dei mezzi di comunicazione di massa [...] Le
trasmissioni radio e televisive avranno lo scopo non già di fornire in-
formazioni sulla situazione,
bensì di controllarne gli sviluppo grazie al nostro monopolio sui media" [È proprio quello che
fanno i mass-media americani dall'U settembre in poi].
"[L'azione dei media] sarà mirata a
convogliare la realtà e la forza del colpo, anziché giustificarlo [il colpo
emotivo della caduta del World Trade Center, trasmesso con piena "realtà"
e "forza" dalla CNN] [...] Avremo frammentato l'opposizione,
sicché ogni individuo che si oppone dovrà operare in isolamento. In queste
circostanze, le notizie di ogni piccola resistenza contro di noi agiscono come
un potente stimolante ad ulteriori resistenze, perché riducono quel senso di
isolamento. Quindi
dobbiamo fare ogni sforzo per sopprimere quel genere di notizie. Se qualche
resistenza compare [...] dobbiamo sottolineare con forza che essa viene da
"isolati" ostinati individui, mal informati o disonesti, che non sono
affiliati a nessun gruppo o partito importante. Il lavoro costante sul
tema dell'isolamento, e l'enfasi posta sul fatto che la legge è stata
ristabilita, faranno apparire la resistenza inutile e pericolosa".
Sorgerà, conclude Luttwak, "l'inevitabile
sospetto che il colpo di stato è opera delle macchinazioni della
Compagnia [qui Luttwak, significativamente, usa il termine con cui gli
agenti della CIA indicano la CIA stessa]. Esso può essere stornato
attaccandolo violentemente [...] e l'attacco sarà tanto più violento quanto più
questi sospetti sono giustificati. [...] Faremo uso di una selezione adatta di
frasi sgradevoli
[per esempio: anti-americanismo?
Anti-semitismo?]; anche se il loro significato è stato oscurato dal loro uso
costante e deliberato, esse restano utili come indicatori del nostro impeccabile
nazionalismo." (p.
167
170)
A me sembra che queste righe descrivano, con spaventosa
precisione, ciò che è avvenuto in Usa dall' 11 settembre in poi.
Capitolo 21
I BUONI SERVI NOACHICI
Il senatore Gary Bauer, che è stato candidato
presidenziale repubblicano, non vuole alcun "processo di pace" in Israele: "La
Bibbia è chiara: la terra è quella chiamata terra dell'alleanza, e Dio ha
fatto il patto con gli ebrei che quella terra sarebbe stata loro per
sempre" '. Il
senatore James Infohe, repubblicano dell'Oklahoma, ha spiegato così l'attacco
terrorista dell' 11 settembre: "Una
delle ragioni per cui è stata aperta la porta spirituale all'attacco contro
gli Stati Uniti d'America è che il nostro governo esige dagli israeliani di
non esercitare la rappresaglia contro i loro terroristi". L'America è piena di personaggi
così. A parlare per bocca di Bauer ed Infohe è l'escatologia da supermarket dei
fondamentalisti protestanti americani; i milioni che attendono The End Times,
gli ultimi giorni, e il ritorno di Cristo e il "rapimento in cielo" (rapture) dei giusti. E che, per accelerare il
ritorno di Cristo, ritengono necessario favorire gli estremisti in Israele. È
la destra religiosa dei tele-predicatori, una delle grandi forze della
politica americana.
Questo fenomeno ha radici antiche
nel mondo anglosassone. Vi si mescolano la mistica imperiale che indusse gli
anglosassoni a credersi il "nuovo
Israele" (una
tendenza che si fa' risalire al venerabile Beda, e che sbocca nell'ideologia
balzana dei British Israelites) 2 il "libero esame" della
' Citato da Doug Bandow, "Crackpot theology inakes bad foreign policy"
("La teologia da "amati" fa' una cattiva politica
estera"), 27 maggio
2002. In TownHall.com.
Bandow è un
editorialista conservatore.
Z Cfr. il capitolo "British
Israelites, la dottrina occulta" nel mio "Complotti
I', Milano, 1995, p. 87 e segg.
Bibbia con le sue letture
letterali e sempliciste, e le più fumose credenze nelle "profezie"; il tutto confezionato nella civic
religion, che attribuisce all'America un compito provvidenziale nel mondo,
quello dell"`impero del
bene" in
lotta escatologica contro 1-asse del male". L'Apocalisse come
soap-opera.
Già nel 1621 un sir Henry Finch,
avvocato e membro del parlamento britannico, scrisse un appello al governo di "sua maestà" perché favorisse l'insediamento
degli ebrei in Palestina, "onde
compiere le profezie bibliche". Nel tardo Settecento, i torbidi stati d'animo che
nell'Europa continentale produssero la Rivoluzione Francese suscitarono, nelle
plebi inglesi e nei coloni americani, effervescenze utopico-religiose: la
setta americana dei Milleriti (oggi detti Avventisti dei Settimo Giorno) ne fu
un esempio. Un altro fu il potente movimento creato da John Nelson Darby
(1800-1882), un pastore anglicano rinnegato che percorse l'America interpretando
le profezie bibliche come predizioni letterali. I veri credenti sarebbero stati
"rapiti" dalla storia e dalla terra - così
Darby leggeva il passo della prima lettera ai Tessalonicesi, 4:16, 5:1 - prima dei
tempi della tribolazione finale; la tribolazione culminerà nella battaglia di
Armageddon, valle vicina a Gerusalemme; gli ebrei saranno restaurati nella
loro potenza, secondo il patto di Dio, come strumento primario della storia.
Questo insieme di credenze - "dispensazionalismo",
"premillenarismo" - costituisce, negli Stati Uniti, la forma "dominante"' di cristianesimo. Migliaia di
pastori e milioni di fedeli si sono formati sulla cosiddetta "Bibbia Scofeld" (1909) le cui note interpretano i
passi scritturali in termini di "profezia"
escatologica.
Secondo lo storico dei movimenti religiosi Timoty Weber, attraverso quelle
letture si finisce per concepire "il
processo storico come una guerra infinita tra bene e male, il cui corso Dio ha
concesso al diavolo ... La sola speranza della storia consiste nella sua
distruzione".
' Così Donald Wagner,
"Evangelicals and Israel: theological roots of a political alliance"
in The Christian Century, 4 novembre 1998, p.1020-1026. Donald Wagner dirige il Centro Studi Mediorientali alla
North Park University di Chicago.
Generazioni di americani hanno
scoperto la fede attraverso il vecchie best-seller del millenarista William E.
Blackstone, "Jesus is coming) (1882). Fatto significativo,
Blackstone è anche l'autore del primo appello pubblico - diretto all'allora
presidente Benjamin Harrison - per sostenere il ritorno degli ebrei in
Palestina. L'appello, apparso su infiniti giornali in quella che fu una delle prime
massicce campagne di stampa, era firmato anche da John D. Rockefeller, da J.P.
Morgan e da altri grandi finanzieri.
Lo stesso fenomeno, in quegli
anni, si produceva in Inghilterra. Lori Shaftesbury volle trasformare in
programma politico l'escatologia millenarista di Darby. Cominciava il lungo
processo che avrebbe portato alla Dichiarazione Balfour (1917), l'impegno
dell'impero britannico a con segnare la "Terrasanta"
agli ebrei come "focolare giudaico"; tutti gli at tori di questa
vicenda erano intrisi di millenarismo protestante. Lo confessò sir Oliver
Locker-Sampson. Interrogato sul perché Londra sostenesse con tanta ostinazione
il sionismo, rispose: "Winston
[Churchill], Loye George, Balfour ed io siamo stati allevati come protestanti
integrali, credenti nell'avvento di un nuovo salvatore quando la Palestina
ritornern agli ebrei".
Questa teologia d'accatto non ha
mai cessato di tradursi in una politici estera allarmante, passando in eredità
dai grandi mistici massoni britannici ai telepredicatori americani.
Quando Israele occupò Gerusalemme
nella guerra-lampo del 1967 l'evangelista americano Nelson Bell, direttore di
Christianity Today suocero del telepredicatore Bill Graham) proclamò: "Il fatto ci elettrizzi come studiosi della
Bibbia, e rinnova in noi la fede che la Bibbia è vali da ed esatta". Intanto l'America profonda era
inondata da una profluvi di libri, film e special televisivi sulla prossima
fine dei tempi. L'Unione Sovietica, i suoi alleati e il Papa vi facevano la
parte dell'Anticristo L'escatologia, in Usa, è anche un affare lucroso. Hal
Lindsay (un altri tele-predicatore) ha venduto 25 milioni di copie del suo
volume profetico, "The late great
planet earth" (Il
fu grande pianeta Terra), da cui sono stati ricavati anche due film; inoltre,
Lindsay ha aperto un'agenzia di con-
sulenza d'affari (la capacità di predizioni può essere
utile al business) che ha fra i suoi clienti diversi membri del Congresso.
Mentre le tradizionali
denominazioni protestanti vedono i fedeli declinare (non meno della Chiesa
cattolica), in Usa sono i fondamentalisti millenaristi, gli evangelisti
carismatici, i sionisti cristiani, a crescere tumultuosamente. Chiesa e
protestantesimo istituzionale avevano guardato alla conquista di Gerusalemme da
parte d'Israele, e all'oppressione dei palestinesi, con ostilità e sospetto.
Il sostegno degli Stati Uniti alla causa ebraica era in pericolo: per questo,
le varie lobbie ebraiche cominciarono a prendere contatti con le masse
fondamentaliste e millenariste, prima tenute a distanza dalla comunità ebraica
perché razziste, bianche, troppo - diremmo - nazionalpopolarì. "La comunità evangelica è il maggior gruppo che
nutre sentimenti filo-ebraici in questo paese, e quello che cresce più
rapidamente".
Nel 1976, l'elezione di Jimmy
Carter (catechista della domenica nelle scuole della Southern Baptist Church)
mostrò che il movimento apocalittico protestante era divenuto una forza
politica ragguardevole. Ma Carter deluse subito. E non solo perché, nel marzo
1977, suggerì che anche i palestinesi avevano "il diritto a una
patria". Il fatto
è che Carter (creatura del Council on Foreign Relations) era democratico,
ossia "di sinistra" nella limitata accezione
americana. E l'America andava a destra.
Ci andavano, soprattutto, gli
ebrei americani. La comunità, radical-chic, progressista e socialisteggiante
finché il sionismo fu rappresentato in Israele dal partito laborista (fondato
da transfughi menscevichi della Russia), cambiò orientamento appena (nel maggio
1977) in Israele andò al potere Menachem Begin, del Likud, il partito
neofascista. Menachem Begin era stato in gioventù un terrorista rabbinico,
della banda Stern. Il Likud ospitava già allora falchi militari contrari ad
ogni concessione ai palestinesi (Rafael Eytan e Ariel Sharon), aveva il
sostegno dei "coloni" fondamentalisti che andavano a
formare insediamenti armati nel territorio palestinese ("la terra santa non si cede"), e quello di numerosi partitini "religiosi", capeggiati da rabbini, piccoli ma
potenti perché ricchi delle offerte che la "diaspora" manda soprattutto a loro.
Secondo Donald Wagner, fu
direttamente il Likud a determinare il tramonto di Carter. "La strategia del Likud fu semplice: sottrasse
a Carter la sii base politica, i fondamentalisti
evangelici, e portò i "cristiani
per Israele all'opposizione, sai base neo-conservatrice, contro la
Conferenza di Pace ( in Medio Oriente proposta dall'Onu". In tutti i maggiori giornali
statunitensi apparvero avvisi a piena pagina che dicevano: "per i cristiani evangelici è venuto il tempo di
mostrare la loro fede nella profezia biblica e n, diritto divino di Israele
alla sua terra [...] Noi vediamo con il più gran allarme ogni tentativo di
insediare nella terra ebraica un'altra nazione" Le pagine pubblicitarie erano pagate
da una fondazione evangelica, Jerusalem Institute for Holy Land Studies, e da
personaggi come il cantante Pat Boone e il "teologo" millenarista di Dallas John Walvoords. Fu il primo
segnale pubblico della strana alleanza saldatasi tra i protestanti reazionari
americani e il Likud. "La vera
forza degli ebrei in questo paese viene dagli evangelici", commentò felice Jerry Strober,
dell'America Jewish Committee, che aveva coordinato la campagna.
È un'alleanza piena di tensione,
che non cessa di creare imbarazzo ali due parti. I due gruppi concordano su
certi punti apocalittici - come "segno"
del ritorno
degli ebrei in "Terrasanta"
- ma per motivi
opposti: fondamentalisti cristiani credono che con ciò Israele accelera la
seconda venuta del Cristo e la propria rovina, gli ebrei vi vedono
l'intronamento di Israele come messia-redentore di se stesso, e l'inizio del "Regno" mondiale giudaico. In un incontro fra ebrei e
millenaristi, a Bailey Smith, presidente della Southern Baptis Convention,
scappò la frase: "Dio no ascolta
le preghiere dei giudei", e dovette scusarsene con un viaggi d'espiazione in
Israele. E in un articolo recente, un editorialista americano neo-conservatore
lamentava che "nella comunità
ebraica" ci
siano gruppi che nutrono risentimento e diffidenza "contro i migliori amici t Israele" (gli evangelici), e si oppongono a loro semplici
richieste, come la recita di una preghiera (cristiana) nelle scuole a.
° David
Klinghoffer, "Religius war - U.S. jewish groups and their arti-christian host lity", 6 settembre 2002, su National
Review Online. Klinghoffer
è autore di un libro, Lord wil gather
me in" ("1l Signore
mi radunerà nel Suo gregge") che è uno dei testi foi damentali della
ideologia della "rapture".
Ciò non impedisce una proficua
collaborazione politica fra le due entità. Menachem Begin strinse specialissime
relazioni con Jerry Falwell, un telepredicatore miliardario molto ascoltato in
casa Reagan. Il rapporto è così utile, che Israele ha donato a Falwell, nel
1979, un aereo privato (un Learjet), e nel 1981 lo ha insignito del prestigioso
"Premio
Jabotinski". Così,
quando Israele bombardò la centrale atomica irakena di Osirak, Begin chiamò al
telefono, prima di Reagan, Falwell. Gli chiese di "spiegare al
pubblico cristiano le ragioni del bombardamento" (il telepredicatore eseguì). Quando
Israele invase il Libano nel 1982, Begin spedì a Washington Sharon, allora suo
ministro della Difesa, per rabbonire l'irritatissimo presidente Reagan, e
ancora una volta fu richiesto - con la pubblicazione di pubblicità "profetiche" a piena pagina sui giornali -
l'aiuto dei fondamentalisti protestanti. Ancora una volta, Falwell collaborò.
Del resto, in un discorso a Miami (marzo 1985) davanti all assemblea
rabbinica", il telepredicatore
s'è vantato di "mobilitare
70 milioni di cristiani conservatori per Israele e contro
l'antisemitismo".
Cifra non lontana dalla realtà,
se ai seguaci di Falwell si aggiungono i fedeli degli evangelisti più famosi
del piccolo schermo, Jimmy Swaggart, Pat Robertson, Tammy Bakker e Tim LeHaye.
La Casa Bianca di Reagan ha
accolto in incontri regolari questi predicatori, insieme alle organizzazioni
della lobby (Americans for a Safe Israel e AIPAC). Ronald Reagan, attento a
questo tipo di elettorato, si atteggiava a fondamentalista egli stesso. "lo rileggo i
vostri profeti del Vecchio Testamento e i segni premonitori di Armageddon, e mi
sorprendo a chiedermi se la nostra è la generazione che vedrà tutto
questo", confidò
una volta a Tom Dine, alto dirigente dell'AIPAC. Il Jerusalem Post e l'Associated
Press furono lieti di diffondere questa frase.
Benjamin Netanyhau, allora,
ricopriva l'incarico di ambasciatore di Israele all'Onu. Residente a New York,
dunque, partecipava regolarmente ai "breakfast di preghiera per Israele"
tenuti dalla
Destra cristiana americana. Quando fu eletto premier nel '96, era già una
vecchia conoscenza dei fondamentalisti Usa. Li ringraziò portando 17 leader
protestanti in viaggio-premio in "Terra Santa"; al termine del viaggio, i leader
cristia-
ni firmarono un appello perché "mai e poi mai
l'America abbandoni Israele". Nel dicembre, le chiese maggiori (fra cui la cattolica)
lanciarono un appello per la pace in Medio Oriente, in cui parlarono di una "Gerusalemme
condivisa". I fondamentalisti
risposero con un'intera pagina sul New York Times dal titolo "Appello dei
cristiani per una Gerusalemme indivisa" (10 aprile 1997). Fra varie citazioni
del Levitico, della Genesi, del Deuteronomio volte a dimostrare "che Gerusalemme è
da tremila anni la capitale spirituale e politica dei soli ebrei", l'annuncio esortava il governo
Usa a "non premere su
Israele perché faccia concessioni sullo status dei palestinesi": le precise posizioni del Likud.
Fra questi fondamentalisti, la lobby ebraica raccoglie anche denaro. Molto
denaro. Il rabbino Yechiel Eckstein di Chicago ha raccolto oltre 5 milioni di
dollari dalla International Fellowship of Christians and Jews, e John Hagee,
pastore a San Antonio (Texas), ha racimolato un milione di dollari, allo scopo
di "sostenere
l'insediamento degli ebrei sovietici che tornano in Israele". Hagee ha spiegato: "il ritorno degli ebrei
sovietici è
il compimento della
profezia biblica".
Forte di questo massiccio
sostegno, la causa giudaica in Usa è indiscutibile. Ma i fondamentalisti
americani sono stati usati anche per contrastare le pressioni europee su
Israele. Nel 1997, l'Europa fece pressioni su Netanyahu per negoziare con
Arafat. La risposta della lobby fu di montare una campagna di disinformazione
con il sostegno dei fondamentalisti protestanti in Israele. Il 22 ottobre
Radio Israele (Kol Israel) lanciò l'allarme: 1-autorità palestinese" perseguita i cristiani nei "territori".
Il Jerusalem
Post riprese le notizia, assicurando: "cimiteri cristiani sono stati devastati,
nei monasteri sono state fatte irruzioni, l'OLP ha preso il controllo delle
chiese". Il Washington
Times si chiese perché gli Stati Uniti avessero donato 300 milioni di dollari a
un potere (quello di Arafat) che stava provocando un esodo di cristiani dalla "Terra
Santa". I
milioni di fondamentalisti americani si accesero di sdegno. Invano Hanna
Nasser, sindaco palestinese di Betlemme e cristiano, dichiarò: "le nostre chiese
godono di completa libertà". Invano il pastore della chiesa luterana di Betlemme,
Mitri Raheb, assicurò che "qui c'è molta più sicu-
rezza oggi che sotto
l'occupazione israeliana". Gli evangelici americani, mandarono un gruppo d'indagine
di 14 membri in "Terra
Santa" per
investigare sulle "persecuzioni".
Scoprirono -
parole loro - "imbarazzanti
motivazioni propagandistiche dietro le asserite persecuzioni". Più precisamente, che si trattava di
invenzioni fabbricate da David Bar Illan, portavoce di Netanyahu, e da
un'entità di fondamentalisti, la International Christian Embassy di
Gerusalemme. La questione, come tutte le altre riguardanti la propaganda
giudaica, è stata da allora insabbiata.
Capitolo 22
HAMAS PSICHIATRICO
"1 palestinesi non sono il primo popolo che il
popolo ebreo ha fatto impazzire; abbiamo visto che cosa è successo con i
tedeschi"
(Abraham
B. Yehoshua, scrittore israelita)
Devo tutte le rivelazioni che
scriverò qui a Joseph Brewda, un giornalista americano ed ebreo, che mi onora
della sua amicizia. Joseph è convinto che i terroristi suicidi, sia i
palestinesi che si fanno saltare in Israele, sia (se ci sono mai stati) quelli
sugli aerei dell' 11 settembre, possano essere `fabbricati" '.
Il racconto di Joseph prende le
mosse dal Tavistick Institute di Londra: una strana clinica per malati mentali,
un centro di ricerche psichiatriche di fama mondiale che - stranamente - è
gestito da alti ufficiali delle forze armate britanniche. Fondato nel 1920
sotto la direzione del generale di brigata e psichiatra dr. John Rawlings, il
Tavistock nacque per occuparsi dei soldati traumatizzati dalla "Grande
Guerra". Gli
psichiatri e psicanalisti del generale scoprirono presto che questi individui
erano acutamente suggestionabili; e che lo stesso effetto poteva essere
ottenuto attraverso interrogatori brutali e torture. Essi misero a punto
tecniche del controllo comportamentale, che furono praticate durante il secondo
conflitto mondiale, come parte di vasti programmi di "guerra
psicologica". Nel
1945, in un suo libro ("The
shaping of psichiatry by war"), il generale Rees, un altro degli scienziati del Tavistock,
propose che metodi analoghi a quelli sperimentati in guerra, potevano attuare
anche il controllo sociale in intere società o gruppi, in tempo di pace. "Se proponiamo di
'
Joseph
Brewda, "Israeli psichiatrists and Hamas terrorists: case study on how
terrorists are manufactured" (inedito, 1 1 ottobre 2001).
uscire all'aperto"; scriveva Rees, "e di aggredire i problemi sociali e nazionali
dei nostri giorni, allora abbiamo bisogno di "truppe speciali
" psichiatriche, e queste non possono essere le equipes psichiatriche
stanziali nelle istituzioni. Dobbiamo avere gruppi di psichiatri selezionati e
ben addestrati che si muovano sul territorio e prendano contatto con la situazione
locale nella sua area particolare".
Dal 1947 il generale Rees fece
carriera nell'apparato dell'Onu, dove creò la Federazione Mondiale della Salute
Mentale; collaborò con sir Julian Huxley, allora capo dell'Unesco; e, secondo
Brewda, entrambi elaborarono un progetto per "la selezione dei quadri" nelle colonie dell'impero britannico, da
addestrare alla futura "indipendenza".
In Africa e in
Asia, però, sorsero movimenti di liberazione incontrollabili da Londra. Gli specialisti
del Tavistock perciò cominciarono da allora a creare movimenti "rivali": il primo esperimento avvenne in Kenia. Nei campi
di prigionia, taluni detenuti sarebbero selezionati e "preparati"
con metodi
psicologici traumatici a formare frazioni della rivolta Mau Mau. L'idea era di
infiltrare il movimento di liberazione keniota con "gruppi rivali", che li penetrassero e
frazionassero, creando lotte intestine. I "rivali" dovevano usare metodi terroristici feroci, per screditare i
movimenti.
A questo scopo, la Federazione
Mondiale della Salute Mentale guidata da Rees lanciò nel 1949-50 un ampio
studio sui profili psicologici di vari paesi. Il programma si chiamava: "Tensione mondiale: la psicopatologia delle
relazioni internazionali". Furono studiate le reazioni, le suscettibilità
psicologiche di diversi gruppi etnici, secondo Brewda "per poterli meglio controllare". In questo quadro, lo studio più
approfondito fu intrapreso sugli ebrei: dapprima sui sopravvissuti alle
persecuzioni naziste che erano riparati in Israele. Secondo la tattica suggerita
da Rees, psichiatri
"ben
addestrati" furono
mandati "sul territorio". Nacque a Gerusalemme la Società
per l'Igiene Mentale in Israele. La guidava il dottor Abraham Weinberg, un uomo
del Tavistock.
Prevedibilmente, Weinberg
diagnosticò, nella psicodinamica ebraica, la leva su cui poteva agire la
psichiatria di guerra: la convinzione di essere il "popolo eletto", diverso da ogni altro. Il fatto
che nei secoli gli ebrei
siano stati fatti sentire diversi
dagli altri popoli, non ha fatto che rinforzare questo carattere, diceva il
dottore. E ha creato una "personalità
ebraica" intimorita
e diffidente del prossimo. Di fronte alla persecuzione nazista, la popolazione
ebraica ha reagito in maggioranza rinnovando la fedeltà alla propria identità
etnica e alla "missione degli
ebrei" nel
mondo: la sofferenza subita era parte di questa "missione", e la creazione dello stato
d'Israele, il ritorno alla terra promessa dopo duemila anni, era il compenso
per questa sofferenza. Oggi (scriveva Weinberg nel 1948) per la prima volta in
millenni, "è possibile creare una vera personalità ebraica, fondata
sulla sofferenza del genocidio e sull'ambiente controllato di Israele". Di fatto, secondo Brewda, questa
diagnosi giustifica (e provoca) la riduzione dell'israeliano d'oggi a membro di
un culto del sangue e del suolo; il fatto che Israele pratichi in "Terra Santa" una politica di segregazione e di
igiene razziale nei confronti degli arabi, sarebbe la prova del successo del
Tavistock 2.
Nello stesso tempo, il Tavistock
conduceva lo stesso tipo di studi sugli arabi, attraverso un affiliato "Istituto di Igiene Mentale" con sede al Cairo; queste
ricerche finirono per convergere con studi analoghi, che gli specialisti
israeliani di guerra psicologica stavano conducendo per scopi militari. I
risultati di queste indagini si ritrovano nell'opera monumentale di Raphael
Patai (uno degli specialisti israeliani in profili psicologici), "The arab mind" 3. Patai scopre nella "mentalità araba" il punto debole, che la rende
vulnerabile alla manipolazione: la sua tendenza a confondere, specie sotto
stress, "realtà e retorica".
L'arabo tipico "vuole apparire piuttosto eloquente che profondo,
e la sobrietà è di rado un carattere apprezzato nei leader". Lo dimostra, secondo lo studioso, il
fatto che dei veri e propri pazzoidi (come il libico Gheddafi) possano godere
di autentica popolarità.
2 Su questo punto tendo a divergere
con l'amico Brewda. Come mostra l'ideologia dei Lubavitcher, l'idea di "separazione"
è un rischio
permanente interno alla stessa religione ebraica.
' Raphael Patai, The arab
mind, New York, 1976.
È, come si vede, uno studio di "profiling", ben noto ai servizi segreti più
sofisticati: un gruppo etnico viene "profilato
psicologicamente" dal nemico, per farlo agire - a sua insaputa - a vantaggio del
nemico stesso. Quest'arte orribile non viene nemmeno nascosta. Sul numero del
22 giugno 2001 della rivista International Bulletin of Political Psychology è
apparso un dotto articolo col seguente titolo: "L'utilità della ricerca psicologica per
accendere e sedare la violenza: gli "scopritori" di terroristi
e la selezione e gestione di giovani terroristi" °. Ne è autore il dottor Jerrold
Post, fondatore del Bulletin, che per 21 anni è stato a capo, alla Cia, del
centro "Analysis of Personality
and Political Behavior". In questa veste, Post ha scritto infiniti "profili psicologici" di capi di sette e di gruppi
terroristi: ha studiato fra gli altri Bin Laden, Saddam Hussein e la psicologia
dei dirottatori di aerei. Dall' 11 settembre, viene spesso intervistato dai
media americani.
E in Palestina? L'amico Joseph Brewda ci segnala la
presenza, nella striscia di Gaza, del "Gaza
Community Mental Health Program" (GCMHP), che è di fatto l'unico presidio psichiatrico
nella zona occupata dagli israeliani. Il centro è stato creato da un ramo del
Tavistock in collaborazione con la Israeli Psiychoanalitic Association, ed è
finanziato dai governi americano e britannico. Ufficialmente, ha lo scopo di "affrontare i problemi mentali dei bambini
traumatizzati nell'Intifada [del 1987] e
riabilitare i prigionieri politici palestinesi vittime di torture". Difatti, "la tortura è una pratica corrente da parte dei
militari israeliani", scrive Brewda. "Le leggi d'Israele consentono ufficialmente
trattamenti come la deprivazione del sonno, prolungate sedute al buio, l'obbligo
a mantenere a lungo forzate posizioni corporee, "confinamento"
(in spazi-scatola senza l'uso della toilette), esposizione a temperature estreme.
Ci sono medici israeliani che esaminano i prigionieri palestinesi e indicano
quali di queste torture possono essere applicate, dato lo stato di salute e le
condizioni fisiche del detenuto".
1 'Terrorist
talent scouts and the selection and management of youthfull terrorists".
Almeno centomila palestinesi di
Gaza, il 10% della popolazione, è stato prima o poi detenuto nelle carceri
israeliane e sottoposto all'una o all'altra tortura; molte di queste vittime
sono bambini, dato che la legge israeliana considera adulto chi abbia più di
12 anni. Secondo uno studio condotto dallo stesso "Gaza Mental Health Program", l'85% dei 1300 bambini
intervistati hanno assistito a irruzioni della polizia o dei soldati nelle loro
case, il 42% è stato picchiato, il 55% ha visto picchiare il proprio padre. II
19% di questi bambini sono stati essi stessi detenuti. Di conseguenza,.molti
di loro manifestano segni di deterioramento mentale: mutismo, insonnia, scoppi
d'ira e di violenza immotivati verso i propri familiari.
Il "Gaza Community Mental Health Program" fornisce a queste vittime
un'assistenza, che si configura come "terapia
di gruppo". Una
ventina di specialisti conducono queste terapie di gruppo "sul territorio", fra i torturati da Israele
insieme alle loro famiglie. Chi ha addestrato e preparato questi specialisti?
Il Dipartimento di Psicologia dell'Università di Tel Aviv, con l'approvazione
formale del governo israeliano e con fondi degli Stati Uniti. La stessa
università di Tel Aviv addestra un gruppo di ricerca psicologica sul campo, il
quale produce rapporti dai titoli significativi: "Esperienza della tortura e stress
post-traumatico tra i prigionieri politici palestinesi", oppure "Predizione del riassetto psichico tra i bambini
palestinesi dopo la violenza politica". Insomma, la "ricerca"
mette i "ricercatori" a diretto contatto con i futuri,
potenziali quadri del terrorismo suicida.
L'intenzione è davvero quella di
curarli? Se ne può dubitare: il direttore del Dipartimento di Psicologia
dell'Università di Tel Aviv, il dottor Ariel Merari, ha fondato e diretto, per
l'esercito israeliano (Israeli Defense Force) I-Unità
di Gestione di Crisi", il gruppo cioè che tratta con i rapitori, in caso di
presa di ostaggi. Il dottor Merari è uno psichiatra militare, esperto di "profiling" del nemico. Fra l'altro, è stato
il primo israeliano, dopo 1' I 1 settembre, a dichiarare che l'attacco su New
York era stato diretto da Bin Laden. Secondo Brewda, tutta l'operazione "di salute mentale" ha lo scopo di selezionare e
identificare, tra le vittime psicologica-
mente destabilizzate dalle torture d'Israele, quelli che
possono diventare pericolosi terroristi.
Gli indizi che porta sono allarmanti. Anzitutto uno: il
direttore del GCMHP, pagato dagli americani e sotto controllo degli israeliani,
è uno psichiatra palestinese, dottor Eyad Sarraj, che è anche un esponente di
alto livello di Hamas. Inoltre, Sarray non nasconde, anzi esalta, la sua
ammirazione per i terroristi suicidi. Come ha scritto in un articolo del 4
agosto 1997, "Capire il
terrorismo palestinese", "in Palestina, la cosa stupefacente non è
che accadano atti di terrorismo suicida, ma che accadano così raramente".
Il dottor Sarraj
è convinto (come l'Istituto Tavistock di Londra) che la violenza è il solo
mezzo con cui gli adolescenti disturbati della Palestina possano recuperare la
salute mentale: "È il processo
che esteriorizza la coscienza di schiavo che è stata introiettata nel bambino [palestinese dalla violenza
israeliana] e ne forma ormai l'intimità
personale profonda. Con questi atti, i bambini riaffermano se stessi ed
esercitano il diritto a una vita libera e migliore". Ci si può chiedere come mai
Israele, che controlla il centro di salute mentale di Gaza come abbiamo visto,
e ne addestra gli specialisti, lasci al suo posto questo individuo. Forse la
risposta, suggerisce Brewda, è nel fatto che Sarraj condanna apertamente Arafat
e definisce i suoi tentativi di continuare il processo di pace come
tradimento. "Siamo diventati
semplicemente gli schiavi del nemico. In nome della pace, siamo stati umiliati.
Arrestati e persino torturati dalle forze dell'autorità palestinese per
proteggere la pace. La nostra autorità si è scatenata contro di noi per
piacere a Netanyahu. I nostri governanti girano su grosse auto e si
costruiscono grosse ville ... ora capite perché siamo diventati assassini
suicidi?".
Nel 1997, cose simili furono
ripetute in una conferenza, tenuta all'interno del GCMHP, da Abdel Aziz
Rantisi, il portavoce di Hamas nella striscia di Gaza. In quell'occasione,
Rantisi spiegò che "il suicidio è
vietato dall'Islam, salvo specifiche situazioni". Lo ascoltavano, e condividevano
con lui il podio, la dottoressa Yolanda Gampel, direttrice della Israeli
Psychoanalitic Association all'Università di Tel Aviv, il dottor Moshe
Landsman, supervisore
dell'assistenza psichiatrica al centro di Dimona (il centro dove l'esercito
israeliano fabbrica le armi nucleari); inoltre, la dottoressa Helen Bambar e il
dottor Rami Heilborn, che dirigono la fondazione medica per la cura delle
vittime della tortura, fondata dall'Istituto Tavistock di Londra.
Per spiegare quale sia il lavoro
di questi psichiatri militari fra coloro che il loro stato tortura, Joseph
Brewda cita il dottor Jerrold Post, lo psichiatra americano del Bulletin of
Political Psychology, a proposito dei "talent
scouts di terroristi":
"Come
i funzionari dei servizi di spionaggio valutano, nei potenziali candidati a diventare
agenti dei servizi, i loro punti vulnerabili (condizioni economiche, status
vocazionale e desideri, ferite narcisistiche, ideologia, comportamento sociale,
orientamenti sessuali), allo stesso modo i talent scouts di terroristi devono
valutare i giovani potenziali terroristi in base ai loro fattori di rischio di
violenza". Tali
fattori di rischio (Post ne elenca 24) non sono identificati per essere
soppressi, bensì per essere "usefully
mined", ossia
"utilmente sfruttati". Il dottor Merari compie, di
norma, appunto questo "lavoro"
per le forze
armate israeliane.
Hamas è nata ufficialmente il 14
dicembre 1987, quando lo sceicco suo ispiratore, Ahmed Yassin, emise il primo
comunicato a nome del gruppo terroristico-fondamentalista. Ci si può chiedere come
Hamas abbia potuto sopravvivere nelle durissime condizioni dell'occupazione
israeliana. La risposta - straordinariamente franca - è in uno scritto della
dottoressa Anat Kurz, del Jaffee Center dell'Università (ebraica) di Tel Aviv.
In un "Memorandum n. 48" pubblicato nel luglio
1997, la Kurz rivela che fu il governo Begin a fornire ad Hamas lo stato di
associazione legale, già nel 1979, "in
coerenza con la politica israeliana di rafforzare i gruppi islamisti come
contrappeso ai gruppi nazionalisti palestinesi [...] Israele ha sempre avuto un
occhio di riguardo per l'Associazione Islamica [ossia Hamas]. Nel 1984, quando si scoprì che essa aveva costituito
depositi segreti di anni, i suoi capi furono imprigionati, ma le autorità
israeliane non hanno soppresso l'associazione. Evidentemente, i politici
israeliani
continuavano a
considerarla un rivale di gruppi militanti e un elemento, utile dal punto di
vista israeliano, di disgregazione tra i palestinesi".
Fino al 1993, ossia agli accordi
di Oslo che avviarono il processo di pace, Hamas si è distinto solo per
sporadiche aggressioni a militari israeliani. Solo dopo la firma degli accordi
di Oslo il gruppo ha cominciato a usare terroristi suicidi, e questi contro la
popolazione civile. Il tempismo di questi attacchi atroci è noto: essi accadono
sempre al momento giusto per costituire una scusa, agli elementi della politica
israeliana contrari al pro
cesso di pace, che "trattare con gli arabi è inutile".
Alcuni esempi. Il 6 aprile 1994,
Hamas fece saltare un'auto carica di esplosivi in una stazione d'autobus: otto
morti e 44 feriti. Una settimana dopo, un terrorista suicida si fece saltare
nella stazione dei bus di Hadera: 5 morti e 20 feriti. Ciò accadde mentre
stava per riunirsi il tavolo di negoziato fra Israele e OLP per la firma degli
accordi del Cairo: quelli che sancivano la nascita del proto-stato palestinese,
e a cui il Likud (e Sharon) si opponevano ferocemente.
Nell'ottobre 1994, Hamas creò la prima spaccatura fra il governo
Rabin e Arafat, sequestrando un ufficiale israeliano, Nashon Wachsmann, che
tenne prigioniero ("deliberatamente",
sottolinea
Brewda) nel territorio controllato dall'OLP: la cosa finì in un bagno di sangue
(i rapitori furono uccisi con il rapito). Ma per la prima volta il primo
ministro Rabin fu bollato come "nuovo Chamberlain" dai falchi come Sharon e
Netanyahu, gli stessi che dipinsero Arafat come "nuovo
Hitler". Una
vera campagna d'odio, che non mancò di dare risultati: nell'ottobre 1995 Rabin,
colpevole di aver avviato il processo di pace, fu trucidato da un estremista
ebraico, "attentatore
solitario".
Il rapimento dell'ufficiale fu
personalmente attuato dal capo delle "Operazioni Speciali" di Hamas, Sallah Jadlallah. Il
punto cruciale è che Sallah aveva ottenuto quella carica subito dopo essere
stato dimesso da un manicomio israeliano.
Secondo Hamas, Jadlallah simulò
la pazzia per evitare la prigione, dopo un suo arresto da parte degli
israeliani. In qualche modo, il suo biografo psicologico israeliano Andrian
Kreye concorda. In un articolo del 1995
("Un posto in
Paradiso: il culto dei martiri a Gaza"), Kreye scrive che Sallah "durante il
processo recitò la sua pazzia in modo così convincente, che stia madre scoppiò
in lacrime, pur sapendo che suo figlio recitava". Continua Kreye: "fnito il
processo, l'esercito lo internò in un manicomio. Qui [Jadlallah] perfezionò la sua
parte, girando nudo e urlando per i reparti, gettandosi in testa il cibo, Due
anni rimase nel manicomio fingendosi folle. Appena rilasciato, Imad Aqel, il
capo di Qassam [è
l'ala militare di Hamas] mise Sallah Jadallah a capo dell'unità "Operazioni
Speciali". Da quel momento, questo giovane sottile è stato la mente
di atti di durissima guerriglia e delle missioni più delicate".
Isaac Rabin fu ucciso da un giovane membro di un gruppo
israeliano poco noto, chiamato Iyal. Arafat disse testualmente al giornale
italiano Repubblica: "Siamo
sicuri che Rabin è stato ucciso da un gruppo estremista israeliano, proprio
come noi sappiamo che esiste un patto tra estremisti israeliani e palestinesi
per impedire la pace. Avishai Raviv, il capo del gruppo estremista ebraico
Iyal, ha ammesso in un'intervista rilasciata il giorno precedente l'assassinio
di Rabin, di essersi incontrato con estremisti del Jihad. E ha aggiunto che
non era la prima volta".
Nel gennaio 1998, Arafat è tornato sul tema in
un'intervista al giornale giordano Al Ray: "Estremisti nei due schieramenti si
fanno favori reciproci. Netanyahu [allora primo ministro israeliano, del Likud] è lieto che esistano
gli estremisti palestinesi: gli consentono di uscire dal vicolo cieco in citi
s'è cacciato, e lo isolano dalle pressioni internazionali".
Capitolo 23
CHI E L'ANTICRISTO?
Nel settembre 2002, la Casa
Bianca ha proclamato pubblicamente la nuova
"strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti d'America"'. Inutile riportare per esteso le
31 pagine del documento: esso è un distillato della filosofia Lubavitcher e
delle visioni strategiche di Rumsfeld. L'America vi afferma il suo diritto
storico a usare la sua "ineguagliata
superiorità militare" senza limite legale alcuno. Letteralmente, essa minaccia "l'uso della forza contro l'integrità
territoriale o l'indipendenza politica contro qualunque stato" del pianeta che l'America
consideri pericoloso, e ciò in maniera "preventiva".
Un commentatore americano,
William Pfaff del Los
Angeles 7îmes 2, ha segnalato la più maligna
novità di questa nuova dottrina: essa "liquida
l'ordine che ha governato le relazioni internazionali fin dal trattato di
Westfalia del 1648".
Il Trattato di Westfalia, che
pose fine alla "Guerra dei
Trent'Anni", riconobbe
la legittimità delle autorità degli stati, grandi o piccoli. Di fatto, fu
stabilito il principio della sovranità e della sua legalità: persone giuridiche,
gli stati potevano legarsi tra loro con trattati (come le personalità private
con contratti), e questi trattati avevano forza legale. Nell'instabilità del mondo, fu un punto fermo decisivo.
Un altissimo atto di civiltà, favo
'
"The
National Security Strategy of United States of America", 20 settembre 2002. Il testo, si
dice, è stato stilato da Condoleeza Rice, consigliera per la sicurezza
nazionale. ' William Pfaff, "A radical rethink of international relations
", International Herald Tribune, 3 ottobre 2002.
revole alla pace. La fondazione
di quel che Carl Schmitt chiamò —il diritto pubblico europeo". Per secoli, governi e giuristi
hanno ritenuto che solo riconoscendo la sovranità nazionale come fondamento
della legge (interna e internazionale) si poteva evitare al mondo la condizione
di guerra perpetua. La "Guerra
dei Trent'Anni" era
stata proprio questo: un conflitto di tutti contro tutti, che non si riusciva
a far finire.
Ora, dice Pfaff, la nuova
dottrina americana ha questo di radicalmente allarmante; che essa - proclamando
il "diritto" americano a colpire qualunque
stato del pianeta - dichiara ogni
altro stato illegittimo.
Se ne capiscano bene le
conseguenze eversive. Con esso, l'America si dichiara svincolata, anzitutto,
dal sistema di alleanze che essa stessa ha costruito dopo la seconda guerra
mondiale. Per questo la nuova dottrina, ha detto un altro commentatore, Jom
Hoaghland, "spaventa più gli alleati
che i nemici" 3, e di fatto è intesa proprio a questo. La Nato, l'Europa,
le nazioni del cosiddetto Occidente, per il fatto che non dispongono di forza
militare adeguata alle "nuove
sfide", non
hanno più voce in capitolo presso la Casa Bianca: da alleati diventano satelliti,
oppure - se si provano ad obiettare - potenziali nemici.
Ma nel più vasto mondo, è
l'intero sistema di relazioni globali che viene liquidato. Sul mondo d'oggi si
tende una vasta rete di trattati, convenzioni bilaterali e multilaterali,
insomma impegni volontari fra stati sovrani che mirano a ridurre i conflitti
fra potenze, a deferirli ad arbitrati riconosciuti, a comporre le vertenze col
sistema negoziale. Mirano- in definitiva - a ridurre la guerra ad "ultima ratio". L' America stessa, in passato, è
stata fra i più attivi costruttori di quest'ordine. Dopo tutto, le Nazioni
' Si veda al proposito l'illuminante articolo di Vittorio Zucconi "Il grande gelo tra Usa ed Europa" su
Repubblica (3 ottobre 2002). "La guerra preventiva è una sfida al sistema di
alleanze e valori occidentali prima che ai nemici esterni e potenziali", scrive Zucconi. Il quale adombra, o ha il sospetto,
che una motivazione non razionale, forse messianica, si celi dietro la
proclamazione unilaterale. "Quale
necessità esiste[va] di fare un'affermazione così imperiosa e non richiesta?
... La risposta più ripetuta è che il vecchio sistema non proteggeva più dalle
nuove minacce, ma è anche la risposta meno convincente ".
Unite - l'ultima istanza della
legalità internazionale - sono state forte mente volute dagli Usa. Oggi, la
Casa Bianca si svincola da tutti gli impegni internazionali che essa stessa ha
sottoscritto. E lo fa' in modo brutalmente esplicito. "L'uso della
forza contro l'integrità territoriale e l'i dipendenza politica di uno
stato" è vietato dalla Carta dell'Onu, se
unilaterale. Se poi è "preventivo",
nota Pfaff, esso
configura uno specifici crimine di guerra secondo i principi stabiliti (dagli
americani vincitori nel processo di Norimberga.
Per far comprendere ai suoi
compatrioti la carica eversiva della nuova, dottrina Usa, Pfaff dice: solo un
altro stato prima d'oggi ha denunciati l'ordine internazionale in questo modo
radicale, ed è stato L'Unione Sovietica. Come unico stato "dei lavoratori", l'Urss si proclamò l'unico stato
legittimo. Tutti gli altri stati erano illegittimi, perché vi governava "G
borghesia". Mosca aveva con questi stati un
rapporto di guerra perpetua, e non solo potenziale: operava per rovesciarne i
governi, sia con la guerra sia con la rivoluzione interna.
L'America d'oggi fa' lo stesso.
Per il momento verso l'Irak, ma non esclude in via di principio di operare -
con mezzi aperti o coperti - per u "cambio
di regime" nell'Iran,
in Siria, in Arabia Saudita. E siccome l'elenco dell'"asse del male" è aperto e provvisorio, domani
potrà intervenire anche in Germania e in Francia, ostinate a non capire che "le vecchie
alleanze non proteggono più dalle nuove minacce" '. La sola differenza è a vantaggio
della defunta Unione Sovietica: essa dichiarava illegittimo (e si diceva in guerra perpetua) ogni altro
stato, in base all'interpretazione marxista della storia, presunta "scientifica". Quindi in base un'idea ritenuta
vera. L' America d'oggi proclama ogni stato illegittime perché nessun altro
stato possiede "la sua
ineguagliata superiorità mili tare". Gli altri stati non sono da essa riconosciuti come
interlocutori, solo
' Questa è appunto l'idea che Rumsfeld il JINSA hanno imposto dopo il 11
settembre l'America si trova di fronte a una nuova minaccia, che va affrontata
con nuove alleanza Rumsfeld è noto per "il suo disprezzo di ogni trattato
internazionale" sul controllo d
gli armamenti, e per la sua "sfiducia" verso ogni altra
nazione, alleati compresi.
perché non hanno la forza. La nuova dottrina americana è una mera dottrina della
forza. La forza
come "prima ratio", che per Ortega y Gasset era "il carattere specifico della barbarie" 5;
ecco quel
che l'America introduce nel mondo.
Ma è l'America che parla qui, con questa voce nuova e
allarmante? Nelle pagine precedenti, abbiamo visto come il gruppo ebraico si
sia infiltrato nei centri del potere americani, abbia preso possesso della "macchina", e l'abbia volta ai suoi scopi - o
ai suoi sogni messianici. Abbiamo identificato i fanatici che danno voce da
ventriloqui alla figura potente dell'America ferita dopo 1' 11 settembre.
Abbiamo accumulato il sospetto che l' I 1 settembre sia stato perpetrato non
dallo spettrale nemico esterno musulmano, ma da concrete forze "interne" all'America, alleate con i ventriloqui. Sappiamo
inoltre qual è il modello della nuova dottrina americana. È quello che Sharon
applica ferocemente in Palestina. I palestinesi non hanno la forza, dunque non
avranno mai uno stato legittimo. Israele li domina con la forza, non offre
nient'altro, e minaccia con la sua "superiorità
militare" ogni
altro stato islamico nell'area. Israele vuole la guerra perpetua sul mondo dei
noachici. Il "Regno
d'Israele" futuro
e imminente è infatti per i messianici ebraici "conquista e avanzata", non compromesso e cessione. Il "Regno d'Israele" è il regno della forza senza
limiti e assoluta, dove gli altri non
hanno diritti. E il regno messianico che si attua
oggi: e per instaurarlo vengono strumentalizzate le migliori virtù americane,
persino la sua fede religiosa nel proprio compito mondiale, la sua formidabile
energia costruttiva. La splendida democrazia americana, la plurale libertà
della sua stampa - i suoi storici motivi d'orgoglio - vengono utilizzati per
imporre al mondo un potere fondato sulla menzogna più radicale, e la guerra
perpetua senza contropartite. Non ci suggerisce qualcosa, questa nuova
situazione mondiale? Non ricorda qualcosa - qualcosa di allarmante - a noi cristiani
"romani"?
s Ortega y Gasset ha scritto che tutto lo sforzo di civilizzazione
dell'Occidente è consistito nello sforzo di respingere la forza ai margini, di
farne 1"ultima ratio". Adottare la forza come "prima ratio" è il carattere specifico della barbarie
Vi è nell'Apocalisse un passo che descrive fin troppo precisamente questa
situazione. Un passo che si riferisce ai tempi ultimi, ai tempi del dominio
incontrastato del "padre della
menzogna", della
"parusia dell'iniquo" 6.
Ecco i
passi.
"Vidi
una bestia che saliva dal mare, e aveva dieci corna e sette teste (... J. Il
dragone comunicò ad essa la propria potenza e il suo trono con potestà grande.
Ora una delle teste appariva come colpita a morte, ma la sua ferita mortale fu
guarita. Per questo tutta la terra fu presa d'ammirazione (... J e adorarono
la bestia dicendo: "Chi è simile alla bestia? E chi può combattere
contro di essa?" (13,1-4) Oggi, noi sappiamo che esiste nel mondo una tal bestia:
nessuno "può combattere contro di
essa" perché
la sua superiorità militare è "ineguagliabile".
Sembrava colpita
a morte, dopo l' 11 settembre: ma eccola guarita, e più potente di prima. Oggi
nessuno "è simile ad essa", non c'è altro stato che proclami
la sua dottrina della forza assoluta, preventiva, che arroghi solo per sé la
sovranità. La "Bestia" ha ricevuto dal dragone "la propria potenza e potestà" grande. E noi sappiamo che il
dragone è colui che disse a Cristo nel deserto: "Tutti i regni e il potere terrestri sono dati a
me, e io li do a chi voglio". Ma l'Apocalisse ci avverte di guardare dietro alla bestia. A qualcuno che è nascosto dietro la sua massa imponente.
"Poi vidi un'altra bestia salire dalla terra. Aveva due corna come l'agnello, ma parlava come un dragone.
Esercitava tutta l'autorità della prima bestia e per conto di essa" (13, 11-12).
Dunque la prima "Bestia", la fortissima, la ineguagliabile in potenza, non è
l'attore primario di questa storia sacra spaventosa. Essa è agita da un altro.
Essa è un "simulacro" (Apc.13, 15), ed è quell'altro a "infondere
' La
"parusia", ossia manifestazione dell'uomo dell'iniquità,
l'Anticristo, è preconizzata da san Paolo nella 1I Tessalonicesi
(2, 3 e segg.). Ma prima, dice Paolo,
deve essere "tolto di mezzo ciò
che trattiene" (katechon) la
manifestazione del potere anticristiano. Il misterioso katechon fu
identificato da san Tommaso nel "romanum
imperium", ossia nel potere
statale dove la forza pubblica è al servizio del diritto, sì da impedire il
dilagare del male. L'America di Bush abolisce appunto la subordinazione della
forza al diritto.
lo spirito al simulacro in modo che potesse
parlare". E
quella bestia è più piccola. Somiglia all'agnello, l'innocente agnello immolato
nel tempio d'Israele. "Ma parla
come il dragone". È questo l'—impostore
supremo" ed
ultimo.
La riconoscete? Questa bestia
piccola e apparentemente innocente, ci è detto, ha poteri prodigiosi. Essa può
fare in modo che nessuno possa "vendere
o comprare, all'infuori di coloro che portano il marchio della bestia, o il numero
del suo nome". II suo potere è finanziario. Come quello fondato sul dollaro?
Osereste dunque dirne il nome, visto che il falso agnello
può ridurvi alla fame e alla morte?
Noi non ne abbiamo il coraggio.
Ma quel nome, lo pronunciarono con molto anticipo i profeti. Isaia li apostrofa
così in perpetuo, dalla notte dei secoli:
"Udite
la parola del Signore voi arroganti,
che
governate questo popolo e abitate Gerusalemme!
Giacché
voi dite: "Abbiamo concluso un patto con la morte
E con lo sceòl abbiamo stretto alleanza.
Quando
passerà lo straripante flagello non ci toccherà,
giacché abbiamo fatto della menzogna il nostro rifugio
e
ci siamo riparati nella falsità" (Is., 28, 14-15).
La parola di Isaia scuote il nostro oggi. Parla per
l'intera storia, dunque anche per l'attualità più bruciante:
"La vigna del Signore degli Eserciti è la
casa d'Israele; gli abitanti di Giuda la sua piantagione preferita. Egli si
aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed
ecco grida di oppressi" (Is. 5, 1-7)
Sono ormai anni, decenni, che noi
cristiani - noi che sappiamo che il Signore si attende giustizia e rettitudine
- sentiamo grida di oppressi levarsi dalla Palestina. E lo spargimento di
sangue di chi chiede "giustizia"
si fa sempre più
spietato e ostinato. Il sangue che viene sparso è quello dei discendenti
d'Ismaele, il figlio che ad Abramo generò la schiava Agar: sappiamo - o
dovremmo sapere - che è dunque sangue di Abramo, non
meno di quello dei giudei. La
vigna del Signore è ostinatamente profanata da quel sangue prediletto. E
sappiamo - ma come cattolici vili e inetti non vogliamo ricordare - che un
compito fu assegnato a quei figli di Abramo, alla discendenza araba di Ismaele.
È nel Genesi (16,12).
"Egli
sarà come un onagro nella steppa
la sua mano sarà contro di tutti
e la mano di tutti contro di lui;
e
abiterà contro tutti i suoi fratelli"
Ad Abramo il Signore ha promesso a proposito di Ismaele,
il capostipite degli arabi:
"Io ne farò una grande nazione perché è tua
discendenza" (Genesi,
20, 13).
Colui che avrebbe fatto dei discendenti d'Ismaele, le
disperse tribù beduine, "una
grande nazione", non era ancora nato. Due millenni dovevano passare, perché Muhammad
apparisse nel mondo. Fu lui a dire ai suoi: "A voi è prescritta la guerra, sia che vi piaccia, sia che vi
dispiaccia". Per
molti secoli, ai musulmani, la guerra è "piaciuta".
Oggi probabilmente
non piace più, e tuttavia devono farla contro la massima potenza mondiale e il
falso agnello, che ha a disposizione tutti i mezzi prodigiosi della potenza. I
tempi ultimi. La gente dell'Islam conosce la parabola dei lavoratori della
vigna, una parabola già pronunciata da Cristo: i lavoratori del mattino, quelli
del pomeriggio, quelli della sera, l'ultima ora. La più breve. Ma sarà la più
dura, e i musulmani credono di essere i lavoratori scelti per l'ultima ora, che
devono guadagnarsi la stessa paga che ebbero i primi (gli ebrei) e i secondi (i
cristiani). Gli arabi - non tutti i musulmani, ma i beduini, i palestinesi,
discendenti diretti di Ismaele - compiono sotto i nostri occhi il duro lavoro
dell'ultima ora. Con sangue e lacrime. Lo fanno senza gloria, senza
riconoscimento del mondo, anzi da tutti spregiati e maledetti. Contro poteri
mondani invincibili. Contrastano il possesso sulla "terra santa". Coi loro corpi stessi. Versano il
sangue di Abramo: il loro, e dei loro fratelli nemici.
I
cristiani stessi li condannano, ultimamente. Ma io sospetto che quel loro
versamento di sangue non sia sgradito al terribile Dio della Bibbia, al duro,
non compassionevole, Dio di Abramo. Negli ultimi tempi i musulmani vengono
additati dal mondo intero come 1-'asse
del male", e dipinti (dai
protestanti americani ma anche da troppi "buoni" cattolici)
come l'Anticristo. Dubito che il giudizio di Dio sia lo stesso. I giudizi di
Dio non sono quelli di un'umanità sviata, che crede facilmente alle menzogne
del potere, e si piega alla forza "ineguagliabile". Egli
chiedeva rettitudine e vede nella sua vigna "spargimento di sangue".
Voleva giustizia e sente "grida di oppressi".
Oso arrischiare che la vittoria, alla fine, non sarà
di chi si sente invincibile oggi, perché "ha preso rifugio
nell'iniquità". Come cristiano non posso portare altre prove che le
parole di Paolo: "Quando diranno pace e sicurezza, allora verrà la
fine". Proprio allora, quando si sentiranno sicuri nella pace delle
loro armi superiori.
O le parole minacciose di Isaia ai suoi israeliti.
Perché Isaia fulmina, dalla notte dei secoli, coloro che oggi pretendono di
creare il "Regno" d' Israele accelerando gli eventi con la
forza e l'astuzia, e forzando - come i Lubavitcher - la mano del "signore
degli eserciti":
"Guai a quelli che dicono: "Si affretti, si
acceleri l'opera Sua
affinché la possiamo vedere;
si
avvicini, si realizzi il progetto del santo d'Israele
e
lo riconosceremo" (Is. 5, 19).
Isaia
lancia una maledizione specifica contro quel che fa', oggi, il governo
d'Israele ai palestinesi, gli espropri eseguiti col diritto della forza:
"Guai
a coloro che aggiungono casa a casa che
congiungono campo a campo,
finché
non vi sia spazio
e
rimaniate voi soli ad abitare in mezzo al paese" (5, 8-9)
Isaia
addita agli ingiusti figli di Abramo il costo della loro arroganza:
"Giacché
voi ripudiate questo oracolo,
confidate in ciò che è perverso e
tortuoso
e vi appoggiate su ciò.
Perciò
la vostra colpa sarà per voi come una breccia nascosta
Che fa' rigonfia una muraglia
E
la fa' crollare in un istante, subitamente" (Is. 30, 12).
Oggi - che è apparsa nel mondo una forza invincibile,
una superpotenza ineguagliabile, però che non agisce in proprio ma è "agita"
dal falso agnello - queste parole sono la sola luce nell'ora oscura.